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di virginia

Alice Valeria Oliveri (non Olivieri) è giornalista e autrice di libri, “Sabato Champagne”, edito da Solferino e di podcast, “Il decennio breve“, prodotto da Hypercast e si occupa di televisione, attualità e cinema. Ecco il resoconto delle due chiacchiere che abbiamo scambiato.

Il decennio breve è un podcast che racconta la cultura di massa e i principali fenomeni che hanno attraversato i primi anni duemila. Quali risposte avete trovato, fino a ora, e perchè secondo te c’è questo grande ritorno nostalgico a quelle che erano le principali tendenze di quel preciso momento storico?

«Secondo me questo senso di nostalgia è dato da vari fattori: il primo è che periodicamente, ogni vent’anni, si torna indietro. Mi ricordo che quando frequentavo le scuole medie, tra il 2004 e il 2006, andava moltissimo la moda degli anni Ottanta: mi ricordo, ad esempio, questa cosa orrenda degli scaldamuscoli, dei colori fluorescenti. Ancora la moda non era così forte e capillare perchè internet non esisteva e il ritorno così prepotente di un decennio (tutto sommato) vicino è dato proprio dall’avvento di internet, che funziona come un archivio gigantesco. Per la prima volta, quindi, possiamo rivedere a nostro piacimento tutte le cose successe nel passato; se vent’anni fa ci fossimo ricordati di qualcosa successo negli anni Novanta, non avremmo potuto rivederlo: non esistevano RaiPlay, YouTube, etc… Stiamo quindi vivendo una fase di riciclo di immagini e di estetiche di quello e di altri periodi; in particolare, dagli anni duemila sono passati vent’anni e ci siamo ritrovati a storicizzarlo. Questa era l’intenzione che avevamo in mente per il nostro podcast, esistono molte serate basate sulla nostalgia e su quanto ci mancano gli anni Duemila, ma il nostro obiettivo era di fare un’operazione storica, storicizzare quello che è successo in un periodo in cui internet è arrivato. Sono questi due elementi, secondo me, ad aver creato un certo hype intorno a quel periodo; la nostalgia va maneggiata con cura e non ci entusiasmava particolarmente ricordarci “quanto si stava meglio prima” o quanto erano meglio quegli anni».

Credi che, in un certo senso, la cultura di massa di quegli anni forse più pervasiva di quella di oggi e avesse, quindi, una presa maggiore sul pubblico e su chi ne usufruiva? Del resto, se oggi non ci interessa un contenuto o un prodotto audiovisivo, possiamo sempre non guardarlo e scegliere altro.

«Questa era una sensazione data dalla tv, che era un mezzo verticale: se mandavano un programma su Italia Uno, quello andava visto; è con l’arrivo dei download su internet iniziano a crearsi le cosiddette bolle. Mi ricordo, ad esempio, il momento in cui tutti iniziarono a guardare Breaking Bad: era considerata la “serie di qualità”, chi voleva passare come appassionato andava a scaricarsi questa serie perchè quelle di più bassa qualità erano trasmesse in televisione. Effettivamente, questa sensazione di cui parli, che secondo me è fondata, dipende dal fatto che non avevi scampo: oggi, ognuno con la propria bolla, può crearsi la propria nicchia e il proprio spazio grazie a internet; è un aspetto positivo ma rappresenta anche un lato negativo di questo mezzo. Se nel 2040 ci saranno mai trentenni che vorranno fare un podcast sugli anni Venti, sarà difficile individuare argomenti così trasversali: le uniche cose che vengono guardate da tutti, alla fine, si ritrovano in Sanremo o nelle partite di calcio, forse, al massimo, Mare Fuori può essere qualcosa che hanno visto tutti. Se vent’anni fa avessi voluto vedere la televisione dopo pranzo, per forza dovevo sorbirmi Paso Adelante, non ero io a scegliere la serie da guardare».

Dal punto di vista dei contenuti proposti dai palinsesti, ho invece l’impressione che nel corso degli anni ci sia stata una progressiva presa di coscienza su che cosa fosse il caso di mandare in onda e che cosa no, sento di vedere che sono stati fatti dei progressi su molti temi sociali e su come le figure femminili vengono inquadrate nel mondo televisivo.

«Anche da questo punto di vista, internet ha fatto moltissimo. Dal momento in cui internet ha preso campo e si è diffuso, la voce si è distribuita, e tu a diciott’anni, nel 2008 volevi fare qualcosa del genere, comunque era un tipo di attivismo che potevi fare al collettivo a scuola, magari durante una manifestazione, non era così capillare questo discorso e non c’era la stessa attenzione che si riscontra oggi su questi argomenti. Oggi, invece ci sono centinaia di migliaia di persone che ne parlano attraverso i loro canali Instagram; effettivamente internet ha dato voce a queste realtà. Mentre oggi possiamo leggere moltissimi giornali e testate straniere, non era così facile accedere alla stessa molte di informazioni, ad esempio nel 2005». 

Recentemente hai detto che finché esisteranno figure del calibro di Amadeus, la televisione continuerà a resistere. E dopo che cosa succede?

«Non so quale possa essere l’evoluzione della tv: sicuramente questi presentatori hanno un bel po’ di anni davanti. I numeri della televisione calano ogni anno, il bacino d’utenza della televisione è sempre più ristretto. È un processo molto lento e secondo me non sparirà mai del tutto; è anche vero che i soldi sono sempre meno, le produzioni sono sempre meno fastose rispetto a vent’anni fa, quando la televisione aveva toccato il suo apice. Probabilmente assisteremo a una convergenza di piattaforme (RaiPlay, Mediaset Infinity…), ci sarà sempre più ibridazione e sarà molto meno palese la differenza tra un prodotto pensato per l’online e un prodotto pensato per la televisione». 

Già Mare Fuori sta andando in questa direzione.

«Sì, già Mare Fuori si sta muovendo in questo senso, anche se rappresenta un caso-limite. È stata un grande successo per una certa fascia d’età, ma se andiamo a guardare le fiction Rai, sono molto “televisive” e viste da una fascia d’età più alta che ancora guarda moltissimo queste cose».

Credi che con il ricambio generazionale si andrà a perdere questa concezione di televisione?

«Perdere del tutto credo di no, sono convinta che la televisione non morirà del tutto ma cambierà il modo in cui opera. Sarà sempre di più una partnership tra le piattaforme e la televisione. Magari mi sbaglio, con la tv sono state fatte molte previsioni e non tutte si sono avverate – sono dieci anni che andiamo dicendo che la tv sta morendo, eppure è ancora in piedi. A livello di personaggi televisivi, fatico, invece, a immaginarmi un “altro” Amadeus: non mi sembra neanche che la tv si stia impegnando particolarmente a creare nuovi personaggi. Hanno capito che la cosa che funziona è l’”usato”, i programmi che fanno il maggior numero di ascolti sono programmi vecchi, quasi nessuno è un programma recente. I programmi di Maria De Filippi esistono da più di dieci anni, sono nati in un periodo di prosperità ed è come se rimanessero una certezza. Amici ha sempre seguito un cambio generazionale: non è un programma che viene visto da trentenni o quarantenni perchè erano gli stessi a guardarlo quando avevano quindici anni; lo guardano i giovanissimi. Se guardiamo alcuni programmi prodotti da piattaforme, ci troviamo dentro molte caratteristiche televisive; ad esempio LOL è un tipo di programma che potrebbe essere fatto benissimo su Canale 5, non ci sono differenze tra piattaforma e televisione in un prodotto del genere. Anche le piattaforme spingono verso la televisione, come se ci fosse una convergenza. È però vero che la televisione mantiene ancora qualcosa di suo, che le piattaforme streaming non hanno, cioè la diretta, la possibilità di poter assistere a un evento unico. Forse questo potrebbe essere il futuro, ma è difficile fare previsioni del genere, sono pronostici molto fluttuanti».

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