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di francesca

Quando Wes Anderson e Agatha Christie si incontrano (ma ciò non basta).

Sam Rockwell (Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, Jojo Rabbit) e Saoirse Ronan (Piccole Donne, Maria regina di Scozia) tornano sul grande schermo nella nuova commedia poliziesca di Tom GeorgeOmicidio nel West End, nominata ai Bafta 2023 nella categoria Miglior film. 

“Omicidio nel West End” di Tom George (Credits: 20th Century Studios)

West End, Londra, 1953. Dopo il successo dell’opera teatrale di Agatha Christie “Trappola per topi”, il produttore John Woolf (Reece Shearsmith) vuole farne un adattamento cinematografico. Ma i suoi piani vengono interrotti quando il regista, Leo Köpernick (interpretato da un magistrale Adrien Brody), viene ucciso e “messo in scena” sul divano del teatro. Siamo, fin da subito, introdotti nelle dinamiche dei personaggi attraverso il voice over di Brody, purtroppo ben poco presente sullo schermo rispetto a quanto ci aspetteremmo. Hanno, così, inizio l’azione vera e propria e le indagini di un disincantato ispettore Stoppard (Sam Rockwell) con al seguito un’esuberante agente Stalker (Saoirse Ronan), che non si rivelerà affatto ingenua, contrariamente a quanto si percepiva – o si voleva far credere! – nei primi minuti della pellicola.

Omicidio nel West End
“Omicidio nel West End” di Tom George (Credits: 20th Century Studios)

I due detective devono, dunque, muoversi tra il mondo del teatro e quello del cinema in questo caleidoscopico labirinto di personaggi. Ma ognuno di questi sembra essere un tipo molto rigido senza una reale possibilità di evoluzione dal punto di vista narrativo (eccezione fatta per l’agente Stalker): si tratta di personaggi estremamente caricaturali – come l’attore Richard Attenborough (Harris Dickinson, già visto nel Triangle of Sadness di Ruben Östlund, film vincitore della Palma d’oro al 75° Festival di Cannes), ossessionato dai suoi discorsi – ma che alla fine risultano deboli e soprattutto poco verosimili. In fin dei conti, essi finiscono per apparire come pedine del Cluedo, che si muovono sulla scena in maniera predefinita tanto quanto i ruoli da loro interpretati a teatro.

Omicidio nel West End
“Omicidio nel West End” di Tom George (Credits: 20th Century Studios)

Per quanto riguarda la struttura del film, si tratta di un tipico whodunit alla Agatha Christie che avrebbe potuto essere molto più audace ma non lo è stato. Nel complesso, il risultato è sicuramente gradevole, anche per la sua durata (quasi un’ora e quaranta minuti) che lo rende molto piacevole da guardare, ma ciò non basta. Non c’è la vivacità che abbiamo già visto in Knives Out di Rian Johnson, e nemmeno i colpi di scena delle avventure dell’Hercules Poirot di Kenneth Branagh. E quello che dovrebbe essere l’ultimo grande colpo di scena al fine di rivelare l’assassino, risulta di gran lunga più prevedibile del dovuto, sfruttando allo stremo gli stereotipi del genere whodunit (uno tra i tanti, quello di riunire tutti i sospettati nella stessa stanza al momento dello scioglimento finale). Per quanto concerne le dinamiche tra i personaggi, Tom George e lo sceneggiatore Mark Chappell si avvalgono, ancora una volta, degli elementi tipici del genere giallo, quali tradimenti, vendette, segreti, senza, tuttavia, sfruttare al massimo tali dinamiche narrative, cedendo, talvolta, il passo a banalità e prevedibilità. In breve, come dice lo stesso Leo Köpernick all’inizio del film, “è un giallo poliziesco: quando ne hai visto uno, li hai visti tutti”. E non ha torto.

Omicidio nel West End
“Omicidio nel West End” di Tom George (Credits: 20th Century Studios)

Guardando Omicidio nel West End, ci si rende conto che ha qualcosa del cinema di Wes Anderson: la scelta della palette di colori caldi (la prima parte, in particolare, e soprattutto l’utilizzo del viola e del rosa, strizzano l’occhio a Grand Budapest Hotel), l’uso della tecnica dello split screen e la presenza di Saoirse Ronan e Adrien Brody (co-star nel già citato Grand Budapest Hotel e nel più recente The French Dispatch) tra gli attori principali sono chiare allusioni al cinema del regista americano. 

Omicidio nel West End
“Omicidio nel West End” di Tom George (Credits: 20th Century Studios)

D’altra parte, la scelta metacinematografica di mostrarci ciò che avviene dietro le quinte e, quindi, le storie degli attori teatrali e non dei personaggi della commedia, è la carta vincente del film. Anche la colonna sonora, firmata Daniel Pemberton (The Great Game, Being the Ricardos, Enola Holmes), contribuisce a mantenere il ritmo del film incalzante, senza, però, escludere sporadici cali di tono. Insomma, nell’era della rinascita del murder mystery (Glass OnionAssassinio sul Nilo, l’atteso A Haunting in Venice), ci aspetteremmo qualcosa di più. La scelta di non osare mai fino in fondo risulta essere una vera e propria condanna poiché, di fatto, non assistiamo ad alcun tipo di innovazione degno di essere ricordato. In definitiva, Omicidio nel West End aspira ad essere una commedia poliziesca leggera e divertente per passare il tempo, ma non lascia il segno.

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