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di virginia

Le charme discret de la bourgeoisie (Il fascino discreto della borghesia) è un film di Luis Buñuel del 1972. La pellicola, che è valsa al regista spagnolo un Academy Award per il miglior film straniero, si incentra sulle vicende di un gruppo di persone, costantemente impegnate a organizzare una cena nonostante tutti gli imprevisti che gli si presentano davanti. La storia si svolge su diversi piani narrativi, contaminati dal sogno e dalla realtà – caratteristica che non sorprende se si tiene a mente il fatto che Buñuel mosse i primi passi nel mondo del cinema partendo dal movimento surrealista. Sequenze oniriche si alternano a vicende realmente vissute dai personaggi, cosa che confonde lo spettatore e, in una certa misura, se non vanifica del tutto, comunque ridimensiona alcuni dei rituali e delle convenzioni borghesi che i personaggi ritengono fondamentali, addirittura necessari per la loro stessa sopravvivenza.

“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Già il titolo del film è piuttosto esplicativo della materia trattata: con un piglio ironico, tipico di gran parte delle produzioni del regista, si pone l’attenzione su due componenti fondamentali che caratterizzano tutti i personaggi che si muovono all’interno della storia, cioè la discrezione e la borghesia. Non c’è niente di affascinante in quello che lo spettatore andrà a osservare: solo assumendo una posizione privilegiata, restando fuori dai meccanismi della borghesia grazie a una maturata coscienza di classe si può parlare di fascino, ma con connotazioni più vicine alla pietà e alla compassione nei confronti dei personaggi protagonisti. Ogni membro del gruppo appartiene alla fascia medio-alta della borghesia, classe sociale dal carattere ambiguo e ambivalente, che anela ad arricchirsi sempre di più, ma guarda con disprezzo alle proprie umili origini, che non può cancellare né dimenticare. La borghesia, così come viene rappresentata dai vari personaggi che compongono la storia, è una classe silenziosa, discreta, appunto; non fa rumore e non si sconvolge di fronte a niente – a meno che non salti la cena o il pranzo, rituale che assume caratteristiche al limite del sacro e, di conseguenza, inviolabile. Quando fuori si consuma una vera e propria battaglia e sulla scena fa irruzione un intero esercito, comunque la cena prosegue: non si può né si deve interrompere qualcosa di così importante, anche quando fuori sta scoppiando una guerra.

“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Buñuel, attraverso il rituale della cena, reiterato nel corso di tutta la durata del film, mette in ridicolo alcune convinzioni e stereotipi che la borghesia ha creato, finendo per ingabbiare nelle sue stesse assurde sovrastrutture mentali, prima di tutto, sé stessa. La sequenza che meglio esemplifica la posizione del regista avviene in un momento centrale della pellicola, sia per quanto riguarda la storia narrata, sia dal punto di vista dello screen time: si pone a metà del film, quando sono ormai trascorsi una quarantina di minuti – precisamente ci troviamo al minuto 43:26. In poco più di quattro minuti Buñuel riesce a condensare il nocciolo della critica che porta avanti nei confronti della borghesia, inscenando un confronto tra due personaggi agli antipodi.

Protagonisti di questa sequenza sono Rafaël Acosta (interpretato da Fernando Rey), ambasciatore di Miranda, Paese immaginario del Sudamerica, e una giovane rivoluzionaria maoista (Maria Gabriella Maione), che costituisce una presenza sporadica rispetto all’ambasciatore – è, di fatto, uno dei protagonisti – ma non per questo meno significativa. L’ambasciatore ha appena salutato la moglie di un suo amico, con cui intrattiene una relazione adulterina, e dalla finestra osserva i due andarsene in macchina. Già l’inizio di questa sequenza pone lo spettatore in un contesto ben preciso e «classico» nel mondo borghese: non c’è niente di più convenzionale di un’istituzione come quella del matrimonio e non c’è niente di più scontato, all’interno di questa istituzione, di una relazione extraconiugale. Mentre i ricchi coniugi, quindi, se ne stanno andando in macchina, in direzione opposta e a piedi – e già questa è un’evidente spia della classe di appartenenza della ragazza – si sta dirigendo verso la casa dell’ambasciatore la giovane rivoluzionaria. L’ambasciatore, che la vede arrivare in lontananza, sembra aspettarsi qualcosa di brutto e inizia a vagare per casa con una meta ben precisa: recuperare la propria pistola, nascosta all’interno di una zuppiera. Ovviamente la sensazione trasmessa al pubblico da questo gesto è quella di straniamento, ma fino a un certo punto: a questa altezza di tempo si è già capito come Buñuel si serva della cena come mezzo espressivo per ostentare le assurde convinzioni di questa comitiva borghese. La pistola, che ci aspetteremmo di trovare all’interno di una cassaforte, dove vengono custoditi oggetti di particolare valore, si trova all’interno di un utensile da cucina, funzionale a pranzi e cene – è questa, infatti, la dimensione più importante per tutti i personaggi del gruppo rappresentato, come se la loro stessa essenza fosse inevitabilmente legata a quella della cena.

“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Rafael sorprende quindi la ragazza, che non si era recata a casa dell’ambasciatore con le più pacifiche delle intenzioni: dopo una rapida perquisizione (in cui include anche una vera e propria molestia, come a ribadire, con violenza, la sua posizione di superiorità rispetto alla ragazza) la conduce all’interno del proprio appartamento, dove prende il via un confronto tra due modi opposti di vedere il mondo e di intendere la società contemporanea. La camera da presa si sofferma su un dettaglio della ragazza: infatti, attraverso un close up sulle sue scarpe si possono ricavare alcuni indizi sul carattere e sulla provenienza della giovane. Le scarpe da ginnastica indossate dalla rivoluzionaria sono rotte, caratteristica che non stupisce se si tiene a mente che, nel momento in cui compare sulla scena, sta camminando. Entrambi questi aspetti sono, comunque, collegati alla classe sociale meno abbiente a cui la ragazza sembra appartenere, cosa su cui fa molta leva l’ambasciatore – come se far parte di una classe economicamente più ricca potesse dare, effettivamente, maggior potere rispetto ad altri.

"Il fascino discreto della borghesia"
“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Il vestiario (o sarebbe meglio dire i costumi) parla molto chiaro: mentre la ragazza indossa abiti moderni per l’epoca – oltre alle scarpe da ginnastica, una corta gonna di jeans – l’ambasciatore porta una vestaglia ricamata con motivi dorati, che ha un che di antico e di barocco. Anche i vestiti dei personaggi sulla scena, dunque, trasmettono allo spettatore informazioni ben precise sul loro conto: da una parte gli indumenti moderni corrispondono alle idee e ai valori progressisti e contemporanei incarnati dalla ragazza; dall’altra, un abito antico rispecchia perfettamente la visione antiquata della società che adotta l’ambasciatore, fermo e irremovibile nei propri ideali, ormai superati. Una volta seduti in quella che si configura come una sala da pranzo, l’ambasciatore prende parola per esplicitare il suo schieramento politico: «Pensi che io sia una carogna… sarei anche socialista, se solo i socialisti credessero in Dio!». Ancora una volta viene messa in risalto un’altra componente fondamentale del mondo borghese, la religione. L’aspetto religioso – che nel corso del film tornerà sotto varie e numerose sfaccettature – è un’altra delle certezze che la borghesia ha, insieme al matrimonio e all’esercito, altre due istituzioni ben presenti nella storia. La solidarietà di classe, quindi, secondo la visione dell’ambasciatore, è negata da qualcosa che va oltre la volontà di ognuno e che si può ritrovare in una forza di causa maggiore, rappresentata dalla religione, qui usata come mezzo di giustificazione.

L’ambasciatore procede a porre domande personali alla ragazza e il movimento di carrello della macchina da presa diventa un mezzo per rispecchiare la prospettiva di entrambi i personaggi. Il dolly out è, in questo caso, riflesso diretto della presa di distanza che la rivoluzionaria sta operando nei confronti dell’ambasciatore: ha sentito la domanda e si rifiuta di rispondere, limitandosi, in silenzio, a gettare per terra una lampada posta sul tavolo di fianco. In modo speculare e opposto, il dolly in che avvicina lo spettatore ai due personaggi corrisponde al tentativo, da parte dell’ambasciatore, di diminuire la distanza nei confronti dell’inaspettata ospite.

"Il fascino discreto della borghesia"
“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Anche la scenografia indica molto del carattere dei due personaggi: se, in un primo momento, l’ambasciatore si siede sul tavolo e non sulla sedia, manifestando quindi la sua convinzione di essere moralmente superiore rispetto alla ragazza, ponendosi, di fatto, in una posizione di rilievo, procede poi – in questa sua ricerca di un approccio – a sedersi sullo stesso livello della rivoluzionaria. Non è solo attraverso la scenografia che viene esplicitato questo “mettersi alla pari” da parte dell’ambasciatore, ma è il personaggio stesso a dichiararlo quando sottolinea alla ragazza che, in fondo, tra loro due, non c’è così tanta differenza. È chiaro che non esiste distanza più abissale tra i due e, dopo averlo detto, mentre sta perquisendo la borsa che la giovane aveva con sé, l’ambasciatore procede a elencare le mansioni in cui la ragazza dovrebbe rivolgere tutta la sua attenzione: fare la casalinga, fare la spesa, starsene buona e in silenzio – niente di più misogino e conservatore. Questo approccio da parte di Rafael, che avviene per mezzo di un bicchiere di champagne, è prontamente rifiutato dalla ragazza, che, con un gesto meccanico e quasi automatico, rovescia il contenuto per poi gettare via il bicchiere stesso, esattamente come aveva fatto qualche istante prima con la lampada. La ripetizione dei gesti della ragazza non deve essere accostata alla ripetizione dei rituali borghesi: mentre i primi rappresentano un modo per restare coerenti e fedeli ai propri principi, i secondi si rivelano progressivamente una struttura in cui i personaggi amano rifugiarsi, senza però avere alcun pensiero critico o motivo per portare avanti quella che, in un’altra delle scene centrali del film, apparirà come una vera e propria pantomima.

"Il fascino discreto della borghesia"
“Il fascino discreto della borghesia” di Luis Buñuel

Quando, finalmente, la ragazza prende parola, il suo discorso è quasi del tutto coperto da una sirena assordante fuoricampo. Il senso generale del discorso si riesce a captare, nonostante la confusione, ma la dichiarazione d’intenti della giovane è prontamente liquidata dall’ambasciatore, che la accusa di aver completamente frainteso il messaggio maoista perché, in primis, è stato Mao Tse-Tung a fraintendere gli insegnamenti e il lascito di Sigmund Freud. Sono nomi altisonanti, quelli che l’ambasciatore pronuncia, e il discorso che sta facendo si interrompe in modo brusco – probabilmente più di questo non saprebbe che dire o dove andare a parare. La ragazza approfitta di un momento di distrazione dell’ambasciatore per recuperare una delle due pistole – oltre a quella di Rafael, anche lei ne nascondeva una in borsa, proprio per ucciderlo – e spara alle spalle di Rafael; purtroppo, però, la pistola non è carica e l’ambasciatore ne esce illeso. Rafael, quasi indisturbato, decide di risparmiare la ragazza, non uccidendola e mandandola via, aggiungendo che deve fare in fretta ad andarsene perché per quella stessa sera era stata organizzata una cena.

A sottolineare la brevità di questa parentesi, che comunque ha messo a repentaglio la vita dell’ambasciatore – anche se di questo non sembra preoccuparsi particolarmente, dopo che la rivoluzionaria è fuggita via dall’appartamento, Rafael guarda fuori dalla finestra, esattamente come aveva fatto a inizio sequenza per seguire con lo sguardo i due coniugi andarsene. Questo gesto, che conferisce una chiusura ad anello alla sequenza (in filologia si parlerebbe di Ringkomposition, letteralmente «struttura ad anello»), mette in luce tutta l’indifferenza di Rafael verso quanto successo: un piccolo intoppo che, fortunatamente, non ha impedito di prepararsi per la cena della sera. La vita prosegue esattamente come prima, come se non fosse successo niente e ritroviamo il personaggio nella stessa posizione in cui i coniugi – invitati ovviamente alla cena – lo avevano lasciato.

«La villeggiatura si deve fare», sosteneva Vittoria, uno dei personaggi protagonisti de Le smanie per la villeggiatura, commedia in tre atti di Carlo Goldoni. Tra la commedia dell’autore veneziano e il film di Buñuel sono trascorsi alcuni secoli, ma se allora, come oggi, già Goldoni aveva individuato i meccanismi di funzionamento della nascente borghesia, il regista spagnolo non fa altro che confermare tutto quello che era stato previsto: fissità delle norme sociali, rituali reiterati fino allo sfinimento e una scala di valori completamente astrusa, che non tiene conto di niente all’infuori delle norme di etichetta che la borghesia si è autoimposta. Nemmeno la minaccia di morire, che l’ambasciatore dovrebbe aver sentito vicina, può scalfire questo rito: la cena si deve fare, pena l’estinzione della borghesia stessa.

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