di alberto
L’intervista trascritta in questo articolo è una conversazione gentilmente concessa da Michele Galardini. Critico cinematografico, laureato alla triennale del CMT a Pisa e alla magistrale del Dams a Bologna, è ideatore e direttore artistico del festival Presente Italiano a Pistoia, questo anno già all’ottava edizione e ora più che mai proiettato verso il futuro.
È stato adottato qualche particolare criterio di selezione per la scelta dei film?
Galardini: Il criterio di selezione, che è quello che ci diamo ogni anno, è di individuare all’interno di quello che è uscito nella anno precedente: stiamo parlando di un periodo che va dalla Mostra del cinema di Venezia dell’anno prima fino all’estate dell’anno in cui si svolge il festival, quindi nel corso di questi otto/ nove mesi guardiamo un po’ quale è stato il panorama distributivo italiano e, sempre tenendo di conto che noi facciamo una selezione sui film della media e piccola distribuzione, all’interno di questa distribuzione cerchiamo di fotografare il momento e dire: “Ok, secondo noi in questo anno questi sei film rappresentano il cinema italiano del presente e che potrebbe essere del futuro“.
Durante l’ultima serata del festival, avevi brevemente menzionato che la giuria popolare aveva trovato come filo conduttore tra i film l’elemento dell’acqua. Hai pensato a un personale filo conduttore di questa edizione?
Galardini: In realtà ti posso dire che durante l’ultimo incontro in libreria con Filippo Maria Gori e Lorenzo Gori mi sono reso conto che forse è stata l’edizione più politica. Noi cerchiamo sempre di fare politica attraverso la cultura, e fare politica vuol dire dare una voce anche a delle realtà che hanno bisogno di essere riconosciute e prendere una posizione anche a difesa di alcune battaglie e alcuni temi.
Quindi, mentre ero lì che parlavo con loro della GKN, il giorno prima c’era l’incontro con CinematograFica sulla questione della transizione di genere; quello insieme ad altri esempi meno riconducibili a una tematica forte del momento, ma che comunque vanno a toccare alcuni nervi scoperti del contemporaneo, ma come anche lo stesso Enrico Ghezzi lo fa e lo faceva già trent’anni fa, mi sono accorto come questa spinta fosse più chiara e marcata.
Più che filo conduttore, un cappello che mettiamo all’edizione è questo. Al tempo stesso sono d’accordo con i membri della giuria popolare perché, in effetti, guardando tutti i sei film, l’elemento dell’acqua ricorre e anche se fosse un caso resta una cosa oggettiva e hanno fatto molto bene a sottolinearlo.
Oltre alle pellicole del regista Mauro Bolognini, i film proiettati durante il festival sono recentissimi. Cosa pensi del cinema contemporaneo italiano dopo anni di Covid? Qual è il tuo rapporto con la sala?
Galardini: Tieni conto che due anni fa, insieme a FilmTv, stampammo una maglietta che aveva come slogan ‘Andiamo al cinema oggi affinchè ci sia il cinema domani’.
Era il momento del primo lockdown e della prima riapertura dopo il primo lockdown e noi puntavamo a portare le persone in sala perché comunque l’abbiamo sempre vissuta, inoltre i dati ce lo confermano come ambiente sicuro. Così non è stato percepito a livello ministeriale e quindi è successo quello che è successo per circa due anni.
La sala chiaramente è il luogo dove si vuole riportate le persone perché l’home video e le piattaforme non possiamo escluderle e toglierle poiché sono chiaramente una questione forte nel contemporaneo.
Certo è che non riesco a pensare al cinema senza sala, perché manca di quel senso di essere in un luogo diverso insieme ad altre persone in un ambiente “non troppo sicuro”, non a livello di contagi, ma “non sicuro” per il suo carattere di indeterminatezza.
Non puoi fermare e cambiare canale al cinema dovendo vivere l’esperienza, puoi decidere di alzarti e uscire, ma sei in un flusso che non puoi interrompere con altre persone che non conosci e questa è una cosa che le piattaforme streaming non potranno mai replicare.
Quindi secondo me è una questione apertissima e in questi anni metteremo le basi per il cinema del futuro dove voglio sperare che ci siano le sale.
Un festival di cinema italiano sopravvissuto ad una pandemia è un traguardo importante, soprattutto per una realtà come quella pistoiese. Gli obiettivi che ti eri prefissato questo anno sono stati raggiunti? E i prossimi sono gli stessi attuali?
Galardini: Allora sì, gli obiettivi sono stati raggiunti perché, in modo molto pratico, gli incassi che abbiamo fatto in questi sette giorni sono numeri paragonabili al pre pandemia e questo in un contesto in cui magari ci mancava l’evento come nel 2019 con Carlo Verdone, ma mediamente abbiamo fatto dei buoni numeri e soprattutto ha funzionato, e ne sono molto contento, il rapporto con le scuole, come con il liceo artistico, ma non solo. Questa è una cosa su cui puntiamo da tanti anni quindi per quest’anno l’obbiettivo era di riuscire a tornare a fare quello che facevamo nel 2019 e quindi da qui magari riuscire a impostare i prossimi anni sperando che non arrivi un’altra pandemia, cosa che non escludo. Gli obbiettivi futuri partono da qui, il nostro è un festival che non si può basare sugli inediti e non si può basare sul traino di “talent” che sono gli ospiti di rilievo, ne possiamo avere uno massimo due, ma non siamo un festival che vuole impostare il suo pubblico sul fatto che ci sia l’ospite.
Noi vogliamo costruire un’idea di cinema e in quell’idea di cinema vogliamo coinvolgere le persone che secondo noi la rispecchiano maggiormente. Secondo me, nei prossimi anni dovremmo maggiormente ampliare il rapporto e attività con le scuole e capire meglio cosa il pubblico pistoiese magari recepisce come novità e quello che in effetti è più difficile da proporre: ci sono delle cose che piacciono a noi che non necessariamente possono arrivare a coloro che il cinema non lo conosce, comunque stiamo parlando di una nicchia della nicchia e i numeri del cinema italiano in sala sono terribili. Quindi, ecco, l’obiettivo è di creare via via una comunità che, da una parte, conosca il cinema italiano d’autore e gli autori e, dall’altra permetta agli studenti, soprattutto quelli che in questo mondo forse ci lavoreranno, di approcciarsi, parlando con coloro che in questo mondo hanno già realizzato qualcosa di importante. Direi che sono queste le due direttrici.