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di virginia

Principi Italiani è una sezione di cortometraggi realizzata dal Bellaria Film Festival in collaborazione con Lago Film Festival e raccoglie alcuni lavori dei più promettenti registi italiani. Le proiezioni, svoltesi durante i giorni della rassegna a Bellaria dall’8 al 12 maggio, saranno riproposte come secondo appuntamento anche a Revine Lago, dal 19 al 27 luglio.

“L’architetta Carla” di Davide Minotti (Credits: Bellaria Film Festival)

C’è un filo rosso che lega alcuni dei cortometraggi presentati all’interno della sezione Principi ed è facilmente rintracciabile nella commistione tra digitale e analogico, tra video e clip realizzati ad hoc e filmati recuperati da vari archivi e immagini di repertorio. Si è molto parlato di un ritorno all’analogico, complice anche il dibattito attorno ad alcuni importanti film della scorsa e attuale stagione cinematografica – lo scorso anno ci ha pensato Charlotte Wells con il suo Aftersun a riportare l’attenzione sul video amatoriale, quest’anno, grazie a La Chimera di Alice Rohrwacher siamo tornati a considerare la pellicola non un semplice vezzo tecnico, ma un vero e proprio mezzo espressivo all’interno del cinema. Il recupero di materiale d’archivio viene declinato in modo diverso e con scopi differenti in tre cortometraggi: si passa dal recupero di brevi filmati di famiglia, che conferiscono alla storia un’ulteriore dimensione intima e privata alla montaggio di alcuni reportage d’epoca, per raccontare la storia di un interno popolo.

Bellaria Film Festival
“Het” di Santiago Torresagasti (Credits: Bellaria Film Festival)

Santiago Torresagasti dirige Het, lavoro incentrato sulla figura del presidente vietnamita Ho Chi Minh. «Questa casa fu frequentata dal presidente Ho Chi Minh durante le sue missioni internazionali negli anni ’30. In difesa delle libertà dei popoli» è la frase che recita la targa posta fuori dalla trattoria La Pesa, a Milano. La memoria collettiva viene recuperata non solo attraverso filmati d’archivio, ma anche per mezzo di ricostruzioni storiche, con le riprese in pellicola in cui il regista si immagina di vedere il personaggio storico all’epoca dei fatti, e con video in digitale, che ritraggono scorci del Vietnam oggi. A tre diversi tipi di filmato corrispondono tre diversi approcci alla storia: con le riprese contemporanee vediamo l’effetto che il presidente ha avuto sugli abitanti della nazione; attraverso il filmato d’archivio si ricostruisce l’importanza della figura storia al tempo e, con la ricostruzione in pellicola della figura di Ho Chi Minh entriamo più in profondità nella storia e nella mente del regista, dato che vediamo come si immaginava fossero le missioni internazionali del leader vietnamita come riportate dalla targa.

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“Het” di Santiago Torresagasti (Credits: Bellaria Film Festival)

Digitale e analogico si fondono anche in A missed call, cortometraggio diretto da Francesco Manzato. Immaginandosi una telefonata che non ha mai ricevuto risposta, il regista mette in scena uno sfogo rivolto alla persona amata, calando lo spettatore nella dimensione di chi sta parlando attraverso un point of view tipico del mondo dei videogiochi. La storia che viene narrata a parole viene ricostruita visivamente in computer grafica e si alterna ad alcuni filmati d’archivio girati in quelli che sembrano essere gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. L’immedesimazione dello spettatore nella storia è resa particolarmente vivida dalle scene che vengono ricreate in una dimensione artificiale, in cui il pubblico assume un punto di vista interno alla narrazione attraverso un’ocularizzazione interna alla storia; al tempo stesso, però, è come se ci si trovasse in una “terra di nessuno”, dato che si ritrova ad ascoltare le parole del protagonista dall’altro capo del telefono, di fatto, sdoppiandosi in due diverse entità agenti: mittente e destinatario.

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“A missed call” di Francesco Manzato (Credits: Bellaria Film Festival)

Di carattere più sperimentale e vicino ai toni della video arte è il cortometraggio L’architetta Carla di Davide Minotti. Attraverso la sovrimpressione di immagini e suoni, non del tutto definiti e modificati per lo schermo, viene restituita la storia di Carla, architetta che nell’Italia del dopoguerra si ritrova a lavorare con una squadra di uomini per ricostruire un Paese distrutto e pieno di macerie. Le poche didascalie in sovrimpressione, realizzate con lo stile che caratterizzava le grafiche della televisione dell’epoca, informano lo spettatore dell’esistenza di questa figura che dà il titolo all’intero progetto documentario. Il rumore costante di sottofondo rievoca i suoni della fabbrica, del metallo pesante che viene alzato, spostato, posato e di tutti i macchinari che rappresentavano un elemento di grande modernità per gli anni Sessanta. I colori delle immagini, perlopiù su tonalità di grigio e argento restituiscono, anche dal punto di vista visivo, questo senso di alienazione dato dal lavorare a stretto contatto con macchinari e con materiali da costruzione: cemento, amianto, vetro.

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