recensioni a cura di sara carena
Qualche settimana fa si è conclusa la 24esima edizione del ToHorror Fantastic Film Fest. Il tema cardine di quest’anno era l’antropocene, a cui è stata dedicata una breve retrospettiva. Proprio per questo, per l’apertura del festival non poteva mancare un film come Godzilla (1954) che quest’anno compie 70 anni, oltre ad altri classici come Frogs (1972), Long weekend (1978) e Ladybug Ladybug (1963). Sono stati presentati numerosi lungometraggi e cortometraggi in anteprima italiana e uno in anteprima mondiale, il bellissimo The Bingo Sisters di Andrew Przybytkowski.
A vincere l’ambito premio come miglior lungometraggio è stato il western post-apocalittico con venature noir Steppenwolf (2024) di Adilkhan Yerzhanov; tra i favoriti che c’erano anche gli attesissimi – andati subito sold out – In a violent nature (2024) di Chris Nash e Oddity (2024) di Damian McCarthy che ha ricevuto la menzione speciale della giuria «Per la capacità di costruire un racconto dell’orrore solido e credibile in tutti i suoi passaggi; per la potenza della storia, che lascia intuire davvero l’esistenza di una dimensione sovrannaturale». Altro attesissimo film era House of Sayuri, l’ultimo lavoro di Kôji Shiraishi ispirato al manga di Rensuke Oshikiri Sayuri. Anche quest’anno i corti erano numerosi e spaziavano tra diversi generi: dal mostruoso Shé di Renee Zhan – che si è aggiudicato il premio come miglior cortometraggio – all’inquietante e soffocante Dream Creep di Carlos A. F. Lopez, all’atteso dark fantasy tutto italiano Juggernaut di Daniele ed Emanuele Ricci e il cupo e angosciante Dead End di Dima Barch.
«in a violent nature» (2024) di chris nash
In a violent nature è sicuramente uno dei lungometraggi del festival da non perdere. Con uno sviluppo narrativo tipicamente slasher, il film immerge lo spettatore in un vero e proprio bagno di sangue ad opera di un non-morto che viene risvegliato ogni volta che qualcuno osa rubare il gioiello regalatogli dalla madre. La storia segue le tappe tipiche del genere: un gruppo di ragazzi in vacanza in un luogo isolato si trova improvvisamente alla prese con un assassino che ucciderà tutti i membri del gruppo (tranne la final girl). Ciò che però lo contraddistingue dagli slasher tradizionali è il punto di vista che si assume guardandolo poiché non si seguono le vicende dei ragazzi ma si assiste, invece, alle fasi che precedono gli omicidi. Vediamo le lunghe e interminabili passeggiate del non-morto alla ricerca del suo cimelio e della sua prossima vittima. Questa nuova prospettiva riesce a far immergere lo spettatore ancora di più nella vicenda, caratterizzata da momenti violenti (le uccisioni ad opera del killer sono estremamente sanguinose) e alternata a lunghissimi piano sequenza in cui l’ambiente circostante passa dall’essere fonte d’angoscia ad assumere quasi dei tratti idillici, facendo dimenticare allo spettatore di star guardando un film horror.
«house of sayuri» (2024) di kôji shiraishi
Se vi piacciono i classici j-horror con famiglie che si trasferiscono in case infestate ma vi interessano anche momenti di puro divertimento, allora House of Sayuri fa sicuramente per voi. Kôji Shiraishi ci ha già sorpresi più volte con una serie di titoli, tra cui si ricorda il più noto Noroi: The Curse, ma questa volta riesce a combinare la narrazione più classica dei j-horror con elementi umoristici e grotteschi. Il film si apre con la sequenza di immagini che mostra l’evento scatenante e “presenta” il fantasma protagonista del lungometraggio. Con un salto in avanti nel tempo, ci viene presentata la famiglia che, a distanza di anni, va a vivere in una nuova casa, ma che è purtroppo costretta fin da subito a doversi confrontare con lo spirito di una bambina piuttosto vendicativa.
La parte più comico-grottesca, sviluppata nella seconda parte del film, ha la funzione di dissacrare i tipici cliché caratteristici di questa tipologia di film. Durante la visione, però, si assiste a un cambio di paradigma che permette allo spettatore di ragionare in modo più profondo su alcune questioni di grande importanza e molto attuali nonostante vengano presentate con un contorno satirico. Queste numerose variazioni portano, però, alla creazione di una narrazione frammentata che potrebbe non piacere ai puristi del genere.
«else» (2024) di thibault emin
Anx è un ragazzo solitario, Cassandra è, invece, una ragazza estroversa e invasiva. I due si incontrano a una festa e passano la notte insieme. Quando però inizia a diffondersi uno strano virus che provoca, apparentemente, una semplice malattia della pelle, la questione si complica: si dovrà passare molto tempo in isolamento ma essendo due anime solitarie, i due decidono di passare i giorni di confino insieme. Però la malattia che si sta diffondendo non è così banale come sembra: caratterizzata da diversi stadi, una volta raggiunto l’ultimo, chi ha contratto la malattia si fonde lentamente con gli oggetti con cui il corpo entra in contatto. Come si può sfuggire a questa epidemia quando si convive in uno spazio ristretto, dentro una casa che sta iniziando ad ammalarsi? Come si può vivere sapendo che il morbo si può trasmettere anche solo tramite un semplice sguardo? Come si può convivere con la persona che si ama senza poterla guardare negli occhi? Tutto ciò è magistralmente rappresentato dall’ultimo film di Thibault Emin in Else, un film basato sull’omonimo cortometraggio del 2007. Un film opprimente a livello visivo ed emotivo che contribuisce alla creazione di un forte senso di solitudine e angoscia .