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Di che cosa parliamo, quando parliamo di “The Holdovers” di Alexander Payne? Vi presentiamo qua due diversi (ma affini) punti di vista su un film che è riuscito a scaldare tanti cuori. Prendete sul serio queste nostre parole, ma con moderazione.

Paul Giamatti in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

di giulia

Non ci sono più film come quelli di una volta. Questa è una frase che solitamente mi infastidisce. Chiaramente non esistono più i film come una volta, questa “volta” di cui parlate tanto è ormai lontana, i tempi cambiano e di pari passo lo fanno anche i modi di esprimersi e fare arte. Tuttavia, pur rimanendo ferma sostenitrice di quanto appena affermato, ho deciso di chiudere un occhio nei confronti di coloro che definiranno The Holdovers di Alexander Payne bello come i film di una volta. Lascerò passare solo a questo giro, perché hanno ragione. 

“The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Siamo nell’inverno del 1970, nel New England, dove gli studenti di una scuola privata di “grandi pupilli” si preparano per lasciare il campus e tornare a casa per le vacanze di Natale. O almeno, la maggior parte di loro. Ci saranno di fatto una manciata di studenti che, per le più svariate ragioni familiari, non hanno modo di andarsene. Questi ragazzi però, per quanto alcuni di loro possano tentare di atteggiarsi da adulti, rimangono comunque dei minorenni e a scuola, da soli, di certo non possono restare. Qui entra in scena il professore Paul Hunham (Paul Giamatti), a cui viene scaricato da un collega il lavoro di babysitter. Capiamo presto che il Professor Hunhan è un uomo solo e cinico, per questo nessuno mostra un minimo di pena per lui, che adesso dovrà restare chiuso nel collegio con dei ragazzetti per tutte le vacanze di Natale. Tanto nessuno dei colleghi si aspettava che lui potesse mai avere altri piani per le festività. E in effetti è così. Giamatti a primo impatto si presenta portatore di tutte le caratteristiche che io stessa ho sempre poco apprezzato in un professore: insegnate di Civiltà Antiche, non disposto a comprendere i giovani, freddo, distaccato, talvolta anche rancoroso e fermamente convinto che nessuno dei suoi studenti sia di fatto un “grande pupillo”. 

“The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Questa attitudine alla vita sembra essere una costante in Hunham, che anche fuori dall’orario scolastico, in una situazione apparentemente più intima, dove lui e soli cinque studenti sono costretti a convivere sotto lo stesso tetto per due settimane, non smentisce mai la sua impassibilità. Tutto cambierà quando inaspettatamente la quiete dell’aula studio (imposto ai ragazzi dal nostro caro professore) verrà interrotta dall’arrivo dell’elicottero del padre di uno degli studenti. L’uomo, che dopo aver finto di non poter andare a prendere il figlio, nel disperato tentativo di impartire lui una lezione dato che non si decideva a tagliare quei capelli a suo avviso ormai troppo lunghi, alla fine cede e arriva a scuola offrendosi di portare tutti quanti nel suo resort a sciare. Un rapido giro di telefonate e la cosa è fatta, se non fosse per la madre di Angus Tully (Dominic Sessa), la quale, nonostante i numerosi tentativi, non risponde al telefono. Gli amici volano via e così in quel grande collegio rimangono in tre: la cuoca della mensa, il Professore e quel ragazzo irascibile e impacciato che, pur non essendo certamente un genio, è di fatto il suo miglior studente. Fino a questo punto il film è molto piacevole, ma è qui che finalmente la storia inizia a brillare.

Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph e Dominic Sessa in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

I due – grazie anche alla mediazione della cuoca Mary (Da’Vine Joy Randolph), unica che sembra leggermente penetrare la corazza di Hunham – iniziano a conoscersi e, prima a fatica poi sempre più naturalmente, a comprendersi. Cominciando da qualche conversazione più intima, fino ad arrivare alla confessione dei loro rispettivi segreti più pesanti, Paul e Angus riescono a dare insieme nuovi significati alle loro esistenze. Di base questo film non porta in tavola niente di mai visto prima: un professore burbero che alla fine scopriamo essere un uomo buono e un ragazzo suscettibile e chiuso che si rivelerà brillante nel momento in cui qualcuno lo vedrà finalmente sotto la giusta luce, andando oltre il suo trauma personale. Allora come mai un film come The Holdovers sta riscuotendo tanto apprezzamento? 

Dominic Sessa in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Incredibili performance – in particolare quella di Sessa, alla prima prova attoriale, scoperto dalla responsabile del casting semplicemente perché era un vero studente della scuola dove sarebbero andati a girare il film – rendono questo film malinconico ma mai drammatico, divertente ma mai banale, profondo ma mai pesante, confortevole e speranzoso senza mai abbandonare il suo realismo. Per riassumere: questo film è genuino. Sulle note di canzoni come The Wind di Cat Stevens, mai fuori posto, The Holdovers è un film leggero e piacevole, che non ti permette però di lasciare la sala con animo distaccato. Un film che nella sua semplicità risuonerà in te per un motivo o per l’altro. Che tu riesca a identificarti direttamente con i personaggi o che tu li veda semplicemente come persone da te lontane nel tempo e nello spazio, oltre che nel carattere, Paul, Angus e Mary portano con loro un’umanità dalla quale non possiamo mostrarci indifferenti. 

Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Catapultandomi direttamente negli anni Settanta, dato che il film non solo racconta una storia di quel periodo ma è anche girato come se ne appartenesse a tutti gli effetti, ho ritrovato in The Holdovers delle grandi verità. Nella mia umile esperienza da studentessa mai mi è capitato di alzarmi in piedi su una sedia e urlare “O capitano! Mio capitano!” a un mio insegnante; invece, soprattutto crescendo, mi è successo di scoprire l’umanità che talvolta si cela anche dietro i professori di Civiltà Antiche. Nessuno di quelli che conosco io però, purtroppo, è mai arrivato a comprendere l’importanza del fermarsi e darsi tempo per capire sé stessi, come farà sul finale il nostro caro Paul Hunham. 

di cesare

“Non nati sumus sicut ipsi” così diceva Cicerone e così dice anche il professor Paul Hunham al preside (e anche vecchio “amico”) della scuola dove insegna, la Barton, prestigiosa scuola per ricchi e benestanti ragazzi (sì, solo per loro) del New England. Prestigiosa sì, ma senza tante pretese eh tanto sono più importanti la politica e gli affari. Ma tralasciando per un attimo questioni più grandi e complesse ritorniamo sul professor Hunham, occhio sbilenco, Paul Giamatti. Tradotta in italiano per chi non ha fatto il Classico (compreso io), Cicerone esemplifica un concetto chiave (“Non siamo nati solo per noi stessi”) a cui oggi (come ieri) poco si tiene conto e poco ci importa alla fine. Perché? Questo ce lo spiega Alexander Payne nel suo ultimo (spero per ora) film “anti-Natalizio” The Holdovers accompagnato miseramente in italiano da Lezioni di vita: perché sì, Payne non ci insegna per niente a come vivere, anzi a come “non-vivere” semmai. Può essere tutto molto confusionario e a tratti utopico come premessa, ma in realtà la trama (a chi importa ormai, tanto è sempre la stessa storia no?) è piuttosto semplice: gli holdovers sono letteralmente i trattenuti, cioè coloro che, per una serie di circostante volute e no, rimangono trattenuti nel collegio dove “studiano” per le vacanze di Natale. Potrebbero essere definiti i “dimenticati”, i “reietti”, vittime di famiglie disfunzionali, problematiche ma che in realtà è tutto solo apparenza: i problemi veri stanno dove non te lo aspetti e dove chi è veramente trattenuto non lo è solo per le vacanze di Natale ma per sempre (?).

Paul Giamatti e Dominic Sessa in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Chi potrà mai essere un “trattenuto” se non il professor scorbutico e anche un po’ saccente Hunham che si ritrova come ogni anno a rimanere a vigilare su un branco di scalmanati e ormonati ragazzi? Tra i ragazzi in questione troviamo un campione di football che tiene di più ai capelli che alla settimana bianca (what?), un piccolo bulletto troppo stupido per capire la propria stupidità, due ragazzini, uno mormone e l’altro sud-coreano ed infine Angus Tully il ripetente dall’animo ribelle ma più sveglio di tutti gli altri. Un bel gruppetto di ragazzetti che pensano di comandare tutto e tutti si scontreranno con l’intransigente (ma ubriacone) professor Hunham a cui fa da controcampo la cuoca afroamericana Mary Lamb (grandiosa Da’ Vine Joy Randolph) che dovrà trascorrere il Natale nel liceo dopo aver ricevuto la notizia della morte di suo figlio impegnato nella guerra del Vietnam.

Paul Giamatti in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Dopo qualche giorno di totale regime e controllo il gruppetto natalizio inizia sfaldarsi sempre di più e il professor occhio sbilenco non vede altra soluzione di punire i colpevoli con ore di studio in biblioteche fredde e abbandonate o con esercizio fisico nel cortile della scuola. mens sana in corpore sana no? Ma durano ben poco le punizioni, quando dal cielo arriva babbo (Natale) con il suo elicottero privato che porta in salvo tutti i poveri malcapitati, perché sì, come fai a rifiutare una settimana bianca? Quindi i colpevoli e gli indisciplinati, alla fine, non lo sono veramente quando un deus ex machina ti risolve la questione. E alla fine chi rimane? Da questo momento in poi Angus, lasciato solo dalla madre che è più interessata a passare le vacanze con il suo nuovo compagno (stranamente straricco) invece che con lui e aspettava con trepidazione questo momento per fuggire dalla scuola opprimente e poco necessaria ad un animo così ribelle e anticonformista, si ritrova con il maleodorante occhio sbilenco (sì, tra le altre cose il professor Hunham è affetto da una malattia particolare che colpisce il suo metabolismo e in sostanza lo fa puzzare di pesce soprattutto a fine giornata) e la cuoca Mary a trascorrere i giorni piùimportanti per una (a-)tipica famiglia americana. Ma le cose andranno per il verso giusto e per questo vi invito ad andare a vedere il film, al cinema naturalmente.

“The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Payne dopo l’insuccesso di critica e di botteghino della commedia sci-fi Downsizing (2017) ritorna con un film che fin da subito ho definito una “chicca”. Questo perché con la sua satira e vena umoristica il regista di Nebraska (2013) riesce a farci toccare con mano (simbolicamente e fisicamente) tutto ciò che a volte viene trattenuto dentro di ognuno di noi e che non abbiamo il coraggio di affrontare. Ogni personaggio, dal professore alla cuoca, sono trattenuti da un profondo senso di mancanza che non possono e soprattutto non riescono a colmare da soli. Chi è pieno di sapere ma vuoto dentro il cuore o chi sembra piena di amore ma che ha perso uno dei suoi più importanti (se non il più importante) in una guerra a cui non doveva nemmeno partecipare, ma la storia la sappiamo già. Pellicola che può sembrare una copia di una copia in un’ottica postmoderna e forse lo è ma a me ha colpito tanti altri aspetti.

Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph e Dominic Sessa in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

Uno di questi è la sensazione opprimente delle istituzioni e di chi le governa, un tratto preponderante capace di appesantire e schiacciare le vite di chi non ha scelto e non ha potuto scegliere altrimenti: come il racconto della diatriba in sede di discussione di tesi del giovane Hunham che si è ritrovato costretto ad accettare una proposta che non poteva rifiutare (ops spoiler!). Si cela tra le pagine toccanti e a tratti leggeri del film una velata critica a tutta quella narrazione ideologica, politica, culturale ormai diventata storica inerente al “sogno americano” che Payne ci racconta dal punto di vista di qualcuno che oltre a non crederci deve purtroppo “inculcarlo” alle generazioni future non sempre interessate al sapere e alla conoscenza proposta dal professor Hunham: gli studenti sono tutti modelli perfetti di chi non conosce Cicerone ma anche di chi non sa nemmeno riconoscere un buon pezzo di fumo.

Dominic Sessa in “The Holdovers” di Alexander Payne (Credits: Universal Pictures).

C’è però un ragazzo, sveglio appunto, che si rende conto (se non già l’ha fatto precedentemente) che tutto questo racconto può essere superato. Angus è il ragazzo sveglio che (ri)conosce il momento di dire una “bugia necessaria” anche se è un bartoniano doc (e loro, in teoria, non mentono mai) e al tempo stesso critica un cattivo utilizzo da parte invece del professore che le usa a sproposito sia per timidezza sia per un senso di inferiorità (esito ancora una volta di questa narrazione ideologica) piuttosto di tirarsela: accanto a sé non ha una moglie e lui non è nemmeno un professore di Harvard ma non per questo uno deve essere meno importante. Film da molteplici letture ma che alla fine si riduce in una mera ricerca del tocco, dell’abbraccio che nessuno dei personaggi ha per tutto il film e che alla fine, in un modo o nell’altro, riescono ad ottenere. È vero, non sono abbracci verso i propri cari, verso un figlio, verso una moglie e nemmeno verso un padre: sono comunque abbracci importanti che non potranno mai cambiare la propria solitudine e le proprie mancanze ma che ci fanno sentire meno soli, insieme. “Non nati sumus sicut ipsi”.

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