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di virginia

Enea di Pietro Castellitto partecipa, alla scorsa Mostra d’arte internazionale cinematografica di Venezia, in concorso ufficiale. Non ce l’ho con Castellitto, che se vuole continuare a fare film di dubbio gusto non sarà certo né il primo né l’ultimo, ma ce l’ho, in questo momento con Alberto Barbera (o chi per lui). Vorrei che qualcuno mi spiegasse i criteri con cui vengono selezionati i film in concorso a uno dei festival del cinema più importanti (e cronologicamente più “antico”) del mondo. Come spesso succede per Sanremo, anche nel caso di Venezia siamo portati a giustificare scelte di titoli bizzarre e impensabili in nome della “fotografia del panorama cinematografico del Paese” — e se questo fosse vero, c’è da mettersi le mani nei capelli. Mi correggo: Enea è una fotografia del panorama del Paese tanto quanto Patagonia di Simone Bozzelli. Ma non è questo il momento di discuterne.

“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

Come dicevo, non siamo qui per parlare dei miei più o meno fondati dubbi sul funzionamento della Biennale; siamo qui per parlare dell’opera seconda (così recita il trailer, a detta del Cinematografo) di Pietro Castellitto, regista non più emergente alle prese con un altro lungometraggio di critica, satira, parodia, quanto è brutta ma quanto è bella Roma, ah Roma, Roma, Roma se te leggo all’incontrario te dico Amor. Sono andata al cinema con aspettative bassissime perchè sì, sono una persona che tendenzialmente si fa influenzare dal giudizio di chi mi conosce. Avevo già visto, a suo tempo, I Predatori e non ne ero uscita avvilita, ma nemmeno entusiasta; ho poi letto il libro che baby Castellitto ha scritto solo perchè mi era capitato di andare alla presentazione che aveva fatto in un centro culturale del paesino di provincia in cui sono nata. I predatori mi aveva lasciata piuttosto indifferente, ma Gli Iperborei mi aveva proprio fatto arrabbiare. Non entro in questioni tecniche e specifiche del libro, ma, ancora una volta, l’opera mi era stata presentata da nientedimeno che Teresa Ciabatti ed Edoardo Nesi e la pubblicità era così spinta proprio perchè era in lizza per il Premio Strega Giovani. Ancora una volta, quali sono i criteri per candidare un libro allo Strega? Chiunque abbia voglia di spiegarmi il funzionamento di questi due massimi premi della Penisola – per il cinema e per la letteratura – batta un colpo, per favore.

“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

Tutto questo preambolo mi è servito per dire che in Enea Castellitto, che ha scritto e diretto il film (come ci illustrano i titoli di coda con un font così esteticamente brutto da chiedermi chi possa averlo scelto), riprende molto di quanto aveva già raccontato nel suo libro edito da Bompiani. Tutti i personaggi, a partire da Enea stesso, protagonista interpretato da Castellitto, sono veri e propri indifferenti alla vita – in un certo senso rappresentano quell’estremismo di noia borghese che già Moravia aveva descritto nella sua opera più famosa. A ravvivare la noia di tutti i giorni, della banale quotidianità (quella precisa tipologia di noia provata da personaggi che possiedono e fanno tutto quello che vogliono in una Roma Nord che ora assume le caratteristiche di un film di Federico Fellini, ora di un film di Paolo Sorrentino, ora, perchè comunque l’autocitazione sembra essere una costante del nostro Pietro, un film di Francis Ford Coppola), arriva una certa dose di crimine e frenesia provocata dal vivere al margine della legalità.

"Enea" di Pietro Castellitto
“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

Per quanto mi riguarda (e forse perchè da poco ho recuperato la Sterminata domenica di Alain Parroni), posso fare a meno dell’ennesima ripresa aerea di Roma, anche se non ci sono statue di santi appese all’elicottero. Invece, per tutto l’aspetto mondano alla Jep Gambardella, devo dire, riuscito bene: una delle sequenze migliori (tolto l’inizio, con i baci oscurati e il richiamo a Blow Up di Antonioni) resta la festa a tema anni ’20. Anche perchè, dal Grande Gatsby a un moderno Jep Gambardella il passo sembra essere molto breve, nonostante tutti «siano vestiti come dei coglioni», come sottolinea la voce fuori dal coro – piuttosto silenziosa – di Brando detto Brenno (Cesare Castellitto), fratello minore di Enea. No, Enea, qui non siamo in Vietnam, per quanto tu provi a ricordarcelo con una fotografia tropicale e fumosa, che verte solo sui toni del rosso durante una festa. 

"Enea" di Pietro Castellitto
“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

Oltre a questa auto-citata perla, fin troppo abusata per auto-sponsorizzarsi (è di qualche settimana fa una serata intitolata Il mio Vietnam che si è svolta al Cinema Troisi a Roma), Castellitto recupera la scena della cena, con un close-up su quelle AirPods che strizza l’occhio al momento in cui, nel precedente lungometraggio, è proprio Castellitto a rovesciare le cuffie in un bicchiere d’acqua durante una cena in famiglia. Sì, Castellitto è giovane ed è al suo secondo film per autocitarsi, ma dopo aver visto Il sol dell’avvenire sento di aver sviluppato una certa immunità all’egocentrismo messo in scena dai registi italiani. Coerentemente con il resto del film e dell’impianto narrativo, anche queste sporadiche forme di ego-riferimento rientrano perfettamente in linea con la narrazione arrogante che Enea porta avanti e non c’è da stupirsene. In una Roma trasformata in Babilonia, caotica, ricchissima, luogo di perdizione e di tentazione ed eterno parco giochi per ricchi annoiati, il film si pone a metà tra l’autocompiacimento di questo mondo chiuso e una sottile forma di critica, mai pienamente sviluppata perchè possa venirne fuori una riflessione concreta sullo stato delle cose. Non mi soffermerò neanche, perchè meriterebbe una parentesi molto più ampia e molto più lunga, sulla preponderanza dei personaggi maschili di questo film – ne parleremo in un’altra sede. Un saluto a Bendetta Porcaroli.

"Enea" di Pietro Castellitto
“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

Non posso dire che Enea mi sia piaciuto, ma devo riconoscergli almeno due o tre elementi che, invece, sì, mi sono piaciuti e ho apprezzato. Sicuramente non sto parlando di tutti i momenti in cui il VFX fa da padrone – ma perchè quella zanzara? Comunque, partendo dall’idea di oscurare i baci, sempre efficace tutte le volte che si ripropone, ci sono, effettivamente, delle belle inquadrature e sequenze – penso all’inquadratura dall’alto del grattacielo su Enea e Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio) o alla sequenza di sguardi, sempre tra i due protagonisti, alla festa a tema. Ho anche apprezzato – non so, onestamente, quanto sia volontaria questa resa del personaggio – i tratti inquietanti che assume Valentino, sempre vestito in maniera impeccabile (al contrario di Enea che, sporadicamente, indossa una tuta in acetato e, meno sporadicamente, vive con un paio di AirPods indosso), con una certa patina retrò (data anche dalla divisa da pilota), sempre sorridente e apparentemente calmo. Mi ha molto ricordato, anche negli atteggiamenti e nei modi di muoversi, uno dei personaggi che Pasolini aveva inquadrato nel suo Salò (1975), uno di quei personaggi la cui caratterizzazione aristocratica e assolutamente fuori contatto dal mondo reale trasmette una vera e vivida sensazione di perturbante angoscia. Forse per una mia personale inclinazione, forse perchè il crimine di Roma Nord, portato avanti da un irriconoscibile Matteo Branciamore (si stava meglio alla Garbatella, eh?) non mi attira eccessivamente, credo che i due migliori spunti narrativi siano stati ingiustamente abbandonati. Oltre ai malcelati sentimenti romantici di Valentino, un’altra traccia “ignorata” è quella che si incentra sul rapporto tra Enea e Brenno, tra due fratelli dal carattere e approccio alla vita completamente opposto. Peccato.

"Enea" di Pietro Castellitto
“Enea” di Pietro Castellitto (Credits: Vision Distribution)

So che il film si chiude con un matrimonio (stiamo forse parlando dei nostri nuovi Ilary e Totti?) felice e, al contempo, fallimentare. Non posso fare a meno, però, di considerare molto più d’impatto (e bella, posso dire?) la conclusione di un’amicizia e di un amore preannunciata da Valentino all’amico. «Il mio ragazzo si chiama Margherita».

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