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di giovanna

Nel suo Bones and all il regista Luca Guadagnino ci costringe a sbattere contro lo schermo, manifestando chiaramente la nostra tendenza intrinseca a demonizzare le pulsioni irrefrenabili e inaccettabili, ci invita a metterci in discussione davanti a una critica al puritanesimo e ai nostri ideali fin troppo manichei, e per farlo mette in scena la parabola di un amore che divora fino all’osso e che dalla crudeltà e dall’alienazione – iperbole dei sentimenti che ci sconquassano durante il primo innamoramento – trae la sua linfa vitale.

Timothée Chalamet e Taylor Russell in “Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Di Lee (Timothée Chalamet), la prima cosa che Maren (Taylor Russell) avverte è l’odore. Un’aroma acre e al contempo ipnotico, simile al sapore rugginoso del sangue fresco quando tocca la punta della lingua, pungente come una spina. Lo riconoscerebbe tra migliaia di persone, quell’impronta che è al contempo appartenenza e condanna, inconfondibile e selvaggio. Dall’odore può percepire la sua fame, l’impulso fuori controllo e ferino che parte dal profondo del suo ventre efebico e confonde i sensi, o forse li acuisce come quelli di un predatore che torna a cacciare dopo un periodo di magra; fame di tornare a mordere la vita senza sentirsi annegare nel senso di colpa, e una fame più ancestrale, quella che da sempre spinge gli uomini e gli animali ad abbandonare le tane e i luoghi sicuri pur di placare il languore che li porterebbe alla follia.

Timothée Chalamet e Taylor Russell in “Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Per la prima volta nella sua travagliata vita Maren si lascia conquistare dal sentore martellante del pericolo, vinta forse da quel suo bisogno di colmare la solitudine, di trovare un complice nella sua vita di esule perenne. In Lee trova un compagno con cui potersi sentire fuori luogo in ogni dove, sola tra la gente ma sempre insieme a lui, outsider che cammina perennemente in direzione ostinata e contraria. Loro due contro il mondo, solo un pick-up scassato e qualche vestito sgualcito a proteggerli dalla paura del buio e dell’abbandono, da una società che non li capirebbe e dalla loro stessa natura incontrollabile. I paesaggi del Nord America scorrono fuori dai finestrini, la necessità di trovare un gruppo a cui appartenere sfuma pian piano poiché ogni incontro con altri cannibali evidenzia quanto i due giovani siano profondamente diversi da tutti, incompatibili e stranieri ovunque. 

Bones and All
Timothée Chalamet in “Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Non c’è luogo che possa accoglierli, se non le braccia l’uno dell’altro. Maren solleva il velo di Maya e si scopre parte di un mondo di mostri che vivono d’istinto, e Lee arriva appena in tempo per salvarla prima che rimanga intrappolata sotto questa schiacciante e terribile consapevolezza. La aiuta, se non ad accettarsi, almeno a non arrendersi alla propria natura, le insegna le difficili regole di sopravvivenza nel mondo delle creature dimenticate da Dio.

Bones and All
Taylor Russell in “Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Rispetto a Maren, Lee reprime difficilmente la sua sessualità disinibita: per lui cacciare le vittime non è solo un modo per soddisfare la sua attrazione per il sangue caldo, nè un modo per placare il suo istinto famelico. Nelle vittime – di entrambi i sessi – non cerca solo la carne pulsante e la linfa inebriante dell’adrenalina prima della morte, ma l’avventura dell’amplesso che precede il pasto, la possibilità di ascoltare l’ultimo battito del cuore dei malcapitati a cui sta per togliere la vita. Ma è subito dopo essersi saziato – e questa sensazione si rafforza con l’arrivo di Maren nel caos della sua esistenza – che arriva la coscienza a picchiettare insistentemente nelle pareti della sua testa, con incubi che gli rendono difficile chiudere gli occhi per abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Conoscersi è per loro un evento salvifico, uno spartiacque tra la desolazione e l’incertezza per un futuro che sembra sfrecciare più veloce di loro verso l’oscurità e la rarefazione della loro natura umana a favore di quella bestiale.

Bones and All
“Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Un amore tra mostri, l’incarnazione di ciò che ci hanno insegnato a condannare e che ci spaventa proprio perché risveglia la parte di noi che, tra la brutalità del cannibalismo, il sentimento di incontrollabile e innata repulsione per il sangue umano e l’asservimento alla morale collettiva che disapprova fortemente la tendenza all’asocialità e alla vita vissuta ai margini, riesce comunque a intravedere la tenerezza e le difficoltà del primo amore che consuma e accende.

Bones and All
Timothée Chalamet e Taylor Russell in “Bones and All” di Luca Guadagnino (© Metro Goldwyn Mayer Pictures)

Dopo la delicatezza dolce amara che ha reso Call me by your name uno dei film più apprezzati degli ultimi anni, Guadagnino opera una disarmante variazione sul tema e ci regala un’opera straordinaria e forte che difficilmente dimenticheremo, grazie anche alle interpretazioni di un cast davvero incredibile dove Taylor Russell (per la prima volta protagonista in una grande produzione, e questa pellicola la consacra di diritto tra le migliori giovani attrici della sua generazione), Timothée Chalamet e Mark Rylance – che rappresenta in modo sublime l’aria inquietante e subdola del suo personaggio Sully – la fanno da padroni e si stagliano potenti davanti ai paesaggi ampissimi dell’America più selvaggia, indagati nella loro desolata magnificenza dalla macchina dagli occhi del regista italiano, sempre pronti a cogliere tutta la bellezza e il dolore. Non perdetevela per niente al mondo.

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