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di ilaria

Il teatro dietro lo schermo

Il castello di Barbablù (Herzog Blaubarts Burg), film tedesco del 1963 diretto da Micheal Powell, ci fa immergere nel mondo immaginario del terribile Barbablù. Il film riprende l’opera in un atto del compositore ungherese Béla Bàrtok, scritta per soli due personaggi. La storia narra di un uomo ricco che porta la sua nuova giovane sposa all’interno del proprio castello, chiedendole di non aprire alcune porte perchè nascondono il suo passato.

Il film ci mostra proprio cosa si cela dietro queste sette porte e si sofferma sull’incessante richiesta della nuova moglie di scoprire sempre di più andando incontro a un destino incerto. Infatti, dietro ogni porta, troviamo un piccolo segreto: una serie di micromondi che rappresentano la sua malvagità e le sue ex mogli misteriosamente scomparse.

La scelta artistica del regista di non sottotitolare tutta l’opera in inglese e lasciarla quasi completamente in tedesco, se non per delle piccole descrizioni, è dovuta a una richiesta di totale immersione da parte dello spettatore in questo spettacolare ambiente teatrale. Le scenografie realizzate senza effetti speciali, con stagnole, manichini e (probabilmente) cartapesta, ci danno l’idea di essere proprio a teatro, e non al cinema a vedere un semplice film. Bertrand Tavernier descrive la scenografia come: «un unico set un labirinto tortuoso e imprevedibile: un labirinto mentale, che è perfettamente in sintonia con la musica di Bartók». Resta evidente come, con il castello si identifichi l’anima cupa e tortuosa del protagonista, in particolare tramite questi elementi scenici appuntiti e misteriosi e la continua penombra che pervade l’ambiente.

“Il castello di Barbablù” di Micheal Powell (Credits: BFI)

Come ci fa notare Alessandro Cecchi in un suo articolo, contenuto nella rivista Arabeschi, vediamo come l’unica cosa che guarda Blaubart è la sua nuova moglie, mentre lei continua a guardarsi intorno perchè incuriosita, spaventata e dispersa nel grande castello del duca. Particolarmente bella è la sequenza che ricorre alla sovrimpressione della figura di Judit negli occhi di Barbablù, sommandosi alle trasparenze in scena, dimostrando come la personalità della nuova moglie verrà inglobata nel “castello” del duca, quasi divorandola. Ciò avviene proprio con l’apertura dell’ultima porta, momento in cui sul viso di Judit è evidente la comprensione di ciò che l’aspetta. Questa stanza nasconde le tre mogli di Barbablù, rappresentate tramite dei manichini, a ricordarci che, ormai, non hanno più un’anima. Ognuna di loro è vestita come l’alba, il mezzogiorno e il tramonto, cioè come i momenti della vita del duca che ha passato con loro. E Judit, considerata la più bella tra tutte, diventerà la notte, che lo accompagnerà per sempre in questa vita fatta di ombre e oscurità. Così, Judit viene adornata con molti gioielli pesanti, che la costringono a reclinare la testa e, quindi, a prostrarsi a lui.

Herzog Blaubarts Burg è un film interessante che elabora il tema della curiosità tramite una celebre storia di possessione e segreti e che può essere perfettamente riadattato alla contemporaneità. Un film che ci permette di comprendere l’importanza del teatro all’interno del cinema, in un’era in cui sembriamo aver dimenticato la bellezza della messa in scena teatrale.

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