approfondimento a cura di virginia maciel da rocha
Cosa succede quando un disparato e variegato gruppo di animali decide di andare a vivere nello scantinato di una casa abbandonata? Nathan Ghali prova a rispondere a questa domanda con il cortometraggio d’animazione «Lick a Wound». La proiezione è prevista per il 20 maggio, all’ultima serata di INDOCILI, come sempre, al Cinema Beltrade.
Gli animali, nella storia della letteratura, hanno sempre avuto una posizione privilegiata. Che si tratti di simboli per vizi e virtù umane, nel modo in cui Dante Alighieri, nella sua Commedia, parlava delle famigerate tre fiere o di metafore per rappresentare uno specifico contesto socio-politico, come faceva George Orwell ne La fattoria degli animali, poco importa. Il cinema, poi, ha seguito in maniera abbastanza consequenziale questa tendenza, fino ad arrivare agli animali antropomorfi di Wes Anderson e, ultimo in ordine cronologico ma non per importanza, il pluripremiato Flow di Gints Zibalodis. Nathan Ghali con Lick a Wound (Les animaux vont mieux) sembra recuperare una buona dose di critica sociale letteraria tradizionalmente affidata a figure animalesche, per riflettere sulle condizioni in cui versa il mondo e la società in cui viviamo, senza però esagerare con il rendere troppo antropomorfi gli animali.

Il cortometraggio d’animazione, già presentato alla Berlinale 2024 nella sezione Shorts, segue le vicende di un gruppo di animali che decide di dichiarare secessione dal mondo quotidiano in cui li si potrebbe ritrovare inseriti, per vivere in comunità in un edificio abbandonato. Da lì scopriamo i loro pensieri, ascoltiamo le loro storie di vita e finiamo per condividere le loro intime paure e preoccupazioni. Ascoltare, in questo caso, è un’azione che coinvolge più di una sola sfera sensoriale: per ascoltare e veramente comprendere, ci ritroviamo a leggere le traduzioni di quello che gli animali esprimono, non servono solo le orecchie, ma anche una certa predisposizione a capire quanto si legge. I pensieri dei personaggi protagonisti scorrono proiettati nella forma di sottotitoli, proiettati sulle pareti della casa abbandonata; usiamo i sottotitoli per capire meglio qualcosa che non è esattamente alla portata della nostra attenzione, per evitare che questi pensieri si perdano nella traduzione, lost in translation.

Ci fermiamo a guardare gli animali solo quando la loro carica “pericolosa” è completamente annientata: impagliati, esposti dentro a un museo per cui, con ogni probabilità, sarà stato pagato un biglietto per l’ingresso. Mentre, invece, sono in vita, l’uomo ha la straordinaria capacità di prevalere su tutto ciò che lo circonda: ignorando qualcosa quando non lo capisce, eliminandolo direttamente e tagliandolo fuori dal contesto di vita quotidiana se lo percepisce come una minaccia al proprio benessere. La carica vitale dell’uccellino che canta e zampetta si scontra inevitabilmente con la rigidità di tutti quegli animali che, considerati come esotica forma di intrattenimento, assumono valore solo in funzione dello sguardo umano, che violentemente si posa su di loro.

Mentre per alcuni animali è facile immaginare un contesto domestico, tanto che vediamo due gatti riposare su un divano, per altri non è propriamente così. La presenza di alcuni animali intorno all’uomo diventa evidente solo nel momento in cui si crea un disagio: la volpe travolta a margine della carreggiata stradale, che probabilmente ha provocato inavvertitamente e involontariamente qualche disagio a chi stava guidando, diventa simbolo della disattenzione dell’umanità verso il prossimo. Animali randagi, persi, alcuni privilegiati, nati nel posto giusto al momento giusto: in questo epilogo un po’ orwelliano, che si serve di proiezioni su creature “altre” rispetto all’essere umano, tutti i personaggi sono specchio di un’umanità sbandata. Non c’è spiegazione alla sofferenza di alcuni e non c’è consolazione ulteriore per quelli che hanno perso il loro posto a fianco del tepore domestico, è così e basta e non resta che aspettare camminando in cerchio, come fanno i cani-lupo sulla sabbia, aspettando che qualcosa, che un imprevisto arrivi.