a cura di giovanna orlandini
Approfondimento sull’ultima fatica cinematografica diretta da James Mangold, A Complete Unknown, dove Chalamet e Barbaro brillano nei panni dei giovani Dylan e Baez.
A Pete Seeger è bastato uno sguardo per capire che quel ragazzino smilzo e con i capelli spettinati, la chitarra appoggiata sulle spalle magre come un fucile, pronto a qualsiasi evenienza, sarebbe stato in grado di dare uno spintone al mondo intero pur di emergere. Non a caso ha tutto quello che serve per riuscirci: parole come proiettili, dritte nei punti mortali, schegge che sconquassano le vertebre per la potenza di cui si fanno carico, la rabbia di chi stenta a collocarsi in un’epoca ipocrita e fugace, la caparbietà di chi non è disposto a scendere a compromessi con niente e con nessuno. Bob scrive per necessità, per lui non si tratta di compiere voli pindarici o meri esercizi di stile, i sogni li lascia volentieri a chi non è ancora diventato come lui, disincantato ma non indifferente, in contrasto con tutto e tutti. E Pete, membro della vecchia guardia, purista di un genere, il folk, ormai prossimo ad un cambiamento epocale, sa che deve lasciar spazio al nuovo che avanza, a questa nuova carica di impegno e consapevolezza di cui Bob Dylan incarna l’animo più ribelle.

Non teme il giudizio, ricerca esclusivamente l’affermazione del suo io senza trascurare il contesto in cui si muove; sono gli anni dei movimenti giovanili, delle proteste contro i potenti, coloro che sacrificano le vite dei propri cittadini senza batter ciglio, e Bob arriva a ricordar loro, i padroni della guerra, che i tempi stanno cambiando. In lui convivono quindi due correnti simbolo dell’epoca: la necessità di un’affermazione personale in un mondo in piena rivoluzione e il movimento per la presa di coscienza delle dinamiche sociali che lo guidano. C’è poi il bagaglio musicale americano, dal folk fino al jazz e al rock’n’roll, ci sono Hank Williams col suo country, Woody Guthrie e il suo errare accompagnato dalla fedele chitarra che uccide i fascisti, Johnny Cash e il suo essere virtuoso di più generi. Bob Dylan ruba una scintilla da ognuno e la adatta alla sua visione per creare il suo repertorio, e gli Stati Uniti si ritrovano ben presto smascherati nella loro ipocrisia di sogno americano dalla musica e le parole che sembrano zampillare fuori dalla testa in continuo movimento del giovane cantante folk meno tipico che si sia mai presentato sul palco del Newport Folk Festival.

Agli adulti chiede di non criticare quello che non capiscono, ai potenti ricorda che tutto quello che stanno compiendo si ritorcerà contro di loro, alle donne ammette di non essere in grado di raccoglierle ogni volta che cadono, che si sbagliano se pensano di avere davanti una persona in grado di coglier loro fiori e proteggerle. Sincero e in continuo divenire, sempre pronto a sperimentare pur mantenendo saldo il suo animo ribelle, Bob trascende epoche e luoghi, si impone come scrittore prima di musicista, in grado di esplorare generi e forme pur di raccontare e raccontarsi. L’aedo che non si piega e non si fa plasmare, che l’amore, per quando tenero o travolgente, non riesce a scalfire o forse lo rivoluziona completamente, tanto da renderlo una persona nuova, l’ennesima che abbia abitato i suoi panni sgualciti.

Quando incontra la magnetica Joan Baez, la relazione che si instaura tra i due sborda continuamente tra collaborazione artistica – lo scambio reciproco di brani, le canzoni scritte e suonate insieme, le esibizioni in duo che hanno fatto la storia della musica di protesta e soprattutto del Newport Folk Festival – e liaison passionale, al contempo non scevra da difficoltà e scelte che li portano pian piano a dividersi anche artisticamente, nonostante il segno indelebile che l’uno imprime sull’altro. La svolta elettrica e pregna di R&B e rock che Bob intraprende con l’album Another Side of Bob Dylan e che culmina con l’esibizione leggendaria del 25 luglio 1965 sul palco di Newport, tra lo sgomento di Pete e le reazioni contrastanti del pubblico, non fa che allontanarlo ancor di più dalla figlia dei fiori Joan, icona del folk più puro in cui la forma sottosta al contenuto.

Il desiderio di essere un completo sconosciuto, fedele a niente e nessuno se non a sé stesso e ai suoi desideri di cambiamento, guida il menestrello del Minnesota verso una progressiva metamorfosi che non riguarda solo la musica, con l’aggiunta della band e la virata verso le nuove sonorità, ma anche la ricerca di un progressivo anonimato al di fuori della vita musicale. Solitudine che è salvezza e distruzione, che non lo risparmia da paranoia e dipendenza ma che lo porta ad esplorare generi disparati senza mai lasciare da parte quella sua scrittura dissacrante e personalissima. Timothée Chalamet si fa carico di quest’impasse intestina, figlia del tempo e dell’America di metà anni Sessanta, portando in scena tutte le contraddizioni e difficoltà dell’inizio di una rivoluzione che ha segnato la storia della musica e l’approccio di un’intera generazione ai problemi del mondo.

In lui convivono alla perfezione il primo Bob, quello che aspira a conoscere Woody Guthrie e vive nella tranquillità dell’appartamento newyorkese assieme a Suze Rotolo, e il Bob profondamente mutato dal successo e dall’avvicinamento alla scena rock e blues, quello degli occhiali neri e della rivolta edipica contro il padre musicale Pete Seeger. Il film di James Mangold segna uno spartiacque nel mondo del biopic musicale, rende protagonista la musica di Bob Dylan e la scena folk dell’epoca, in cui sicuramente spicca Joan Baez, a discapito del romanzo e della leggenda ricamati sulle vite dei protagonisti. Sia Chalamet che Monica Barbaro interpretano i brani dei due artisti, il vero valore aggiunto al progetto di Mangold, ed è impossibile non rimanere completamente sbalorditi dal lavoro incredibile e dalla potenza che i due riescono a inscenare durante i tanti brani registrati per la composizione del film.

Brani meravigliosamente interpretati e che a risentirne le parole ci appaiono più attuali e immortali che mai; ennesimo segnale che gli artisti raccontati in A complete unknown sono stati precursori e innovatori, in grado di leggere e interpretare una realtà che si ripropone ciclicamente ma che non avrà mai più una scena musicale leggendaria come quella di cui facevano parte.
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