recensione a cura di alberto frosini
Al secondo appuntamento di Indocili, rassegna di cinema indipendente organizzata da Tafano Cinema in collaborazione con il Cinema Beltrade, abbiamo visto il documentario realizzato da Diego Botta.
Con Mixx, Diego Botta costruisce un ritratto vivace e intenso della scena musicale underground italiana. In soli circa 25 minuti, il documentario esplora, con passione e autenticità, le aspirazioni, le lotte e l’incessante creatività che divampano nel sottobosco musicale, tracciando una geografia intima di artisti, spazi e ritmi che attraversano due grandi centri urbani del nord Italia. Il documentario si snoda attraverso una serie di interviste e estratti di videoclip, tentando di catturare lo zeitgeist di una scena musicale in continua trasformazione.
Sono presenti volti noti dell’underground, come Ibisco, le band Leatherette e Gomma, fino a figure professionali di supporto nella scena come il critico musicale Damir Ivic e Marco Cantelli, direttore artistico del “Covo Club”. Ciascuno di loro porta una prospettiva personalissima su cosa significhi fare musica indipendente in Italia, dove spesso gli artisti sembrano abbandonati a loro stessi, costretti a lottare contro una cultura dominante che valorizza poco l’arte non convenzionale. In primis viene inquadrata la città di Bologna, vista come centro nevralgico della scena alternativa, e solo in un secondo momento Milano, cuore del music business italiano. A Bologna, le contaminazioni tra generi e stili scorrono liberamente, generando una comunità musicale coesa e appassionata. Milano, invece, pur essendo il fulcro delle opportunità, rischia di standardizzare il prodotto musicale, imponendo logiche commerciali e compromettendo la sincerità degli artisti.
Il film non si limita a esplorare la musica come medium artistico, ma riflette anche sulle difficoltà economiche e sociali che influenzano il percorso dei musicisti. Fare musica, emerge dalle voci raccolte, significa spesso accettare di lavorare per il puro amore dell’arte, senza aspettarsi un ritorno materiale. Ad esempio, una figura come Pietro Raimondi, in arte Montag, incarna queste complessità. Infatti questo artista, partecipando a multiple attività musicali, può così soddisfare sia il bisogno di pagare l’affitto sia il desiderio di creare per passione. Temi come la precarietà economica e la difficoltà di emergere si intrecciano con la necessità di rimanere autentici in un ambiente dove la pressione per “sfondare” porta molti artisti a compromettere la propria identità musicale.
Come riportato dalla cantautrice Her Skin, per le donne queste difficoltà sono amplificate, poiché devono spesso combattere di più per essere prese sul serio in un ambiente dominato da dinamiche maschili. Un aspetto affascinante del documentario è la riflessione sui generi musicali: nell’epoca digitale, in cui i confini tra i generi si dissolvono, emergono sonorità ibride, in costante dialogo con il mainstream. Tuttavia, nonostante i riflettori dei media online, i protagonisti di Mixx rimangono, per ora, lontani da radio e televisioni. La loro è una musica “alternativa” nel vero senso della parola, più vicina alla comunità che alla popolarità di massa. Mixx è infatti una celebrazione della comunità musicale. Essendo tutti sempre più connessi virtualmente, il documentario mostra come gli artisti trovino un senso di appartenenza e solidarietà nei concerti dal vivo e nei club, luoghi in cui le relazioni nascono, si sviluppano e alimentano una creatività collettiva.
Mixx è, infine, una testimonianza preziosa e sincera della musica underground italiana. Un racconto di speranza e passione, che invita a riflettere sul significato profondo del fare arte in un paese che spesso guarda altrove. È un documentario che merita di essere visto non solo dagli appassionati di musica o dai fan degli artisti presenti, ma da chiunque voglia comprendere lo stato della musica in Italia nel 2024.