recensioni a cura di edoardo righetti
Si è da poco conclusa la 34° edizione del Noir in Festival, rassegna cinematografica dedicata al genere cinematografico, che ogni anno ha appuntamento negli spazi del Cinema Arlecchino di Milano. Ecco alcuni dei titoli che abbiamo visto in anteprima.
«presence» (2024) di steven soderbergh
Presence di Steven Soderbergh costituisce un forte esercizio di stile, e un ambizioso esperimento narrativo. E forse non si spinge oltre. Il film è stato presentato a gennaio al Sundance Film Festival, e sarà distribuito in Italia il prossimo febbraio da Lucky Red. L’ho visto al suo debutto europeo in anteprima al Cinema Arlecchino di Milano, in concorso alla trentaquattresima edizione del Noir in Festival.

La tensione si imposta sin dai primi secondi del film, con l’ingresso in una villa del New Jersey attraverso una camera a mano, un piano sequenza che costituirà il leitmotiv dell’intero film. Siamo noi la presenza intrappolata nella casa: è esplicita la lezione del primo Halloween di Carpenter, che mano a mano disegna l’espediente narrativo interno utilizzato da Soderbergh nel suo debutto alla regia di un horror. Poi una squisita Julia Fox [neofita dell’horror, già comedy e drama queen, modella, cantante, autrice autobiografica e artista visuale], in veste di agente immobiliare, conduce una famiglia di 4 all’interno della stessa casa: per la successiva ora e dieci, quelle pareti color pastello sono tutto quello che ci verrà mostrato. Soderbergh mostra la villa con ottiche grandangolari in soggettive, lunghi piani sequenza che rivelano gli spazi-limite entro cui noi, e questa presenza, ci troviamo costretti. Una presenza che non è in grado di essere descritta, se non quando qualcuno prova a riconoscerla: sarà proprio dal primo nome che le viene assegnato che il punto di vista e le azioni della stessa verrano mano a mano rivelate.

Presence è certamente un racconto di genere, che ibrida una classica ghost story al dramma sociale. Si parte dai problemi che si trova a affrontare la traumatizzata protagonista, Chloe (Callina Liang), e il viaggio della presenza ci porterà dentro alle dinamiche interne al gruppo della famiglia. Una madre businesswoman (Lucy Liu) fin troppo legata al figlio maschio, un padre amorevole in forte crisi depressiva e un figlio ivy league eccessivamente ambizioso completano il quadro di questo family drama – a cui il pubblico, insieme alla presenza, cercherà di venire a capo. Non ci sono jumpscares e non ci sono shock visivi. Presence vuole mostrarci ciò che solo le pareti di una casa sanno, e vive dentro alla più grande crisi del contemporaneo: il fantasma del modello di famiglia.
«rumours» (2024) di guy maddin, evan e galen johnson
Dopo la sua première al Festival di Cannes appena passato, Rumours ha fatto poco rumore. Evidentemente la comedy horror, da produzione tedesco-canadese (con il supporto di Ari Aster e la stessa Blanchett), non ha mosso la critica. In un’era di incertezza e di sfiducia nei confronti dei leader delle quasi-democrazie virate verso l’estrema destra, il G7 non è di certo l’evento più atteso dell’anno. Presentato fuori concorso al Noir in Festival di Milano, l’ho visto in anteprima in una sala quasi del tutto vuota. Tra me e me ho pensato: l’Europa non è pronta!

Cosa succede se metti insieme tre registi canadesi, una tagliente satira delle crisi globali contemporanee e Cate Blanchett in drag da Angela Merkel? Rumours, pettegolezzi, ombre e scandali: è proprio nella residenza della Prima Ministra tedesca che ha luogo il G7 che racconta il film. Presenti una schiera di rappresentanti inetti e incapaci, da un Antonio Lamorte (Rolando Ravello), primo ministro italiano totalmente incapace di formulare una frase in inglese, a Maxime Laplace (Roy Dupuis), primo ministro canadese, DILF in piena crisi esistenziale sulla fine del suo ultimo mandato.

Dopo i lunghi convenevoli e qualche ricordo dei G7 passati, il racconto si ferma sulla location – sito di ritrovo di alcuni Bog Bodies (mummie di palude) dall’Età del Ferro. Una popolazione perfettamente conservata, che grazie alle condizioni atmosferiche ha mantenuto pelle e capelli durante la decomposizione delle proprie ossa. Da qui gag vicine al miglior Scary Movie 3, un gazebo sotto cui i 7 si trovano a dover scrivere un comunicato sull’attuale indefinita crisi (situazione che si può applicare a circa 78 eventi degli ultimi quattro anni), e dopo la procrastinazione alcolica, in cui alcuni dei loro tratti più nascosti e le pulsioni più perverse verranno alla luce, lo staff che prima era all’ordine di ricambiare ogni bottiglia ora sembra scomparso. È così che inizierà un viaggio nel buio, alla ricerca di una via di fuga da una selva oscura in cui si iniziano a manifestare alcuni dei lasciti di una tradizione aliena che mano a mano prenderà potere sul mondo mentre i 7 poveri malaugurati si troveranno a dover finire il loro comunicato sullo stato delle cose.

Ed è così che, con un cielo in fiamme e una società scomparsa, tutto quello che rimarrà per sopravvivere ai 7 è una goodie bag, un chatbot AI anti-pedofilia e quel poco di democrazia liberale che avanza nelle situazioni estreme. Lascio qui la dichiarazione d’intenti dei registi, che riassume perfettamente tutto ciò che il film vuole sardonicamente dirci: «Costretti dall’imminente apocalisse che ormai è diventata qualcosa di sin troppo familiare, sedotti dalle sinuosità escatologiche inscritte provocatoriamente nei nostri cieli sulfurei, con nient’altro che la disperazione a consolarci, e con le nostre anime assiderate, bisognose di quel calore che a volte solo la nostalgia può fornire, noi registi abbiamo rivolto la nostra disperata attenzione, con le corone del rosario che tintinnano come denti tra le nostre dita scheletriche, alle decrepite e pittoresche usanze della diplomazia – cioè il G7!». (Guy Maddin, Evan e Galen Johnson)

Tutto quello che rimane di Rumours dopo l’ora e mezza di visione non è che un’allucinazione, così come appare il futuro post-post-post-post moderno. Che questo film resti come monito, o come una tromba d’aria prima di un ciclone che sta divorando tutto e tutti: se alieni preistorici possono prendere il potere, e se Cate Blanchett ha scelto di nuovo questo tipo di progetto, dopo il deludente Don’t Look Up del 2020, vuol dire che le cose non cambiano – stiamo solo andando verso i DaDa 2030.