recensione a cura di alberto frosini
Francis Ford Coppola, con il suo ultimo mastodontico progetto Megalopolis, abbandona ogni cautela e lancia tutto sullo schermo, sfidando il pubblico a riflettere sul futuro e sull’umanità stessa in quello che sembra essere il suo enorme testamento cinematografico. Megalopolis non mira al realismo, ma invece, attraverso l’utilizzo della CGI, della recitazione e di contrasti di luce, prova ad allontanarsi il più possibile da una rappresentazione veritiera della realtà. Questa scelta stilistica conferisce al film un impatto visivo ed emotivo volutamente kitsch, trasformandolo in una fiaba fantascientifica che prende vita in modo spettacolare in sala.
icone ed eccessi
Adam Driver, nel ruolo di Cesare Catilina, è il cuore pulsante del film ed è presente nelle scene più iconiche ed emblematiche. La sua performance si distingue per un tono esagerato e artificioso, che contribuisce a definire l’essenza della pellicola. Attorno a lui ruota un cast variegato: Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito) aggiunge una nota un po’ più seriosa e distaccata, mentre personaggi come Hamilton Crasso III (Jon Voight), Wow Platinum (Aubrey Plaza) e Clodio Pulcher (Shia LaBeouf) animano il film con momenti grotteschi e farseschi. Su tutti, Shia Labeouf offre la migliore prova attoriale: pomposa e teatrale, evoca la vanità, violenta e stravagante, degli aneddoti biografici più storicamente inattendibili di Nerone o Caligola. Meno incisiva appare Nathalie Emmanuel nel ruolo di Julia Cicero, compagna del personaggio di Adam Driver, che fatica a tenere il passo con il resto del cast.
Purtroppo attori di grande calibro, come Dustin Hoffman (“The Fixer”) e Laurence Fishburne (Fundi Romaine) vengono relegati a ruoli secondari e la brusca uscita di scena di Hoffman appare involontariamente comica, goffa e poco integrata nell’economia della trama. Un difetto significativo del film è proprio il sottoutilizzo del cast, con alcuni personaggi che, pur sembrando inizialmente fondamentali, finiscono per essere tagliati fuori.
considerazioni sull’attualità
Attraverso una riflessione sulle grandi potenze geopolitiche, come l’URSS o l’Indonesia, e con la rappresentazione di un impero decadente (New Rome) contrapposto a un nuovo mondo idilliaco, Coppola sintetizza stili e simbolismi, portando in scena una fantasiosa esplorazione del potere e dell’ingegno umano. Rimane evidente che Megalopolis non sia un manifesto politico, ma piuttosto una riflessione sul presente e sul sentimento di vivere in un’epoca che richiede nuove utopie, senza però riuscire a concepirle chiaramente.
Colpi di scena apparentemente assurdi, come un’attrice pop-virginale che si esibisce in una specie di enorme stadio romano organizzato da un Jon Voight delirante, si fondono con una narrazione epica in stile vecchia Hollywood. Inoltre il film raffigura elementi onirici che irrompono meravigliosamente sullo schermo, richiamando gli esperimenti fantastici e grotteschi di alcune pellicole di Terry Gilliam. Dato il tono esagerato, il film non arriva mai a prendersi troppo sul serio, fondendo una marcata aspirazione poetica alla rappresentazione della Roma antica di Tinto Brass in Caligola.
Il finale sancisce uno dei momenti più significativi del film: Catilina (Adam Driver) proclama una sorta di “anno santo”, liberando l’uomo dal debito e dalla necessità del lavoro. L’umanità ora ha un’eternità di tempo libero per dare vita alla propria immaginazione e creare la “Megalopolis”. Questo epilogo suggella la pellicola come un’immagine ideale, consapevole delle sue esagerazioni e della sua stessa irrealizzabilità. In conclusione, Megalopolis è un film a tratti limitato e imperfetto, ma profondamente affascinante, audace e che spesso lascia incantati.