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Di che cosa parliamo, quando parliamo di “Oppenheimer” di Christopher Nolan? Abbiamo provato a mettere insieme, in questa sorta di tavola rotonda, pensieri, parole, opere, omissioni e tutto quello che ci è passato per la testa durante (e dopo) la visione del film. Prendete sul serio queste nostre parole, ma con moderazione.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

virginia

Oppenheimer di Christopher Nolan arriva in Italia un mese dopo rispetto a Barbie di Greta Gerwig. Ma questa è una storia che sappiamo. Mentre il resto d’Europa (e del mondo, direi?) si schierava a favore di uno o dell’altro film, qui abbiamo dovuto aspettare alcune settimane in più per dare il verdetto finale. Nolan, nel pubblicizzare la sua ultima fatica, ha deciso di non intraprendere una propaganda martellante come ha fatto la Gerwig; del resto sono bastati i numerosi reel che hanno intasato Instagram nelle ultime settimane a far capire allo spettatore medio che, al momento dell’uscita in sala, ci si sarebbe trovati davanti a una pellicola curata nei minimi dettagli. A dire la verità, ho perso il conto di tutti quei video dalla durata di non più di trenta secondi, tutti che esordiscono alla stessa maniera (“se stai per andare a vedere Oppenheimer, di sicuro il formato in cui lo vedrai non è quello giusto…”), e se, alla fine dei conti, sono proprio finita a vedere il film esattamente come dio Nolan ha voluto, in IMAX 70mm, non è stato merito loro.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Oppenheimer mi è piaciuto così tanto che sono tornata a vederlo (tornata da Praga, solo in IMAX) e vorrei soffermarmi sulla fauna antropologica in cui mi sono imbattuta entrambe le volte in cui sono andata al cinema, ma forse questo è un discorso che merita una parentesi a parte. Come era successo per Barbie (ma anche per Top Gun 2: Maverick, rendendo a Cesare quel che è di Cesare), il film di Nolan ha portato in sala probabilmente anche chi, in sala, non ci tornava da una vita. Se mi sono sentita esattamente come Woody Allen in quella scena di Io e Annie quando i due spettatori seduti al mio fianco si sono improvvisati esperti dell’IMAX e della Sala Energia di Melzo, salvo poi spiegarsi a vicenda che il formato in cui era stato girato il film era in 16:9? Sì, però almeno mi sono divertita nei dieci minuti che hanno preceduto l’inizio del film. Tra l’altro, mi trovavo a 296 km da Melzo, quando sentivo questi discorsi, ma tant’è.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Ma torniamo al film: Oppenheimer dura tre ore e, in qualche modo inspiegabile, allo stesso tempo tutto si esaurisce in quindici minuti. Oltre ai due piani narrativi apertamente dichiarati a inizio pellicola (“Fissione” e “Fusione”), la storia si snoda in due atti, la cui fine del primo e l’inizio del secondo sono segnati dall’esplosione di prova della bomba che è stata creata a Los Alamos. Se il primo atto scorre freneticamente, alla stessa maniera in cui frenetica era la corsa agli armamenti degli Stati Uniti d’America, alimentata dal fervore di voler concludere la Seconda Guerra Mondiale con la vittoria degli alleati, il secondo, invece, pur senza rallentare il ritmo, cambia di tono, con sequenze molto più lunghe rispetto a quelle del primo, incentrandosi sul processo-caccia-alla-strega che ha visto Oppenheimer (Cillian Murphy) coinvolto al termine della guerra.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

È cosa risaputa che Nolan non abbia paura di ricreare situazioni estreme senza l’uso della computer grafica e, anche nel caso di Oppenheimer, ha mantenuto fede alla propria parola, dilettandosi a ricreare l’esplosione di una bomba atomica. Più che sulla spettacolarità dell’esplosione – la cui sequenza, sia dal punto di vista visivo, del montaggio e del suono rimane una delle migliori di tutta la pellicola – vorrei soffermarmi sugli effetti visivi realizzati nelle sequenze in cui Robert Oppenheimer sogna più o meno a occhi aperti. Non per continuare a fare riferimento ai reel che mi capitano tra i suggeriti Instagram, ma ne ho trovato uno in cui vengono riprodotti gli effetti visivi che Nolan ha usato per le sequenze oniriche e, fino a ora, devo ancora ritrovare una serie di scene che mi abbia lasciato a bocca aperta (e a sbavare davanti allo schermo) come queste.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

È ovvio che per ricreare l’esplosione di una bomba servano alti livelli di tecnicismo (oltre che sostanziosi fondi economici) ma lo stesso non si può dire per le sequenze che ricreano il movimento delle stelle nello spazio, il calore del sole e lo spostarsi delle nubi; forse ho finalmente capito che cosa intendeva dire la mia professoressa di storia del cinema quando cercava di spiegare a una classe intera abituata a vedersi le serie di Netflix sullo schermo di uno smartphone perchè il cinema delle origini riuscisse a provocare un così alto livello di stupore nel pubblico, pur con mezzi ancora molto rudimentali – ma nel caso di Nolan possiamo dire, invece, semplici. Insomma, potevo riassumere il tutto con: wow, che bello, la magia del cinema.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Non sta a me spiegare tutti i tecnicismi che rendono Oppenheimer un grande film (colpa del linguaggio tecnico che ancora non mi sono decisa a padroneggiare ma, soprattutto, colpa della mia pigrizia) e quindi mi soffermo per un attimo sulla tanto animosa questione delle Donne-Nei-Film-Di-Nolan. Sì, è vero, in una pletora di personaggi maschili, vediamo comparire solo due donne, che per di più girano intorno alla figura di Robert Oppenheimer, protagonista indiscusso della pellicola – ma diciamo che forse, il titolo stesso del film può essere un buon indizio su quale chiave di lettura adottare durante la visione. Una domanda, però, sorge spontanea: chi, tra tutti i personaggi che vediamo sullo schermo, dal generale Groves (Matt Damon) alla spia sovietica, non ruota intorno al nostro Robert?

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Sì, è vero, entrambi i personaggi femminili, cioè la moglie Kitty (Emily Blunt) e l’amante Jean (Florence Pugh) si caratterizzano sempre in relazione a Oppenheimer, forza centrifuga del film – lo ripeto ancora una volta perchè repetita iuvant – ma non funziona così anche per il resto dei personaggi che vediamo? Non sono solo le donne a cadere ai piedi del fisico, ma i servizi segreti a braccarlo, un vecchio collega a montare su un intero processo-farsa contro di lui, il generale dell’esercito incaricato di costruire il Pentagono che va a prelevarlo dai suoi uffici universitari per metterlo a capo del Progetto Manhattan. Su come tutti i comprimari di questa pellicola vivano praticamente in funzione del protagonista, ci si possono leggere vari riferimenti al mondo della scienza – primo tra tutti e forse, anche il più immediato, lo stesso funzionamento degli atomi di cui tanto si parla; ognuno di questi personaggi ha una relazione ben definita con Oppenheimer e ciò che le accomuna tutte è proprio il rapporto di dipendenza nei confronti dello studioso.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Non prendiamoci in giro: tutti sapevamo benissimo a cosa stavamo andando incontro nel vedere un film ambientato negli anni Quaranta del secolo scorso negli Stati Uniti d’America: è il fisico stesso a sottolineare e a vantarsi, nel suo ufficio di Los Alamos, di «aver trovato impiego a tutte le mogli dei docenti come segretarie all’interno del progetto», come se non potessero esistere altre mansioni al di fuori di questa. Posso capire che quando andiamo a guardare Tenet, film di fantascienza ambientato nella contemporaneità, e vediamo che Elizabeth Debicki è stata inserita nel cast per interpretare la parte della Bella-Donna-Moglie-Del-Criminale-Ricco ci si possa, giustamente, innervosire con Nolan. Ma non credo che questo sia il caso di Oppenheimer.

giulia

Il mio commento sull’ultimo lavoro di Nolan sarà breve. Ho visto il film ormai un mese fa e sinceramente già fatico a ricordami i dettagli. Oppenehimer, almeno per me, è stato un lungo tentativo durato tre ore di cercare qualcosa di profondo da dire, senza riuscirci. Non mi spingerò ad affermare che il film è oggettivamente mal riuscito, mentirei se ci provassi, ma a questo giro Nolan ha fallito con me, una delle più grandi fan delle pellicole esageratamente lunge e intrinseche di conversazioni fini a se stesse che alla fine tanto senso non hanno. Non ho odiato Tenet a differenza di molti, tanto per dare un metro di paragone.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

L’esperienza visuale ovviamente funziona, accompagnata da una musica eccellente che però ho trovato spesso posta un po’ a caso con il puro fine di far sembrare le scene più grandi e potenti di quello che realmente erano. Tutto viene presentato come la storia di un solo uomo, e questo lo si capisce bene da come molti degli infiniti personaggi secondari siano poco sviluppati. Una marea di ombre intorno all’unico personaggio su cui Nolan si sia davvero dedicato, quello di Cillian Murphy. Il regista ha trovato la sua musa e quello che ne è uscito è qualcosa di bello, ma non abbastanza per portare avanti l’intero film (nonostante ci vada vicino). Le performance notevoli sono tante, Robert Downey Jr. ed Emily Blunt tra le mie preferite, in contrasto con una sempre incredibile Florence Pugh che a questo giro non ha brillato come suo solito per colpa di una sceneggiatura dove sembra quasi che il suo personaggio sia stato inserito un po’ a forza, perché si doveva.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Conversazioni su conversazioni su conversazioni e nessuna domanda lasciata al caso, nessuna intenzione di farci capire il perché di questa studiata analisi sulla figura di Oppenheimer, nessun tentativo di farci comprendere il motivo per cui sono stata seduta a guardare questo lento processo che ha preso un ritmo più incalzante solamente negli ultimi venti minuti della pellicola. Sorvolando gli estremi tecnicismi che sulla mi persona sono risultati meno comprensibili di qualunque teoria sul metaverso, il film tenta costantemente di fare leva su un climax che di fatto non esiste: la bomba alla fine esplode, chi l’avrebbe mai detto? Adesso però, dopo questi 181 minuti, nonostante tutti gli sforzi per ingrandire il film all’estremo, cosa dovrei portare con me? Perché sono passate solo una manciata di settimane e ho dovuto faticare a ricordarmi quale fosse esattamente l’essenza di tutto ciò, così da poterci scrivere queste due parole? Non voglio dire che niente di questo film mi è piaciuto, avrò sempre un debole per qualche sana scena esplosiva (letteralmente) e di Nolan che si rifiuta di usare effetti speciali, tuttavia penso che, se il nostro caro regista voleva proprio fare un film con tanto rumore e poca sostanza, avrebbe potuto scegliere una storia meno delicata e meno umana.

marco

Si è parlato moltissimo di Oppenheimer ancor prima dell’arrivo nelle sale italianesia da quando è uscito il primo trailer lo scorso dicembre sia dalla première worldwide a Parigi un mese e mezzo fa. In questi ultimi mesi, il dibattuto verteva principalmente sul dualismo della produzione Universal con Barbie, principale kolossal estivo della Warner dopo la separazione con Nolan: in particolare, il pubblico italiano si è sentito privato della fruizione contemporanea in sala dei due prodotti, dal momento che per esigenze distributive Oppenheimer è uscito ad agosto piuttosto che a luglio come nel resto del mondo. Al netto della riuscita dell’operazione (gli incassi per Oppenheimer al 29 agosto si aggiravano intorno agli 11 milioni, risultato eccellente per i botteghini), occorre tenere presente che i circuiti cinematografici a luglio sono meno attivi (specialmente perché in concomitanza con festival e rassegne all’aperto) e che fine agosto è sempre stato il periodo di uscita dei film di Nolan; inoltre, trovo personalmente poco sensato contrapporre due prodotti così diversi per target e struttura, e ritengo che questo fenomeno abbia più a che fare con il modo polarizzante in cui una fascia di pubblico (specialmente gli under 30) vive le uscite cinematografiche.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Vorrei estendere questa impressione all’enorme impatto che ha avuto Oppenheimer sul pubblico italiano e sulla mia bolla: al di là dei già menzionati incassi e del successo planetario, ho avuto la percezione che il film abbia particolarmente smosso ed incuriosito i miei coetanei, che si sono spesi più del solito a commentare quanto visto ed hanno vissuto l’esperienza in sala come evento speciale ed imperdibile. È fuori questione che Nolan sia ormai uno dei pochissimi autori in grado di attirare molto pubblico in sala semplicemente con la sua firma, ed ancora più dei film precedenti con Oppenheimer ha generato numeri e discussioni che ci eravamo quasi dimenticati potessero esistere nel cinema post-pandemia. Dal momento che ho visto il film più tardi rispetto al resto del mondo, ho cercato di non farmi influenzare da pareri esterni, evitando accuratamente le recensioni sui siti specializzati ed i pareri di amici cinefili; tuttavia, per il menzionato impatto del film, mi è stato impossibile non imbattermi in commenti molto polarizzanti sui social e le chat da una parte e dall’altra, tra chi ha esaltato il film bollandolo come “capolavoro” e chi ne ha criticato aspramente la struttura e la eccessiva complessità.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Sebbene non sia molto ferrato in fisica, non abbia apprezzato gli ultimi lavori di Nolan e non mi sia mai particolarmente interessato alle vicende della bomba atomica, ero incuriosito dal primo approccio del regista britannico ad un materiale biografico (American Prometheus di Bird e Sherwin) e da cosa ne avrebbe ricavato dal punto di vista epistemologico. L’impressione, una volta uscito dalla sala, è che il registro narrativo ormai divenuto marchio di fabbrica di Nolan abbia forzato la scelta di alcuni spunti e tematiche a discapito di altri. In primis, ho percepito che il topic relativo alle conseguenze etiche del progresso tecnologico, già in auge dal Frankenstein di Mary Shelley ed affrontato in sci-fi più (Jurassic Park) o meno (Ex Machina) fruibili al grande pubblico, sia stato solamente accennato e messo in secondo piano rispetto al senso di colpa percepito dal protagonista: sebbene in uno dei primi dialoghi a Los Alamos possa sembrare che al Dr. Rabi sia assegnato il ruolo di coscienza morale del film, questo vacilla non appena Oppenheimer giustifica l’operazione con la necessità di arrivarci prima di un nemico prefissato, nel caso specifico i nazisti.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Questa soluzione esplicita le due anime a mio avviso più preponderanti del film: da una parte una diffusa paranoia nella società statunitense e, dall’altra, l’eccessiva tendenza al manicheismo tipico di molte narrazioni americane. La parte paranoica è quella che mi ha suscitato maggior interesse, sebbene presenti alcune limitazioni: Nolan sceglie di rappresentare Robert Oppenheimer come genio poliedrico (un po’ esagerata, in questo senso, la scena del sanscrito) ma dissociato dalla realtà, con tratti paranoici e schizofrenici. Da varie fonti è emerso che al fisico nel periodo londinese fosse stata erroneamente diagnosticata la dementia praecox. Nella nosografia kraepeliana la dementia praecox è intesa come termine ombrello che racchiudeva moltissime condizioni cliniche, caratterizzate da importanti cambiamenti nella vita psichica dell’individuo: tra queste, quella maggiormente riconducibile al ritratto di Nolan e alla performance di Cillian Murphy è la dementia paranoide, caratterizzata da allucinazioni e deliri ed assimilabile alla odierna schizofrenia paranoide. Tuttavia, dalle fonti non emerge in modo chiaro che il fisico avesse sofferto di questi sintomi, ed ho letto questa scelta più nell’ottica di voler incanalare il personaggio nello stereotipo di genio dissociato dalla realtà, canovaccio già presente nel John Nash (Russell Crowe) di A Beautiful Mind.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Ho trovato molto più riuscite le altre caratterizzazioni paranoiche, sia il vendicativo ed egocentrico Lewis Strauss che la volontà degli Stati Uniti di primeggiare rispetto prima ai nazisti e poi ai sovietici: ho trovato quest’ultima la componente più interessante e, in certi versi, coraggiosa del film, dal momento che da decenni alcuni storici hanno proposto la visione di un’America paranoica e che questa sia tornata prepotentemente in auge specialmente durante l’amministrazione Trump. Per rendere queste inclinazioni Nolan si serve del solito stile opulente e magnificente, caratterizzato da montaggio molto veloce, dialoghi serrati e temi musicali presenti incessantemente, al limite dell’invadente. Non sorprende, pertanto, che il regista decida di utilizzare la fonte biografica per arrivare al thriller e all’horror psicologico: mentre il primo registro è diventato abbastanza canonico nella sua filmografia, il secondo ha decisamente incuriosito di più anche alla luce delle dichiarazioni di intenti piuttosto esplicite dell’autore.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Tale decisione tende ad aumentare la tensione dello spettatore in maniera esponenziale (seguendo, peraltro, le reazioni a catena della bomba atomica) a discapito dell’introspezione e delle considerazioni più attinenti alla filosofia della scienza; a questa, come accennato in precedenza, si associa un eccessivo manicheismo che stona in una vicenda complessa e stratificata dal punto di vista morale. La figura di Lewis Strauss emerge sempre più come villain e si configura come rappresentazione del potere politico che sfrutta la scienza e finisce per intralciarla per tornaconto personale: per evidenziarlo maggiormente, Nolan contrappone all’intera vicenda di Oppenheimer il piano narrativo (in b/n, come Following e prima ancora Doodlebug) dell’udienza di Strauss al Senato per la sua conferma come Segretario al Commercio. Il montaggio alternato è una delle soluzioni più utilizzate dal regista fin dagli esordi, ma qui, come in Dunkirk, è assente un momento di convergenza tra i due piani narrativi: oltre ad essere un errore di grammatica fin dai tempi di Griffith, si percepisce una eccessiva volontà di complicare, anche tramite i dialoghi e il montaggio, una fabula altresì lineare ed accessibile.

"Oppenheimer" di Christopher Nolan
“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Qui, a mio avviso, risiede la più lampante mancanza di Oppenheimer, anche più della misoginia nella scrittura dei personaggi femminili, di nuovi visti unicamente come strumentali agli scopi dei protagonisti maschi, e dei problemi epistemologici dovuti alla svalutazione della teoria in favore della techne e della pragmatica. Lo spettatore, in questo come negli altri film di Nolan, viene stordito da un ritmo persistente e senza pause e viene lasciato in balia di nomi, teorie scientifiche e situazioni che non riesce ad elaborare senza sentirsi sopraffatto. Si tratta di una visione molto passiva e asfissiante, che risponde, però, a bisogni ben precisi in un’era in cui il cinema e, in particolare, la sala cinematografica viene vista sempre più come esperienza ipertrofica ed assuefacente, si pensi alle dichiarazioni di Villeneuve prima dell’uscita di Dune.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Fa senza dubbio riflettere il fatto che questo tipo di produzioni siano diventate quasi le uniche capaci di richiamare il grande pubblico nel contemporaneo: per me altro non è che l’ennesimo segnale del declino incessante dell’industria culturale, sempre più schiava delle esigenze di mercato globalizzate e del consumismo sfrenato e smodato tipico del periodo che stiamo vivendo. In sintesi, Oppenheimer non risulta un brutto film di per sé, ma si porta dietro i problemi tipici di una Hollywood che non riesce più a sollevarsi dalle esigenze di mercato e da una lunga crisi creativa.

alberto

Il biopic Oppenheimer è l’ultima fatica cinematografica di Christopher Nolan ed è uno dei suoi migliori progetti degli ultimi anni. I personaggi, nonostante la trama si concentri principalmente sulla figura dello strabiliante scienziato protagonista Robert Oppenheimer (Cillian Murphy), sono delineati caratterialmente in modo approfondito. Nessun comprimario è dimenticato nella fitta rete di relazioni che appare nella vita del fisico: ad esempio, il ruolo della figura ambigua di Lewis Strauss (Robert Downey Junior) è così ben scritto e recitato che lascia attoniti. I costumi e le ubicazioni della scenografia sono fondamentali per un dramma d’epoca e Christopher Nolan dimostra una cura maniacale anche nei dettagli più insignificanti, rendendo il tutto ancora più credibile per un periodo collocato lungo circa venti anni del secolo scorso.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Nonostante nel lungometraggio il tema della guerra sia chiaramente il motore della narrazione, tra i film del regista, Oppenheimer ricorda più The Prestige (2006) che il suo film sulla seconda guerra mondiale Dunkirk. Infatti The Prestige e Oppenheimer trattano anche del rapporto tra scienza, la genialità dei singoli individui e la morale umana. Se nel primo la scienza (o pseudoscienza) si considera quasi come magia senza troppe spiegazioni lunghe e contorte, nel secondo invece la scienza, pur assumendo sempre quel valore magico e misterioso, si concretizza e si materializza tragicamente nello sviluppo di armi di distruzione di massa, perdendo cosí quel fascino esoterico.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Il montaggio, in particolar modo nella seconda parte, alterna flashback e flash forward in modo totalmente naturale e interseca scene girate in bianconero, seppia, colore e sbalorditivi effetti speciali senza il minimo errore tecnico. I problemi ascrivibili al film sono tutti concentrati nella prima parte della pellicola: il montaggio, a tratti frenetico, a volte stanca e non lascia mai qualche secondo in più per apprezzare al meglio le scene sempre diverse in cui si viene catapultati. Sempre nella prima metà, trovo alcuni dialoghi tra personaggi inutilmente pomposi e al limite del film d’azione più “muscolare”. Tuttavia mi rendo conto che Nolan, dopo film più asciutti e diretti come il già citato The Prestige, ha difficoltà a non rendere inutilmente epiche scene che non necessitano di forti spinte emotive, a volte fino all’esasperazione. Nonostante queste critiche, la pellicola riesce tranquillamente a intrattenere e a emozionare grazie ad una grande sceneggiatura e a scene di grandissimo impatto visivo che in sala mi hanno stupefatto.

giulio

Christopher Nolan, amore e odio. Il mio rapporto con la filmografia del regista è sempre stato altalenante, da una parte grandi emozioni e poca coerenza, dall’altra prove di forza tecniche e registiche non del tutto riuscite. I miei dubbi, prima della visione dell’ultima opera del regista, erano più che giustificati da un fiacco, insulso e poco riuscito Tenet, film caratterizzato da quel “talento” dell’autore che rende di difficile comprensione una pellicola che di complesso ha ben poco, se non tentare di indovinare che strano intruglio avesse bevuto il buon Chris prima di scriverne la trama. Non mi dilungherò sul (recente) passato dell’artista ma spero la premessa possa in qualche modo enfatizzare quello che andrò invece ad elogiare dell’ultima fatica di un – questa volta – eccezionale Christopher Nolan.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Mi sistemo sulla poltrona del cinema, IMAX – sia mai -, basse aspettative, moderate speranze, Oppenheimer si presenta sullo schermo in pieno stile Nolan: Fissione e Fusione, questi i nomi dei due -finalmente solo due – piani narrativi della pellicola. Le intenzioni del regista sono chiare fin dal principio, nei primi quindici minuti le sequenze non durano più di cinque secondi, un cambio continuo di scena e inquadratura, frenesia funzionale alla corsa contro il tempo che attende noi come spettatori e gli stati uniti come parte decisiva nella seconda guerra mondiale. Forse ad alcuni potrebbe sembrare scontato, ma sì, il film gira del tutto intorno a Robert J. Oppenheimer (Cillian Murphy), ai suoi pensieri, alle sue emozioni, ai suoi dubbi, al legame con quella che il generale Groves (Matt Damon) definisce come “la cosa più importante che possa succedere nella storia del mondo”: la prima bomba atomica. Non mi soffermerò quindi sul ruolo degli altri personaggi in Fissione, i quali orbitano intorno alla grandezza e importanza, storica come in scena, del protagonista. Le prime due ore volano in sala, prima le fantasie, poi la vita privata, i sentimenti e i dubbi di un protagonista umano alle prese con forse lo strumento piu’ inumano della storia. Pur conoscendone già il tragico epilogo, durante la visione il regista vuole insinuare nella testa degli spettatori un ticchettio silenzioso ma costante, che ci avvicina alla prima esplosione di Los Alamos, ai primi grandi dubbi e rimorsi di Robert Oppenheimer.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

I tecnicismi li lascio a qualcuno più competente di me. L’esplosione è vera, grande, inquietante e bellissima, lo schermo si illumina come un fulmine prima di un tuono, pochi secondi dopo il rumore assordante che riempie la sala, mi giro a destra noncurante dell’identità del mio compagno di avventura e dico “pazzesco”. La tensione si dissolve ma è questo il momento in cui Nolan ci pone davanti a quella domanda che quel ticchettio costante aveva consapevolmente contribuito a creare nella nostra testa per due ore: “e adesso?”. Fusione cambia ritmo, e si amalgama perfettamente al resto del racconto, le conseguenze, la crisi di coscienza di Robert, richiedono ritmi più lenti e riflessivi, non è più una corsa contro il tempo: quello che per alcuni è stato un successo, per altri è stato un atto inumano ingiustificabile. Oppenheimer rimane al centro della pellicola, ma l’epilogo di quella lunga frenesia permette al protagonista di essere affiancato stavolta dal primo vero “antagonista”: Lewis Strauss, un fantastico Robert Downey Jr.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

La narrazione si sposta sulla persecuzione subita da Oppenheimer, mostrando a tratti, in fasi e da punti di vista differenti, un interrogatorio, lo stesso che vediamo dall’inizio del film, qui al centro del racconto. Non mi dilungherò su questa serie eccezionale di botta-risposta, dicendo soltanto che un buon regista – e forse, caro Nolan, sta volta devo proprio sbottonarmi un po’ – riesce a creare magia anche in spazi limitati, anche dopo – immagino – aver speso tutto il budget per i suoi ormai celebri effetti NON speciali. Questo secondo piano narrativo non è lento, si prende il suo tempo. Fusione è critica, è ipocrisia e mette in scena la discutibile morale degli Stati Uniti, o più in generale, del mondo, Nolan non nasconde il suo disprezzo e lo fa attraverso gli occhi di Robert, attraverso le sue conversazioni e preoccupazioni. Oppenheimer si chiude infatti con un viso terrorizzato di Cillian Murphy rivolto verso il futuro, non il suo, il nostro.

“Oppenheimer” di Christopher Nolan (© Universal Pictures)

Ho qualche critica, certo, il fatto che ormai tutti i personaggi dei film del regista sembrino Batman del cavaliere oscuro, che l’impronta autoriale non si sposa bene con un colossal come questo, e si’, ne ho anche per quelle 15 persone che sono rimasta incollate alla poltrona del cinema per aspettare una scena post credit – forse dovuta alla presenza di Iron Man nel film – ma una cosa per me è chiara, Oppenheimer non è solo il miglior film di Nolan, non è solo un buon film, è il primo che tornerò a vedere in IMAX, spendendo altri maledetti 14 euro.

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