Skip to main content

di emma

shocking responses to oscar snubs just prove white feminism’s point

Le nomination agli Oscar talvolta stupiscono più delle vincite stesse. Dal momento che esse vengono rivelate già ad Awards Season inoltrata, i candidati si collocano in un bacino di nomi tendenzialmente prevedibile. Tuttavia, il sistema delle nomination dell’Academy non corrisponde esattamente al resto dei premi conferiti durante questo periodo, anche solo per il fatto che il numero dei possibili elettori è nettamente più alto – quasi diecimila professionisti del settore: e ciò ogni tanto può regalare qualche sorpresa. Nel caso degli Oscar 2024 a destare scalpore non è stata la prima candidatura ottenuta da una persona Nativa Americana – Lily Gladstone come Miglior Attrice Protagonista – ma piuttosto l’assenza di Margot Robbie e Greta Gerwig, nelle rispettive categorie di Attrice Protagonista e Regista. Questa scelta ha scatenato un caos mediatico quasi senza precedenti, al cui apice possiamo collocare, ex aequo, il tweet di Hillary Clinton e un articolo di Mary McNamara sull’LA Times, Shocking Oscar snubs for ‘Barbie’s’ Greta Gerwig and Margot Robbie just prove the movie’s point.

Barbie è stato un fenomeno senza precedenti – soprattutto nel suo essere il primo film mai diretto da una donna a  incassare più di un miliardo di dollari al botteghino – che ha vantato numerosi riconoscimenti quest’anno, dal Golden Globe per Box Office Achievement (decisamente un po’ kitsch) ai premi ricevuti per la colonna sonora, scenografie e costumi, oltre a tante altre numerosissime candidature ai Globes, BAFTA e Critics’ Choice Awards.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Un altro primato raggiunto da Barbie è l’aver avuto un grande successo non solo di pubblico ma anche di critica – elemento che l’Academy non ha affatto ignorato. Oltre a essere candidato a Miglior Film (David Heyman, Margot Robbie, Tom Ackerley, e Robbie Brenner), Barbie vanta altre 7 candidature, tra cui ad America Ferrera per Miglior Attrice Non Protagonista, Migliore Scenografia (Sarah Greenwood e Katie Spencer), Migliori Costumi (Jacqueline Durran), Miglior Sceneggiatura Non Originale (Greta Gerwig e Noah Baumbach) e ben due nomination a Miglior Canzone (“I’m Just Ken” di Mark Ronson e Andrew Wyatt e “What Was I Made For” di Billie Eilish e Finneas O’Connell), nonché la tanto criticata candidatura come Miglior Attore Non Protagonista a Ryan Gosling – candidature che, tra l’altro, non escludono neanche Gerwig o Robbie (per la prima volta candidata come produttrice). In particolare nel caso della seconda quasi tutte le interviste relative al film si concentrano di più su i suoi aspetti produttivi (comprese le interviste più centrate sulla performance, come Actors on Actors con Cillian Murphy). Del resto, Robbie si è avvicinata al progetto prima come produttrice e solo dopo vi si è ritrovata a recitare: proprio per questo la sua nomination risulta ancora più significativa.

Barbie
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Da qualche parte nel mio computer c’è un file in cui cerco di riflettere non tanto su Barbie ma sulla forma di critica che si è sviluppata intorno ad esso – e di come mi ricordi il tipo specifico di white feminism che viene strumentalizzato da Taylor Swift e dalla sua fanbase. E’ innegabile che alcune critiche ricevute dal film fossero chiaramente anti-femministe, ma anche che ce ne siano state tante altre più che legittime – le quali soltanto un certo tipo di femminismo liberale ha scelto di interpretare in modo negativo. Ciò che mi ha spinto a scrivere sulla questione delle nomination è proprio questo aspetto problematico legato non al film in sé ma alla critica che lo circonda – considerato anche quanto sono personalmente affezionata alle due protagoniste involontarie di questa vicenda. 

Barbie
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

L’articolo di McNamara – che, ci terrei a precisare, ha vinto un Pulitzer nel 2015 – è una delle espressioni più becere di white feminism che ho avuto la sfortuna di leggere. L’argomento principale dell’articolo – idea condivisa anche da parecchi user su X/Twitter – sta tutto nel suo titolo: non solo scegliere di non candidare Gerwig e Robbie è atroce, è doppiamente atroce che invece ad essere riconosciuto sia Ryan Gosling (nonostante a rigor di logica lui concorra in una categoria diversa). Questa scelta è, a detta dell’autrice, causata da una mancata comprensione o volontaria scelta di ignorare il messaggio del film, non considerando le donne che lo hanno prima di tutto reso possibile. In realtà, è stato proprio il loro ruolo nella creazione e produzione del film a essere stato riconosciuto dall’Academy.

Barbie
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Ma il peggio deve ancora venire. Non solo McNamara giustifica l’assenza di nomination in questo modo, ma rimprovera persino a Margot e Greta di non avere sottolineato abbastanza l’incredibile difficoltà affrontata nel realizzare questo lavoro, e di aver parlato invece troppo di quanto fosse stata un’esperienza bellissima, dal momento che “it was a great year for film and all of the nominees did tremendous work, but no director or actor faced the same degree of difficulty as Robbie and Gerwig.” Affermazione di un’ignoranza terribile, considerando appunto che in ambito Oscar esistono ancora persone la cui candidatura costituisce un primato o, ad esempio, che candidato nella stessa categoria di Barbie ci sia un film come Past Lives, diretto da una regista coreana, con un budget basso e una distribuzione limitata – con un millesimo della possibilità di raggiungere pubblico e critica rispetto a quella che ha avuto Barbie

“Past Lives” di Celine Song (Credits: A24)

Il meccanismo per cui due donne bianche (e ricche) vengono messe sullo stesso piano di soggetti meno privilegiati ricalca una delle strategie più vecchie usate dal femminismo bianco: nell’84, in Feminist Theory: From Margin to Center, bell hooks sottolinea come l’enfasi femminista statunitense dell’epoca sull’”oppressione comune” non fosse una strategia politica, ma un’appropriazione da parte di donne liberali e conservatrici di un vocabolario politico preciso – in modo da nascondere il loro indirizzare il movimento femminista verso i loro interessi di classe. Anche il tweet di Hillary Clinton si colloca su quest’onda: nel commentare la mancanza di nomination per Margot e Greta, Clinton fa un non troppo sottile riferimento alla sua mancata vittoria alle presidenziali del 2016, suggerendo ancora un elemento di oppressione comune nell’esperienza di “donne quindi oppresse”. Ritroviamo questo elemento nell’incipit dell’articolo dell’LA Times, in cui l’autrice paragona Barbie agli altri candidati della stessa categoria – in particolare, quelli riguardanti personaggi femminili:

If only Barbie had done a little time as a sex worker. Or barely survived becoming the next victim in a mass murder plot. Or stood accused of shoving Ken out of the Dream House’s top window.

Certainly millions of “Barbie” fans are currently wishing they could push someone — perhaps a member or two of the film academy — out of a very high window.

“Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese (Credits: Apple TV+)

Il commento più ingiustificato nonché indiscutibilmente razzista è il riferimento al ruolo di Lily Gladstone in Killers of the Flower Moon, che mostra un’enorme mancanza di sensibilità non solo verso l’attrice ma anche verso il fatto che si tratti di un film che rappresenta eventi realmente accaduti. Non mancano critiche dirette ad Anatomia di una caduta – apparentemente secondo McNamara il fatto che sia scritto e diretto da una donna e che ritragga un personaggio femminile articolato e complesso non lo mette comunque sullo stesso livello di Barbie – e a Povere Creature, che proseguono anche più avanti:

It’s difficult not to contrast the limited nominations for “Barbie” with the overwhelming amount of academy love shown for “Poor Things,” another fantastical story of a “manufactured” woman finding her way in the world, though hewing more to traditional Oscar-approved lines.

The “what was I made for” themes are remarkably similar, but “Poor Things” is, in many ways, the male gaze on a plate — what exactly are we to make of the sight of a full-grown woman with the brain of a child discovering the joy of orgasm? Or her literal childlike appreciation for sex? Or her questionable, if more mature, decision that sex work is the obvious, and enjoyable, answer to her need for sex and money.

“Povere Creature!” di Yorgos Lanthimos (Credits: Biennale)

Premesso che dopo aver visto per la prima Povere Creature a Venezia non avrei esattamente scommesso su questo film come il preferito dell’Academy nel 2024 – soprattutto per le scene esplicite. McNamara considera il film come massima espressione del male gaze, in quanto diretto da un uomo e contenente scene di sesso, implicando, in senso più patriarcale che mai, che la scelta da parte di Lanthimos di rappresentarlo sia unicamente diretta al piacere maschile, e definendo il sex work come una pratica necessariamente degradante.  Questo tipo di ragionamento dimostra una lettura abbastanza superficiale nel film, che non tiene in conto di diversi elementi, tra cui innanzitutto la forte presenza del piacere e di agency nel personaggio di Bella, ma anche del semplice fatto che tutti i personaggi maschili presenti in Povere Creature siano quasi più patetici di tutti i Ken in Barbieland.

Leave a Reply