intervista a cura di giulia gelain
Brady Corbet è atterrato in Italia: la prima tappa è la Cineteca Arlecchino di Milano, dove abbiamo avuto l’onore di incontrarlo e scambiare due chiacchiere. Durante il primo giorno della rassegna il regista ha tenuto una masterclass aperta al pubblico, seguita dalla proiezione del suo ultimo pluripremiato film, The Brutalist. Gli appuntamenti dei giorni seguenti vedono la proiezione con Q&A degli altri suoi lavori, Vox Lux (2018) e Childood of a Leader (2015).

La mia prima domanda riguarda l’ispirazione per i tuoi film: trovo molto interessante l’aspetto letterario, ovvero il fatto che per ogni tuo film ci siano opere letterarie dietro, oltre a riferimenti cinematografici ovviamente. Questo elemento si riflette nella costruzione dei tuoi film, infatti sono sempre divisi in capitoli. Quali sono i tuoi autori preferiti e quale significato ha per te la scelta dei capitoli a livello formale?
«Sono cresciuto lavorando in una libreria, dai sette ai dodici anni, perché facevo fatica a leggere quando ero molto piccolo. C’era una donna che faceva volontariato nella mia scuola e che possedeva una libreria in città; aiutava i bambini che avevano delle difficoltà con la lettura. Lei e io ci siamo avvicinati, per cui ho iniziato a lavorare alla sua libreria e sono rimasto per cinque anni. Trovo che il cinema sia un’arte molto giovane, ha circa centoventi anni; per citare Harmony Korine: “Il cinema è bloccato in the birth canal”, le sue possibilità sono infinite, ma in realtà ripercorre sempre le stesse formule. Il romanzo non è fermo allo stesso modo, quindi penso che sia una risorsa migliore da utilizzare rispetto al semplice riferimento ad altri film. Anche un romanzo popolare, di media difficoltà, come può esserlo un thriller best-seller sul New York Times, è più interessante dell’equivalente nel cinema, di qualche poliziesco su Netflix. C’è più libertà nel romanzo, quindi sto facendo ciò che posso per riflettere questa caratteristica nel cinema. I miei autori preferiti… ne avrei tanti da elencare: Robert Musil rappresenta una grande influenza per i miei film; adoro Giorgio Manganelli, Italo Calvino, mi piacciono tutti! Roberto Calasso… Ho un’ossessione per la letteratura austriaca e tedesca del ventesimo secolo principalmente, ma cerco di leggere tutto ciò che posso».

Sono curiosa anche rispetto al tuo processo creativo: ho letto che ci vogliono anni per sviluppare l’idea e scrivere la sceneggiatura, mentre poi i film sono girati in poco tempo (e anche con un budget ridotto).
«Di solito scrivo molto velocemente le mie sceneggiature, ma solo dopo anni di ricerche per il progetto. Per me la ricerca è un lavoro troppo formale; leggo molto riguardo un argomento che mi interessa, poi un giorno ho abbastanza informazioni e sento che posso muovermi all’interno dei confini di quel periodo storico. Appena mi sento sicuro che posso davvero metterci mano, allora so che siamo pronti. Dopodiché si tratta di eseguire il piano molto velocemente».
Nei tuoi film racconti di vari temi importanti, universali. Pensi che il cinema abbia una forza che riverbera nella nostra società? Credi che il cinema abbia un qualche tipo di missione oggi?
«Che ci piaccia o no, i film riverberano socialmente. Voglio dire, penso che gli scorsi vent’anni di televisione e di cinema molto mediocre siano responsabili di svariati problemi culturali che abbiamo oggi. Non penso che sia l’unico fattore, ma penso che abbia avuto un grande impatto, soprattutto se pensiamo a quanto tempo le persone passano davanti a Amazon Prime Video e Netflix. Ovviamente sta avendo un effetto sulla cultura e la psicologia di ogni individuo, oltre che sulla coscienza collettiva. Penso che quando stai facendo un film non puoi troppo soffermarti sul come verrà percepito dal pubblico, perché è impossibile soddisfare milioni di persone che non conosci. Quindi concretamente cerco di fare un lavoro che piacerebbe vedere a me, e poi spero che possa risuonare culturalmente con il pubblico, e che possa avere un impatto. La maggior parte dei film ai quali ho lavorato nella mia vita hanno avuto davvero poca ricezione, non molte persone li hanno visti, infatti con The Brutalist è stato sorprendente: il mio film più radicale, il più lungo, ha riscosso un tale successo, quando pensavo che avrebbe incassato tipo cinquecentomila dollari e basta».

Sarebbe bello se ci parlassi anche della tua carriera da attore. Hai iniziato molto giovane a lavorare con grandi autori, soprattutto europei. Quale ruolo ti si addice di più? Ti diverte maggiormente recitare o stare dietro la macchina da presa?
«Sono passati tredici anni dall’ultima volta che sono stato davanti a una cinepresa, penso che forse lo potrei rifare per un caro amico, ma si è come un muscolo che va esercitato: anche solo imparare tutti i dialoghi è qualcosa che devi essere abituato a fare. Sarebbe molto difficile per me tornare a recitare. Quando lo facevo, non lo amavo molto; mi piaceva lavorare con i registi, ho avuto tante belle esperienze, ma non mi sono mai sentito totalmente a mio agio. Penso quindi di avere una preferenza per il lavoro di regista, che è il motivo per cui faccio ciò che faccio».

La colonna sonora e il sound design sono altri elementi fondamentali dei tuoi film. Come ci lavori?
«Sono un tipo molto particolare riguardo le colonne sonore. Mi piace la musica solo se realmente è un altro personaggio del film: preferirei non averne piuttosto che inserire qualcosa che serve meramente a guidare i sentimenti dello spettatore. Vorrei qualcosa che sia davvero presente, quando c’è. Esiste questa battuta per cui quando stai lavorando alla colonna sonora dovresti assicurarti che non suoni come qualcuno che stia dormendo durante le scene. [Imita una colonna sonora in un poliziesco noioso, durante una scena di suspence]. Non è molto interessante, no? Hai l’impressione che sia la stessa in ogni film, preferisco qualcosa che sia immediatamente riconoscibile, come Così parlò Zarathustra, in 2001: Odissea nello spazio [composta da Richard Strauss]. La sento e capisco cos’è».

Durante l’incontro stampa, Brady Corbet ci ha fornito anche qualche anticipazione dei suoi prossimi lavori, tra i quali figura un documentario girato al 90% in analogico, in 65mm. Il film ripercorre la storia economica del Nord della California, dalla corsa all’oro alla Silicon Valley di oggi. Forse, chi sarà presente, potrà vederlo in concorso all’edizione della Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno. Ma niente di ufficiale ancora. Durante l’attesa, potete godere dei suoi lavori precedenti, sia da attore che da regista. Il suo cortometraggio, Protect You + Me (2008), si dovrebbe trovare agilmente su YouTube.