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Ogni anno, man mano che si avvicina il periodo natalizio, vediamo sempre proposti in televisione “Una poltrona per due” e “Love, Actually”. Per interrompere questo circolo vizioso che va avanti da (ormai) più di vent’anni, ecco una serie di film – “non” classici – che hanno poco o niente a che fare con il Natale ma che comunque, per qualche strano motivo, associamo alle festività.

La metempsicosi natalizia di Kubrick: Eyes Wide Shut

di pavel

Un-classic Christmas
Un-classic Christmas: “Eyes Wide Shut” (Credits: IMDb)

Pensate ciò che volete, ma Eyes Wide Shut rimane (sempre secondo la mia umile opinione) il film migliore mai realizzato da Kubrick. È un film composito, una di quelle opere così ricche da apparire, ad ogni visione, diversa, altra. Sarà forse una mia pecca da letterato, ma così come ho trovato Tár un prodotto organico, capace di semiosi illimitata, con altrettanta categoricità affermo che Eyes Wide Shut è un film che può parlare per sempre, a tutti quanti. Adattamento cinematografico della short-novel di Arthur Schnitzler, apparsa primamente nel 1926 col titolo di Traumnovelle, (edita in Italia come Doppio SognoEyes Wide Shut vede la luce nel 1999, dopo una preproduzione durata decenni, una produzione di più di due anni e una postproduzione di oltre un anno: conferma ulteriore che i capolavori richiedono tempo. E qui cade l’obbligo di segnalarvi che lo stesso Todd Field recita nei panni del vecchio amico musicista che Tom Cruise incontra e dal quale viene invitato al famoso ballo in maschera, che è pure un ruolo chiave della narrazione. Non che gli altri ruoli siano meno importanti, poi. Nulla, in Kubrick, è casuale: ogni singolo dettaglio rivela più insiemi, così che Eyes Wide Shut, se in superficie può essere adocchiato come storia di un tentativo (fallito) di adulterio, io invece lo leggo come una sorta di metempsicosi natalizia.

Un-classic Christmas: “Eyes Wide Shut” (Credits: IMDb)

Attento lettore delle teorie junghiane sul doppio, tema centrale delle opere dello stesso Schnitzler (il quale tra l’altro era anche in amichevoli rapporti con Freud), Kubrick elabora una pièce raffinatissima a metà tra il thriller erotico e il saggio epistemologico, un’analisi sulle luci e sulle ombre del matrimonio e della monogamia. Molti di voi ricorderanno la scena finale, dove Alice (Nicole Kidman) ricorda a Bill (Tom Cruise), in un classico negozio di giocattoli decorato da ghirlande e luminarie, che i due dovrebbero fare sesso il prima possibile. Coda perfetta per il rovesciamento del tropo strenuamente utilizzato dai cinepanettoni statunitensi anni Ottanta, il negozio di giocattoli accoglie la crisi coniugale della classica famiglia dell’Upper-class newyorkese, in questo caso gli Harford, che si risolve ironicamente con l’invito ad una sana scopata, come ad intendere che per ottemperare qualsiasi nervosismo o frustrazione dell’uomo postmoderno basti del sesso: non sempre è così; eppure, spesso, è così. Ma se Kubrick avesse voluto sottintendere qualcosa in più? Ricorderete sicuramente anche una delle scene iniziali, dove la bellissima e ricchissima coppia si reca ad una festa natalizia organizzata da amici e colleghi: posta come consueto gathering di fine anno, la festa di Natale diventa la scintilla che accende gelosie, la vigilia che prelude al viaggio mistico. Bill si adonta delle avances che Alice maliziosamente accetta da uno degli invitati, e l’episodio instilla nel dottore il desiderio di tradire la moglie. Tra balli in maschera su inviti riservati, incontri onirici e sogni premonitori, bellissimi cappotti in cammello, riti sacrificali in battuages vellutati con prostitute misteriose, Bill è costantemente costretto a prendere una decisione, in bilico tra fedeltà e adulterio.

Un-classic Christmas
Un-classic Christmas: “Eyes Wide Shut” (Credits: IMDb)

“Nessun sogno è mai soltanto sogno, nessuna verità è mai soltanto verità”, recitano i due verso la fine della pellicola: ogni svolta rivela qualcosa in più non solo della storia e del mistero che si cela dietro la figura della venere che salva la vita a Bill, ma anche del rapporto che l’uomo intrattiene con l’amata sposa e con la sua idea del femminile più in generale. Che Kubrick volesse interrogare il suo pubblico sulla deriva dello status matrimoniale alle porte del Terzo Millennio, questa è una linea critica abbracciata da moltissime analisi condotte sul film, e con le quali mi trovo d’accordo. Che questa lettura celi, più occultato, un percorso che il regista compie attraverso la settima arte per comprendere il rapporto del sé con l’altro, declinato qui secondo l’opposizione binaria maschile-femminile, questa è una lettura che mi sono trovato ad operare dopo diversi anni e svariate visioni. Gli Occhi sono Ben Chiusi, come a significare, ironicamente, che non esiste cieco peggiore di chi non vuol vedere, anche e soprattutto nei termini in cui la vista si rivela il senso più gettonato, tra gli altri, della nostra epoca. E come Bill cerca di resistere alla vista di ninfe che, nella sua opera di trascendenza psicofisica, cercano di indurlo in tentazione, allo stesso modo non si rassegna ad accettare che questo suo desiderio è ugualmente nutrito dalla moglie, a conferma del paradosso irriducibile portato alla luce dalla scienza più in voga dal secolo scorso: siamo misteri insondabili per noi stessi, figuriamoci pretendere di conoscere gli altri.

Un-classic Christmas
Un-classic Christmas: “Eyes Wide Shut” (Credits: IMDb)

Che questo percorso di scoperta individuale e collettiva, cammino di espiazione dei propri impulsi, metempsicosi tra i generi si presenti infiocchettata da nastri colorati, luci calde, stoffe rosse e pacchetti regalo, non penso affatto sia casuale: il Natale e le feste sono, per parecchi, un luogo conflittuale, dove we come to terms con le nostre origini, i nostri miti, le nostre paure. Io, fortunatamente, sono figlio di due genitori che si amano alla follia da più di quarant’anni. Per ora, di gelosie e tradimenti, nemmeno l’ombra: Kidman e Cruise, purtroppo sappiamo come è andata. Mi chiedo però come le avranno passate Bill ed Alice le ultime ventidue vigilie, forti della loro metempsicosi di fin du siècle: mi chiedo, soprattutto, come potrebbero passarlo gli Harford questo Natale ‘22, tra terrorismo nucleare, inflazione ai massimi storici e app d’incontri. In ogni caso, noi gli facciamo i più sentiti auguri per un sereno Natale e un felice anno nuovo!

Che bella casa, Notting Hill!

di virginia

Un-classic Christmas
Un-classic Christmas: “Notting Hill” (Credits: IMDb)

Notting Hill non è un film natalizio, ma è comunque un film dei buoni sentimenti, dal lieto fine e dove tutti si vogliono bene – un po’ alla libro Cuore di de Amicis – e questa serie di caratteristiche, automaticamente, nel mio cervello viene associata al Natale. Notting Hill non ha proprio niente a che fare con il Natale: si tratta di una storia d’amore (quasi) impossibile tra William (Hugh Grant), un “normale” libraio residente a Portobello Road e Anna (Julia Roberts), l’attrice più famosa e pagata al mondo; le vicende narrate, per di più, si svolgono interamente in estate (o forse primavera? Insomma, in una stagione calda che costringe il personaggio di Hugh Grant a indossare solo e soltanto una camicia di cotone blu). Non c’è in tutto il film un singolo riferimento alle festività natalizie, ma se vogliamo neanche all’inverno – tolta una scena in cui si susseguono le stagioni mentre il caro vecchio Hugh passeggia per le vie di Londra, triste e affranto proprio come Bella Swan quando guarda lo scorrere del tempo dalla finestra di camera sua.

Un-classic Christmas: “Notting Hill” (Credits: IMDb)

Per qualche strano motivo, che a distanza di anni ancora non sono riuscita a decifrare, Notting Hill è per me il film da guardare quando accanto alla televisione c’è l’albero illuminato. Vorrei poter spiegare il perché ma non penso di riuscirci. Vorrei anche poter dire che rappresenta il mio film guilty pleasure ma non è così, dopo non so neanche più quanti rewatch sono arrivata alla conclusione che si tratta proprio di un bel film. It is what it is: cosa questo dice di me, lascio che siate voi a giudicarlo. Sì, è vero, il personaggio di Spike (Rhys Ifans) fa molto ridere ma non penso sia il pezzo forte di tutto il film. Anche Hugh Grant – povero Hugh, sempre liquidato come un pessimo attore quando in, realtà, nel Maurice di James Ivory è stratosferico – a me fa sempre un sacco ridere: penso che abbia un’innata vis comica, in qualsiasi cosa dica o faccia, anche in modo non intenzionale. Recentemente mi è capitato di vedere un montaggio in cui sono stati raccolti tutti i momenti in cui rimane senza parole e balbetta e beh, che dire, poesia. Poi, comunque, sono dell’opinione che, per quanto simpatico e relatable, Grant sia credibile il giusto nel ruolo di un libraio sfigato. Ora, va bene che (come tutti noi) possa provare imbarazzo di fronte alla sua cotta, ma che in tutta Londra non riesca a trovare l’amore e viva così fuori dal mondo da non avere idea di chi sia l’attrice più pagata di Hollywood non ci sta, dai. Un po’ come se oggi qualcuno venisse a chiedere chi sia Brad Pitt.

Un-classic Christmas: “Notting Hill” (Credits: IMDb)

Visto che comunque sto elencando in modo casuale pensieri casuali su un comfort film che riguardo ogni anno a Natale sono qui per dire che la cosa migliore di Notting Hill è… proprio Notting Hill. La casa dove William abita insieme a Spike è bellissima. Arrederei esattamente così casa se ne possedessi una (possibilmente nella stessa traversa di quella del film ma vabbè). Interni meravigliosi, potrei guardare un video di tre ore e quaranta di questa casa senza personaggi e per me sarebbe già un bel film. Ovviamente mi sono informata, alla stessa maniera in cui uno cerca di capire, nel momento esatto in cui termina la visione, dove stiano le ville in Italia di Call me by Your Name e Normal People: ho scoperto che la famosa casa apparteneva a Richard Curtis, produttore e sceneggiatore della pellicola. Curtis ha poi deciso di venderla, stanco del via vai di turisti (se io sono compresa in quel via vai? non lo saprete mai) e oggi i proprietari restano ignoti – no, contrariamente a ogni aspettativa, non sono stata io a comprarla ma, si sa, le vie del Signore sono infinite. 

“Ma nuit chez Maud” e la morale nel cinema di Rohmer

di marco

Un-classic Christmas: “Ma nuit chez Maud” (Credits: IMDb)

Un po’ insoddisfatto dal palinsesto che le reti propinano annualmente per le feste da quando sono bambino, negli ultimi anni ho cercato di ampliare i miei orizzonti per trovare un classico natalizio che fosse più adeguato ai gusti che ho adesso. Spulciando tra liste di Letterboxd e articoli di vario genere, sono riuscito a farmi un’idea su quali potrebbero essere le pellicole che faranno parte della mia rotazione nelle holiday seasons presenti e future.  Scriverò più avanti dell’opera che più mi è rimasta nel cuore e che si è cementificata come mio “film di Natale”, per oggi vorrei focalizzarmi su un altro titolo che è entrato a fare parte dei classici delle feste da guardare ogni anno e che rispecchia appieno le mie attuali preferenze cinematografiche. Si tratta di Ma Nuit Chez Maud, film del 1969 diretto da Éric Rohmer con protagonisti Jean-Louis Trintignant e Françoise Fabian. La pellicola, finanziata in parte da François Truffaut, era stata concepita come terzo atto del ciclo Sei racconti morali (Six contes moraux) ma fu la quarta ad uscire (dopo La collectionneuse) dal momento che Trintignant non era disponibile a girare nel periodo natalizio.

Un-classic Christmas: “Ma nuit chez Maud” (Credits: IMDb)

I racconti morali di Rohmer si strutturano come Aurora, il capolavoro di F.W. Murnau (uno dei principali maestri per il cineasta francese¹): un uomo, sposato o impegnato, è tentato da una seconda donna ma, alla fine, ritorna dalla prima. In questo ciclo, Rohmer non è interessato tanto alle azioni o ai comportamenti dei personaggi quanto alle motivazioni che sottostanno a questi: sono opere introspettive, molto dialogate e filosofiche, in cui i personaggi vengono spesso messi di fronte a dubbi ed incertezze. È questo ciò che avviene anche in Ma Nuit Chez Maud, la cui vicenda si svolge principalmente tra il 23 e il 25 dicembre a Clermont-Ferrand, città situata nella regione Alvernia-Rodano-Alpi. Il protagonista è Jean-Louis (Trintignant), un ingegnere cattolico praticante di trent’anni da poco trasferitosi nella città per motivi di lavoro. A messa incontra una giovane studentessa bionda e se ne innamora, ma i suoi sentimenti e la sua integrità vengono saggiati dalla conoscenza di Maud, pediatra divorziata con cui passa la notte di Natale. Nella parte centrale e più vivace del film Jean-Louis, Maud e Vidal, un professore marxista, discutono della scommessa di Pascal sull’esistenza di Dio, contrapponendo e mettendo in crisi le rispettive filosofie di vita. Questo è il punto di partenza da cui l’autore distende il dilemma morale del protagonista che finirà per scegliere ciò che sogna e idealizza rispetto a ciò che già conosce, optando così per un archetipo rispetto al reale.

Un-classic Christmas: “Ma nuit chez Maud” (Credits: IMDb)

L’elemento che più adoro del cinema di Rohmer è la sua capacità di essere sempre genuino, coerente ed accattivante: considerando queste caratteristiche, Ma Nuit Chez Maud potrebbe essere addirittura visto come il capostipite della produzione dell’autore francese. Il sobrio bianco e nero e la musica intra-diegetica aiutano a rendere la pellicola calma e austera, i fitti dialoghi risultano un’interessante fonte di riflessione filosofica e la scoperta finale fa crollare, molto ironicamente, il castello di carte mentale che si era costruito il protagonista. Considerando la grande considerazione di cui l’autore gode presso i cinefili e i critici contemporanei, la durata relativamente breve e l’universalità dei temi trattati, non sorprende che il film non risulti per niente superato e sia tuttora apprezzato, tanto da essere stato menzionato nella lista del Guardian dei mille film da vedere prima di morire e da aver ricevuto alcuni voti nel controverso aggiornamento del sondaggio di Sight and Sound avvenuto a inizio mese. 

Un-classic Christmas: “Ma nuit chez Maud” (Credits: IMDb)

Se amate la Francia in inverno (sempre più difficile dopo questo Mondiale, lo capisco), un cinema morigerato e senza fronzoli e discutere di Marx e di massimi sistemi Ma Nuit Chez Maud potrebbe essere ciò che fa per voi in queste feste: recuperatelo e, nel caso in cui vi piaccia, date un’occhiata agli altri titoli di un autore fondamentale come Rohmer.


¹ L’organizzazione dello spazio nel “Faust” di Murnau, Éric Rohmer, 2004, Marsilio.

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