Skip to main content

di giulia

★★★★

È davvero un peccato che il titolo The Worst Person in the World sia già stato preso la scorsa edizione, perché altrimenti sarebbe stato perfetto per rappresentare la commedia prodotta quest’anno dalla Oslo Pictures, tutta incentrata sulla vita e sul malessere dei giovani adulti. Sick of Myself gira intorno alla figura di Signe (Kristine Kujath Thorp), il cui bisogno spasmodico di attenzioni arriva all’estremo quando il suo fidanzato artista, Thomas (Eirik Sæther), altrettanto egocentrico, trova un modesto successo con le sue installazioni realizzate con delle sedie rubate. Desiderosa di riconquistare i riflettori, abusa di proposito di farmaci pericolosi per ammalarsi e si crogiola nel conforto e nella compassione che inevitabilmente inizia a ricevere dalle persone intorno a lei.

Eirik Sæther e Kristine Kujath Thorp in ‘sick of myself’ (Credits: Festival de Cannes)

Questa commedia alterna l’essere divertente al creare disagio per colpa delle situazioni piuttosto assurde dove i personaggi finiscono per ritrovarsi a causa delle loro scelte che possiamo definire controverse. È il racconto palesemente orribile da parte di un personaggio palesemente orribile, e lo scrittore e regista Kristoffer Borgli non suggerisce mai il contrario né offre scuse per il suo comportamento. Gli impulsi di Signe sono tanto esilaranti quanto ripugnanti, non perché siano così difficili da capire, ma proprio perché, a un certo livello, possiamo capirli fin troppo bene. È definita dal suo desiderio di attenzione, e tanto meglio se a spese di Thomas. Da parte sua, Thomas non è meno vanitoso o meschino. A loro modo, sono una coppia perfetta, bloccata in un ciclo infinito di sminuire e superare l’altro per sport, con la crescente irritazione dei loro amici.

Anche tutte le figure che circondano i due protagonisti non sono di fatto persone migliori di loro. Ciò che conta per quasi tutti in Sick of Myself non è la verità ma la percezione, che si tratti dello spacciatore di Signe (Steinar Kloumann Hallert) che le chiede di uscire per far vedere a sua madre che ha degli amici, o di un’agente di modelle “inclusiva” (Andrea Bræin Hovig) che chiarisce che non le importa se i suoi clienti sono sani, ma solo che non sarà ritenuta legalmente responsabile se non lo sono. L’umorismo di Sick of Myself nasce dalla consapevolezza che, sebbene le scelte di Signe derivino da istinti che sono a un livello vergognoso — che la maggior parte di noi preferirebbe tenere nascosti agli altri — risultano nel contesto del film profondamente razionali nella situazione generale. Tuttavia, anche la realtà di Signe impallidisce rispetto ai suoi sogni, nei quali Sick of Myself si immerge senza preavviso, tanto che spesso non è chiaro, finché le cose non vanno troppo bene per lei, che quello che stiamo guardando è di fatto un sogno.

Kristine Kujath Thorp in ‘sick of myself’ (Credits: Festival de Cannes)

Signe ha un’attitudine alla menzogna, dimostrata quando abbellisce con cura il suo ruolo nell’aiutare una donna morsa da un cane. Ma quando la vediamo cercare di farsi aggredire da un cane, qualche giorno dopo, cominciamo a capire fino a che punto è disposta a spingersi per essere al centro dell’attenzione. Alimentata dal fatto che il lavoro di Thomas comincia a essere notato, Signe elabora un piano per riconquistare il dominio; il bisogno di essere sotto i riflettori è molto più forte di qualsiasi preoccupazione che il suo piano comporti l’ammalarsi.

L’attrice mette in scena il suo personaggio in modo che, nonostante il suo comportamento generalmente orribile, ci sia una sorta di tranquilla disperazione in quello che Signe sta facendo. Il modo in cui Borgli mostra quanto Thomas sia distaccato nei suoi confronti ci permette di conservare un briciolo di simpatia, anche nei suoi momenti peggiori. Se Signe può essere un’antieroina sul cui volto gravano le conseguenze fin troppo reali delle sue azioni, quello che Borgli suggerisce è che la società, nel suo complesso, dovrebbe sempre guardarsi allo specchio. 

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

One Comment

Leave a Reply