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Di che cosa parliamo, quando parliamo di “Barbie” di Greta Gerwig? Abbiamo provato a mettere insieme, in questa sorta di tavola rotonda, pensieri, parole, opere, omissioni e tutto quello che ci è passato per la testa durante (e dopo) la visione del film. Prendete sul serio queste nostre parole, ma con moderazione.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

virginia

Possibile che Barbie sia stato scritto e diretto dalle stesse persone che hanno realizzato film come Frances Ha, Marriage Story e Lady Bird? Sì, a quanto pare è possibile. A quanto pare, però, è anche possibile che Greta Gerwig e Noah Baumbach avessero bisogno di finire di pagare il mutuo della loro casa – come mi ha fatto notare un mio amico – altrimenti non si spiega il perchè di questo prodotto (molto difficile definirlo film e non spot pubblicitario) zuccheroso e dai toni femministi all’acqua di rose. Si sa, una martellante campagna pubblicitaria, il più delle volte, finisce per danneggiare ciò che si sponsorizza invece di farlo apprezzare ancora di più (credetemi sulla parola: ho visto gente odiare Aftersun dopo la campagna incessante che Mubi ha fatto circolare sul film). È anche vero, però, che al di là dell’hype provocato dal marketing aggressivo, comunque le aspettative erano alte ma – almeno le mie – sono state deluse. Ormai ci siamo abituati a storie che abbiano a che fare un multiversi, universi paralleli e dimensioni altre e chi più ne ha più ne metta ma, quello che davvero non sono riuscita a digerire, è stata l’incredibile accozzaglia di temi, storie, spunti di critica sociale che fanno sì che questo film parli di tutto e di niente al tempo stesso.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

La critica che Sasha (Ariana Greenblat) muove a Barbie (Margot Robbie), e cioè di essere tutto ciò che di tossico e marcio esiste in questa società, soprattutto per aver imposto e alimentato da sessant’anni a questa parte standard di bellezza irraggiungibili, sarebbe stata una delle tante possibili strade da percorrere nella narrazione. Eppure, invece di smontare passo passo tutte le critiche che vengono mosse alla bambola, la scena si esaurisce con Barbie che piange in un angolo. Se la Gerwig (o a questo punto forse conviene dire la Mattel) fosse stata un po’ più furba (invece di limitarsi a prendersi in giro da sola, ha ha ha ma quanto sono bravi a fare autoironia!) avrebbe smentito nel corso della storia tutti i luoghi comuni che gravano sulla bambola più famosa del mondo, invece di ripetere per un totale di circa centocinquanta volte che «le Barbie possono essere qualsiasi cosa vogliano essere». Il film decide di portare avanti questa linea di slogan degni dei peggiori reel di Facebook (badate bene, non ho detto TikTok o reel di Instagram: parlo proprio dei reel di pagine pseudo-femministe che si trovano su Facebook) e questa scelta narrativa culmina nel discorso che Gloria (America Ferrera) rivolge a Barbie. Mi pare evidente che qui Baumbach abbia deciso di recuperare la bozza scartata da quello che poi è diventato l’iconico discorso che il personaggio interpretato da Laura Dern rivolge alla protagonista di Marriage Story, in chiave estremamente semplicistica e dai toni che sconfinano davvero nello spot televisivo.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

In conclusione, potrei fare un discorso di quelli che tanto piacciono a Tom Cruise su come il Vero Cinema sia quello in grado di accontentare e divertire il pubblico, il Vero Cinema è quello che porta tanti spettatori e in tempi di crisi come questi, riempie le sale, il Vero Cinema, infine è quello che riuscirà a salvare l’Arte e gli esercenti, ma la realtà è che forse tra dieci anni mi ricorderò dell’isteria collettiva che ha circondato l’uscita di Barbie e di come, anche in un multisala di provincia, le proiezioni pullulassero di spettatori vestiti di rosa. Sicuramente abbiamo tutti assistito a un grande evento mediatico, ma non a un grande film.

giulia

É Barbie un film perfetto? certo che no. Guardandolo ho percepito l’eccessivo accumularsi di tematiche che forse potevano essere gestite diversamente? ovvio. Nonostante questo, nonostante io abbia avuto in passato delle difficoltà a rapportarmi con i lavori di Greta Gerwig — tutt’ora mi è ignoto come la collettività ritenga Lady Bird un capolavoro — credo che questa volta il suo film funzioni. Non vivendo in Italia, la mia visione di Barbie è avvenuta subito dopo quella di Oppenhaimer di Christopher Nolan. Strana giornata, devo dire, mi sono trovata a non apprezzare troppo il film di Nolan, perchè tutte le cose che ahimè non funzionano nella pellicola hanno reso la visione meno piacevole, a tratti faticosa e (perdonatemi) addirittura noiosa. Per quanto riguarda Barbie invece, i diffetti che sono indubbiamente presenti non hanno alterato minimamente la mia percezione, forse hanno addirittura migliorato la mia esperienza. Fila chilometrica sotto la pioggia di Parigi fuori dalla sala, decine di persone di ogni età genuinamente eccitate prima della proiezione. Provo sempre una strana sensazione dolcemara quando è un blockbuster a portare la gente al cinema, so che non saranno queste produzioni a salvare l’industria, non posso però negare come sia stato piacevole stare in piedi in quella fila. 

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

In Barbieland, sono le donne a governare (Issa Rae è la Barbie presidente, Alexandra Shipp è la Barbie scrittrice, Emmy Mackey è la Barbie fisica, ecc). Esiste un Ken per ognuna di loro, ma il ruolo di questi è sempre solo quello di stare un passo dietro le prorpie Barbie. Mentre tutte le Barbie sono talentuose, soddisfatte, sempre felici e libere, Ken (a mio avviso un perfetto Ryan Gosling) si sente realizzato solo quando Barbie (Margot Robbie) lo guarda, e questo è abbastanza per lui. Tuttavia, si inizierà purtroppo molto presto a capire che c’è qualcosa che non sta più funzionando come dovrebbe. La nostra Barbie stereotipata inizia a “malfunzionare”: piedi piatti a terra, celulite sulle cosce, ansia e pensieri sulla morte. Viene così fuori che l’unica soluzione per far tornare tutto “a come è sempre stato” è che Barbie vada nel mondo reale a trovare il vero motivo per cui lei si sente sempre meno perfetta. Senza entrare troppo nei dettagli della trama, penso che coloro che stanno portando avanti aspre critiche su questo film si siano concentrati un po’ troppo sulle cose sbagliate, perdendo quello che, a mio avviso, è il vero senso di tutto. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

“Quando le cose si fanno dure Barbie invece di risolverle e affrontarle semplicemente inizia a piangere”, beh si, e quindi? Chi è che ci ha fatto credere che piangere sia un debolezza e non una forma produttiva di incanalamento delle emozioni, così da poter prendere coscienza di noi stesse? Chi ha mai detto che ogni film con una sottotrama femminista debba per forza diventare puro attivisimo? Chi ha mai detto che ogni film che parla di donne debba sempre avere un fine morale e formativo, quando la regista mai una volta ha amesso che così doveva essere? Chi ha mai detto che questo dovesse essere un film per educare gli uomini invece che le donne, “per l’ennesima volta”? Chi ha mai detto che ogni battuta scritta da una donna debba essere estremamente acuta e non possa talvolta, semplicemente, esser solo divertente? Chi ha mai detto che sia sbagliato da parte di una regista il dare vita a un prodotto pronto a sbancare il botteghino? Chi ha mai detto che una persona che apprezza un film come Barbie non possa apprezzare anche il Padrino? affermazione che a quanto pare, se ribaltata, non sembra essere applicabile. La rabbia che ho percepito in alcune delle critiche fatte a questo film mi fa solo capire come Gerwig sia riuscita a toccare gli animi nei punti giusti.

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Quindi no, Barbie non è un film perfetto, ma è un film che funziona, è un film dedicato a chiunque sia pronto a goderselo e apprezzarlo. Mi ritrovo spesso ad essere fin troppo critica quando vado al cinema, forse spinta dal desiderio di rendere ciò la mia prima occupazione, ma chi ha mai detto che bisogna sempre applicare le stesse misure a ogni aspetto della nostra esistenza? Questa Barbie, per una volta, vuole semplicemente godersi un film e sentirsi “kinda good about herself”. 

marco

Ho visto Barbie senza troppe pretese, influenzato dallo starpower del cast (Margot Robbie…) e dalle martellanti discussioni sui social in cui mi sto imbattendo da mesi più che da un mio apprezzamento per Greta Gerwig come regista. Al netto dell’importanza storica che verrà riservata al film come fenomeno di massa, dall’estetica barbiecore (in sala e non) ai meme (già molto presente il «My job is just beach» di Ken/Gosling), occorre tenere presenta la massiccia ed aggressiva campagna mediatica di cui Barbie ha beneficiato non solo da parte di Warner Bros. e Mattel. Sono numerosi, infatti, i brand che hanno cavalcato l’onda dedicando collezioni o uscite al film nelle ultime settimane: tra i più noti e curiosi annoveriamo AirBnB, Burger King, Bumble(!), Crocs e Primark.

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Cosa aspettarsi, dunque, da un film i cui intenti commerciali sono così palesi ma che presenta nomi cari al cinema indie americano (oltre a Greta Gerwig si annovera il Noah Baumbach, suo compagno, alla sceneggiatura) ed ha usufruito di un’ottima risposta di critica e pubblico? Personalmente, ho trovato Barbie molto confusionario, per niente scomodo e sostanzialmente piatto a livello emotivo e narrativo; inoltre, ho ritenuto un po’ squallido l’appropriazione ed interiorizzazione di topic e strumenti del contemporaneo per fini esclusivamente commerciali. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros).

Sebbene non sia esperto di gender studies, capisco ed apprezzo la volontà di mandare un messaggio femminista in un blockbuster: diverse opere prima di Barbie sono riuscite nell’intento, sia dirette da donne (Cléo de 5 à 7 di Agnes Varda e Jeanne Dielman di Chantal Akerman) che da uomini (The Handmaiden di Park Chan-Wook e 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu). Tuttavia, nel film diretto da Greta Gerwig non ho trovato alcuna profondità e mi è sembrato che i personaggi parlino per slogan e spiegoni, specialmente nella seconda parte. Questo, a parer mio, è dovuto in gran parte ad una sceneggiatura molto approssimativa e superficiale: non mi è chiaro, ad esempio, il cambio di carattere di Sasha, la ragazza proprietaria di Stereotypical Barbie, che dopo un’aspra critica alla bambola per aver creato standard di bellezza irrealistici per bambine e ragazze supporta senza battere ciglio la madre e Barbie/Robbie nella loro missione. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Un messaggio così banale e didascalico potrebbe anche essere accettabile in un film per bambini o adolescenti; il problema, tuttavia, è che questi non risultano target del film, vuoi per i canali attraverso cui si è focalizzata la massiccia pubblicità nell’ultimo anno, vuoi per le citazioni cinefile (un po’ fuori luogo ed opportunista quella di 2001, per non dire peggio) e al consumismo. D’altro canto, non bastano delle frasi fatte sull’empowerment per convincere millennials e gen z già formati sulle tematiche femministe: rimarrebbero fuori gen x e boomer, ma dubito fortemente che l’operazione sia stata concepita per loro. In questo, Barbie non riesce ad unire diverse generazioni come già accaduto per le maggiori hit della Pixar (Monsters & Co., Inside Out e Wall-E, per dirne alcuni) o lo stesso The Lego Movie della Warner Bros.; inoltre, ho trovato che il criticatissimo Space Jam 2 sia molto più onesto a livello ideologico nel volere fare propaganda sull’universo WB senza provare a nasconderlo. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Sebbene ci siano dei buoni spunti qua e là e abbia sorriso qualche volta (specialmente per la performance di Gosling e per gli ammiccamenti più metacinematografici), la totale mancanza di coraggio (vedasi il trattamento riservato ad Allan o il finale che azzarda poco) e la piattezza con cui sono presentati i personaggi riducono questo film a pura operazione di marketing ordita da un colosso industriale come la Mattel, con l’aggravante di appropriarsi di tematiche serie in modo superficiale per motivi squisitamente commerciali. È palese che Hollywood stia andando in questa direzione da tempo immemore, però dispiace che in questo meccanismo venga risucchiata anche gente con del talento e che in passato ha avuto qualcosa di interessante da dire. 

ludo

Nella gigantesca faida nata dall’uscita di Barbie, che vede due fazioni totalmente agli antipodi analizzare ogni frammento del film pur di trovare argomenti a proprio favore, io spalleggio per la parte che definisce la pellicola di Gerwig necessaria e a tratti geniale. Questo mio parere non deriva da un attento studio cinematografico su fotografia o sceneggiatura, ma più che altro dal caos mediatico che questo film ha creato semplicemente dall’uscita del trailer. Grandi critici e maschi amanti del cinema d’autore hanno immediatamente storto il naso nel momento in cui si sono accorti che una donna aveva avuto la faccia tosta di citare il maestro Kubrick in un film così frivolo come Barbie. Continuando con la visione del film possiamo poi notare quanto Gerwig giochi moltissimo con altri colossi del cinema hollywoodiano e mondiale (esempio: citazione al Padrino, una delle mie scene preferite) in modo puramente ironico, con il palese intento di descrivere in maniera stereotipata il genere maschile. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Il modo in cui è stato accolto prima il teaser e poi il film ci racconta molto più del pubblico che della regista stessa. Il semplice fatto che Barbie sia diretto da una donna ed abbia al centro della sua trama una story line completamente al femminile, in cui i personaggi maschili sono semplici macchiette, ha fatto sì che molti (maschile sovraesteso non a caso) avessero un loro parere sul film ancor prima di vederlo. Alle registe donne vengono richiesti standard molto più alti rispetto che ai colleghi uomini e a loro non basta un bel film per essere acclamate ma tutto, assolutamente tutto il contorno, deve essere impeccabile. Non credete a quanto ho detto? Pensate ad Oppenheimer, ultimo film dell’amato Nolan, uscito quasi in contemporanea con Barbie: se la citazione a Kubrick fosse stata fatta nel suo trailer, e non in quello di Gerwig, i feedback sarebbero stati totalmente opposti e Nolan sarebbe stato definito un genio (per lo stesso motivo per cui Greta Gerwig è stata tacciata di frivolezza e poco rispetto). 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Alla base di tutto ciò vi è lo stesso sistema che la regista cerca di smantellare nel corso del suo film: il patriarcato. Il discorso con cui Gloria riesce a far tornare le Barbie autodeterminate e padrone della loro vita racchiude in sé tutti i motivi per cui questo lavoro non potrà mai essere seriamente apprezzato non solo dal pubblico maschile, ma da chiunque non abbia mai avuto la voglia o la possibilità di affrancarsi da una visione del mondo sessista e misogina. Alle donne è, infatti, richiesto di essere belle, ma non troppo; intelligenti, ma non troppo; possono scrivere film con intento femminista, ma non possono prendersi troppo gioco dei maschi perché potrebbero essere descritte come misandriche; possono essere frivole, ma non troppo perché a quel punto anche la definizione di film femminista viene meno. In qualunque modo tu sia non andrà mai bene perché l’asticella è posta così in alto che anche solo sfiorarla con la mano diventa impossibile. E Gerwig, come noi, si trova in questo limbo: Barbie non è abbastanza femminista, ma, contemporaneamente, lo è troppo. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Soffermandosi su problematiche dettate dal doppio standard (basato su differenze di trattamento del singolo a seconda del genere di appartenenza), a mio avviso molte delle critiche che sono state portate alla pellicola di Gerwig non tengono di conto della sua immensa portata mediatica. Per la prima volta un prodotto pop e mainstream ha trattato in modo diretto e senza filtri tematiche riguardanti il transfemminismo, rendendole accessibili e comprensibili a chiunque, a prescindere dal livello di istruzione e decostruzione. Il patriarcato viene descritto nelle sue modalità più subdole e in seguito deriso per la sua incapacità di governo; i Ken sono fantocci che alla fine della visione del film ci portano a pensare come sia possibile che il nostro mondo sia da sempre nelle mani di uomini così simili a loro. 

"Barbie" di Greta Gerwig
“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Da attivista transfemminista sono felice che un film come Barbie esista in quanto motore di attivazione per innescare pensieri più profondi e per dar avvio ad una coscienza femminista nelle menti di persone che forse fino al giorno prima non si erano mai rese conto di star vivendo delle discriminazioni. Non è certamente un prodotto perfetto, come non potrà mai esserlo nessun film nella sua totalità, ma mi sembra doveroso lodare ciò che di importante Gerwig è riuscita a creare, senza dover per forza giudicare il suo operato con una lente sessista e patriarcale solo perché è una regista donna. 

francesca

Cosa succede se la bambola più famosa al mondo si sveglia un giorno e si ritrova nel pieno di una crisi esistenziale? Questa la premessa alla base del nuovo film firmato Greta Gerwig in cui assistiamo al viaggio che Barbie Stereotipo (Margot Robbie) compirà accompagnata dal suo Ken (Ryan Gosling) nel Mondo Reale. In quest’ultimo le cose non sono affatto come gli abitanti di Barbieland se l’erano immaginate: il femminismo non è ancora questione risolta e, se Ken è piacevolmente sorpreso dalla scoperta del patriarcato, Barbie deve intanto fare i conti con molestie sessuali e disparità di genere. Ecco che nell’arco di due ore il film alterna i toni più disparati, presentandosi ora come satira, ora come celebrazione (e critica) della bambola più famosa al mondo e dell’ideologia costruita attorno ad essa, ora come profonda meditazione sulla condizione umana.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Barbie è un film pop, che si avvale delle modalità di narrazione di questo genere per metterle al contempo in discussione, a riprova del fatto che c’è tanto altro dietro gli strass e la vernice rosa. E se la sequenza forse più riuscita vede protagonista America Ferrera in un monologo in cui viene messa in evidenza l’inadeguatezza a cui le donne vengono relegate dalla società contemporanea per il loro essere “imperfette” (o più semplicemente, umane), viene da chiedersi: qual è lo scopo che la Gerwig e Baumbach hanno voluto perseguire con la loro sceneggiatura? Abituati ai precedenti lavori della regista americana, forse ci si sarebbe aspettati un Barbie ancor più irriverente e controverso. Che non si abbia avuto il coraggio di osare ancor di più per paura di mamma Mattel? Ai posteri l’ardua sentenza. In ogni caso, l’estro provocatorio di Barbie è la sua carta vincente: stuzzica lo spettatore e lo fa divertire, ottenendo numeri da record al cinema, il vero vincitore a questo giro di giostra.

alberto

Il film di Barbie fonda la sua trama su due basi narrative di per sé non molto originali, ma se unite, in particolare modo in un blockbuster così grande, può dare risultati molto interessanti. Infatti la trama si sviluppa principalmente sul modello di commedia portal fantasy (da Alice dentro lo specchio o da cartone animato della domenica mattina), ma, a rendere il tutto più adulto e distante dai vecchi film cartone animato con Barbie, è la onnipresente satira autoironica che contraddistingue gran parte del film. Nel lungometraggio la cura scenografica come quella del luogo immaginario “Barbieland” è impressionante: ricorda la struttura aperta delle abitazioni di Jaques Tati, ma forse ancora di più della casa del film di Jerry Lewis, L’idolo delle donne. Questo deriva sia dalla macchinositá dei movimenti delle numerose abitanti-bambole, sia che dalla struttura bizzarra e contro intuitiva delle case.
I rapporti, i saluti e le conversazioni tra le stesse Barbie nella prima metà del film sembrano derivare da una versione Disney di The Rocky Horror Picture Show, mentre nel terzo atto il ballo tra i Ken pare un forte tributo a musical simil anni ‘50 come il citato Grease con Travolta, ma anche i piú grotteschi Hairspray e Crybaby di John Waters.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Inoltre un altro pregio del film è il finale assurdo e onirico che conclude e definisce il percorso di crescita della protagonista “Barbie stereotipo” (interpretata da Margot Robbie): infatti la bambola dopo aver interagito con gli umani in molti modi, rinuncia alla sua immortalitá in quanto giocattolo iconico e si allontana dalla piattezza emotiva di “Barbieland” per affrontare il piú sfaccettato e tremendo mondo reale. Purtroppo l’arroganza pacchiana e kitsch e l’autoironia piuttosto trasparente di Barbie è depotenziata da scelte narrative inerenti alla caratterizzazione dei personaggi. Infatti i comprimari o vengono sbrigativamente messi in secondo piano (come Allan, interpretato da Micheal Cera) o cambiano troppo velocemente opinione in modo positivo su Barbie e su ció che rappresenta, senza poi avere piú dubbi: ad esempio il personaggio della giovane teenager Sasha (Ariana Greenblatt) o dell’emarginata, ma fondamentale, “Barbie stramba” (Kate McKinnon) o ancora dell’antagonista amm. delegato della Mattel (Will Ferrell). Tutto ció rende il ritmo del lungometraggio piuttosto confuso e sgradevole. Barbie muove critiche superficiali alla Mattel e al suo prodotto, senza correre rischi o soffermarsi su alcuni aspetti interessanti e controversi come puó essere la sessualità nell’emarginata figura di “Barbie incinta”.

“Barbie” di Greta Gerwig (Credits: Warner Bros.)

Forse perché il target del film è dedicato a un pubblico piuttosto giovane, o perlomeno molto inclusivo, le dinamiche che avvengono sia nel mondo reale che nel mondo di fantasia sono intervallate da diverse spiegazioni molto esplicite, lunghe e talvolta confuse dal taglio didascalico che spezzano il ritmo; sarebbero potute essere tranquillamente sostituite da soluzioni narrative diverse o da immagini più evocative, come nel già citato finale. In conclusione nonostante questi problemi, la forza scenografica e di messa in scena non può essere ignorata in un film già cult come questo.

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