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di virginia

Approfondimento/confessione a cuore aperto su questa serie televisiva guilty pleasure targata Netflix, che sembra durare all’infinito ma va bene così.

Era il 2018 quando, per la prima volta, vedevo comparire sullo schermo della mia televisione un prodotto Netflix inquietantemente simile alla Casa di Carta. Non solo ritornavano gli stessi attori (un saluto a Maria Pedraza, Miguel Herrán e Jaime Lorente López) della serie-heist più famosa (meritatamente o no, me lo direte voi) del mondo, ma anche i toni (e i colori, persino, con tutto quel rosso) erano molto simili. Il 2018 è trascorso da ormai cinque anni e già allora mi sentivo di essere fuori dal target a cui Élite, teen drama con una forte componente di thriller, puntava prepotentemente. Se già all’epoca ero fuori dal target di pubblico ideale, figuriamoci adesso. Nonostante questo, ho iniziato a guardarla allora e per qualche motivo che ancora non mi spiego – ma che cercherò di chiarire parlandone – ho continuato fino a oggi, ora che le serie ha raggiunto la sua settima stagione. Il nome della serie rimanda, in modo inequivocabile, a una dimensione di lusso e di cerchia molto ristretta; non so quanto in maniera volontaria o meno ci sia un riferimento alla famosa agenzia di modeling creata da John Casablancas visto che l’unico requisito per entrare in questa scuola sembra essere la bellezza esteriore. Ma vabbè, sorvoliamo.

“Élite” (Credits: Netflix)

Élite è una serie prodotta da Netflix e ideata da Carlos Montero e Darío Madrona, si incentra su un gruppo di giovani ragazzi frequentanti un costoso e prestigioso liceo privato di Madrid, il liceo Las Encinas. La storia originaria prevede che tre ragazzi (provenienti da una classe sociale meno agiata rispetto alla vasta fauna antropologica che frequenta il liceo) vincano una borsa di studio per poter prendere parte alle lezioni di questo liceo; ovviamente disparità sociali ed economiche non tardano a farsi sentire e tutto questo dislivello verrà declinato in modo brutale fino a concludersi con un omicidio – annunciato a inizio serie ma di cui, solo alla fine, si scopriranno i colpevoli. Questa è, grosso modo, la struttura che viene riproposta per ogni stagione – almeno fino alla quinta: litigi tra compagni di classe, gelosie e cuori spezzati, vecchi rancori mai sanati fanno da contorno allo scioglimento dell’omicidio (sempre di una persona diversa) annunciata a inizio stagione. Poi, però, la struttura narrativa cambia: nelle ultime due stagioni manca il significativo omicidio e viene lasciato spazio a dettagli più realistici (ammesso che si possano definire così) della storia.

“Élite” (Credits: Netflix)

Quello che mi ha sempre incuriosito è la doppia natura di questa serie tv. Se, da una parte, si propone come un prodotto audiovisivo modernissimo, attento a ogni piccolo movimento e discussione che si svolge sui canali social, dall’altra adotta un meccanismo narrativo vecchio come il mondo e più che consolidato. Sì, troviamo personaggi che abbracciano un ampio spettro di identità e orientamenti sessuali, ma questa modernità è, di fatto, quasi un vezzo e rimane sempre in superficie. L’universo di Élite, come gran parte della letteratura settecentesca, è profondamente manicheo: i buoni sono veramente buoni e i cattivi sono proprio cattivi. Senza via di mezzo. Le opposizioni di carattere sono più che elementari e, anzi, addirittura cavalcano anche lo stereotipo che associa tutti i personaggi buoni alle classi sociali meno agiate e tutti gli antagonisti a un ceto più ricco. Tutto nella norma: la sete di potere e di guadagno corrompe e rovina l’animo umano. Montero e Madrona ce lo stanno spiegando proprio bene, nel caso non avessimo capito l’analogia! È chiaro che non solo qui risiede tutto l’appeal della serie, per quanto furba sia comunque nel dividere bene la bontà dalla cattiveria dei personaggi protagonisti e di tutti i comprimari.

Élite
“Élite” (Credits: Netflix)

Ho iniziato a guardare questa serie così tanto tempo fa che, sarò sincera, non mi ricordavo neanche la metà degli attori che componevano il cast delle prime tre stagioni. Come ogni serie teen che si rispetti, anche Élite, per tenere viva l’attenzione e alto il fatturato, si basa su un ricambio e riciclo continuo di attori. Skins potrà aver – passatemi il termine – settato il mood di attori che si sostituiscono nel corso di varie generazioni di storie; qui non si verifica la stessa cosa anche se, implicitamente, il meccanismo è lo stesso, visto che le new entries sono sempre all’inizio del liceo e gli attori delle stagioni precedenti, di conseguenza, li ritroviamo cresciuti. Con cresciuti intendo “hanno fatto carriera altrove e giustamente hanno abbandonato la macchina da soldi in cui hanno mosso i primi passi nel mondo della recitazione”. Manu Ríos da Élite è passato a interpretare un ruolo – seppur minore – nell’ultimo cortometraggio diretto da Pedro Almodóvar; Georgina Amorós, che nella serie interpretava Cayetana, l’abbiamo vista recitare in uno degli ultimi film di Woody Allen, Rifkin’s Festival. Danna Paola è una popstar che a ogni suo concerto e uscita musicale fa numeri stellari, sia in Messico, suo paese d’origine, che nel resto dell’America Latina. C’è poi chi è stato lanciato da Élite ma poi è rimasto, sostanzialmente, confinato in altre produzioni Netflix (sì, parlo di Aron Piper, della sua breve parentesi nel rap e del grande ritorno alle serie teen). In ogni caso ho cercato a fondo un precedente o un paragone con l’Italia, ma sono arrivata alla conclusione che una volta attore di Mare Fuori, per sempre attore di Mare Fuori.

Élite
“Élite” (Credits: Netflix)

La squadra di marketing e promozione di Élite è straordinariamente attenta a tutte le sommosse social che la serie provoca o meno – e giustamente, direi, dopo che nello svolgersi della storia uno stupratore è stato quasi redento perchè poverino, lui alla fine era inconsapevole di quello che stava facendo. Fun fact: l’attore che interpreta il principe Philippe, il criminale in questione, è Pol Granch, che nel lontano 2013 riportava con entusiasmo sul suo account Twitter cori franchisti. Mi ha fatto molto ridere la coincidenza. Nell’era in cui lo spettatore ideale della serie è abituato ai ritmi e alla velocità di TikTok, gli ideatori della serie si sono inventati un escamotage per tenere sempre alta l’attenzione e le aspettative nei confronti di quest’ultima. Pur contando su una produzione (pre e post) velocissima, dato che le stagioni escono a un anno o a sei mesi di distanza l’una dalle altre, comunque è stato proposto il format delle short stories: brevi episodi, dalla durata di una decina di minuti, che raccontano le vite dei personaggi “nell’attesa” che esca la stagione successiva. Sicuramente è una brillante mossa di marketing, ma mi viene da chiedermi a quali livelli sia arrivata la soglia dell’attenzione dell’adolescente medio verso cui questo prodotto audiovisivo si rivolge. Ho paura, non voglio rispondere.

Élite
“Élite” (Credits: Netflix)

Veniamo alla parte che più mi ha emozionato di questo lungo viaggio dal nome Élite: le guest star. Già mi ero emozionata fortissimo quando, nella quinta stagione ho visto Carloto Cotta, attore-feticcio di Miguel Gomes, attualmente il regista numero uno per il cinema arthouse portoghese, interpretare una parodia di Cristiano Ronaldo. Oro per i miei occhi: Cotta, nei panni di Cruz Carvalho, calciatore brasiliano, si trasferisce insieme al figlio Ivan (André Lamoglia) in Spagna per esigenze lavorative. Io ci voglio credere, voglio credere nel profondo che gli ideatori della serie non abbiano scelto casualmente Carloto Cotta per interpretare un calciatore (numero uno al mondo, omosessuale non dichiarato, brasiliano invece che portoghese ma vabbè, avete capito l’antifona), considerando che uno dei ruoli in cui più spicca è proprio quello che ricopre in Diamantino (2018), assurdo film sulle stranezze del mondo del calcio. Élite che prende una deriva citazionista e per di più dal cinema indipendente europeo?! E le citazioni non finiscono qui, dato che nella settima e ultima stagione vediamo comparire Maribel Verdú nei panni di una donna spagnola molto più grande della media del resto dei personaggi! Magari questo nome potrà non significare niente ai più, ma nel lontano 2001 Verdú aveva preso parte a uno dei migliori film che l’umanità intera abbia mai realizzato, Y tu mamá también di Alfonso Cuarón. Qui, appunto, ricopriva il ruolo di Luisa, terzo membro del gruppo che insieme a Gael García Bernal e Diego Luna prende parte al fantomatico viaggio per il Messico. Vi assicuro che la settima stagione di questo teen drama è intriso di citazioni al film di Cuarón – haters diranno che gli sceneggiatori hanno copiato, ma io voglio loro abbastanza bene per fidarmi del fatto che siano tutte citazioni colte.

Élite
“Élite” (Credits: Netflix)

In molti hanno definito Élite una “serie guilty pleasure”: non è un capolavoro dell’audiovisivo ma riesce perfettamente nel suo intento di intrattenere senza troppe pretese (non soffermiamoci sulle trame, sulla scrittura degli episodi, sulla recitazione sulla fotografia, non soffermiamoci e basta). Forse basta questo, non c’è bisogno di andare a cercare grandi dietrologie per una serie che, alla fine, vuole solo divertire.

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