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di alberto

Train I ride, sixteen coaches long

Train I ride, sixteen coaches long

Well, that long black train got my baby and gone

“Mystery Train” di Elvis Presley

In questa opera episodica del 1989, emblema del cinema indipendente americano, il regista e sceneggiatore Jim Jarmusch riesce a creare, attraverso il proprio sguardo autoriale, un trittico di storie grottesche che paga un tributo profondo a determinate icone USA. L’atmosfera decadente e assurda del film è contraddistinta da una sceneggiatura sopra le righe, onirica e spesso tragicomica, rendendo l’insieme unico e inimitabile.

Masatoshi Nagase e Youki Kudoh in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

aimless road movie

I protagonisti della trilogia di racconti sono quasi tutti stranieri: una coppia di giovani giapponesi rockabilly, Jun (Masatoshi Nagase) e Mitsuko (Youki Kudoh), arrivati in America per visitare i luoghi culto del rock’n’roll anni ‘50, una vedova italiana, Luisa, (Nicoletta Braschi) che incontra lo spirito di Elvis Presley e, infine, un immigrato inglese con i suoi due compagni: Johnny a.k.a Elvis (Joe Strummer), Ed (Vondie Curtis-Hall) e Charlie (Steve Buscemi), costretti a scappare dalla legge. I loro destini convergono durante una notte, in seguito a molteplici situazioni surreali – apparentemente – indipendenti le une dalle altre. I riflettori vengono puntati su due luoghi in particolare: l’hotel fatiscente e trasandato, gestito da uno scorbutico e divertentissimo screamin’ Jay Hawkins, e il treno che conduce dentro e fuori la città americana.

Masatoshi Nagase in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

L’occhio distaccato dei personaggi, che altro non sono che turisti di passaggio, aiuta lo spettatore a immedesimarsi in modo più critico all’interno della narrazione. Durante il corso della trama, l’autore pone davanti allo spettatore una serie di racconti che non descrivono agiograficamente un’idea di cultura americana; infatti, fin da subito, vengono messe in scena vignette grottesche routinarie nelle quali gli interpreti cercano di mimetizzarsi, all’interno di una disagiata società statunitense. I comprimari provano ad apprezzare ciò che Memphis ha da offrire, nonostante la presenza dei personaggi secondari, che presentano spesso caratteristiche accidiose e menefreghiste nel migliore dei casi, mentre nel peggiore viscide e violente.

Mystery Train di Jim Jarmusch
Masatoshi Nagase e Youki Kudoh in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

Per riassumere meglio la condizione dei protagonisti, l’ultima delle tre storie, intitolata Lost in space, è emblematica: i tre sfortunati compagni, dopo una lite conclusasi in un omicidio, sono intrappolati in un cammino senza meta, in un vagabondare annebbiato dai fumi dell’alcool, trascinandosi da una parte all’altra per sopravvivere. I loro ruoli si presentano come quelli dei personaggi della vecchia e monotona serie tv sci-fi americana che dà il nome all’episodio, venendo essa stessa citata con toni umoristici e accesi da Ed, che ne sottolinea la stupidità dei personaggi.

Mystery Train di Jim Jarmusch
Steve Buscemi, Joe Strummer e Rick Aviles in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

memphis come “fil rouge”

Una fondamentale presenza nel racconto si manifesta nell’ubicazione dell’intero film: Memphis, Tennessee. Città nel profondo sud statunitense, rinominata the city of dreams, ha creato negli anni ‘50 del ventesimo secolo la prima vera esplosione di rock and roll nordamericana ed è stata un leggendario fulcro nevralgico di cultura musicale e controtendenza, tanto da essere definita la “capitale del cool”. La realtà agli occhi del regista (e, di conseguenza, anche ai personaggi del film) appare ben diversa dai fasti di un tempo: il centro abitato si è definitivamente mutato in una american ghost town, cioè in una città fantasma decadente e lontana dall’immagine di grattacieli e progresso occidentale, propria invece delle mastodontiche metropoli degli anni ‘80 del secolo scorso.

Mystery Train di Jim Jarmusch
Nicoletta Braschi ed Elizabeth Bracco in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

I luoghi culto, che la coppia di innamorati giapponesi nel primo episodio è impaziente di vistare, sono tragicamente spogli o comunque privi di quella energia cinetica che sarebbe esplosa durante le visite di Elvis Presley (o Carl Perkins). Rimane così un guscio vuoto, povero, che peró Jarmusch riaccende nei colori delle luci notturne dando vita a improbabili sketch vivaci e follemente realistici. Per il regista, l’apparente grigia quotidianità assume un valore poetico tale da risaltare maggiormente le situazioni inverosimili che si interfacciano tra i personaggi. Viene posta forte attenzione ai dialoghi e alla loro filosofia simpatetica brevemente racchiusa in poche singolari conversazioni.

Mystery Train di Jim Jarmusch
Nicoletta Braschi in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

graceland: un’elegia malinconica

La pellicola è un esempio ottimo di cinema hyperlink a cui Tarantino deve sicuramente molto, non solo per la caratterizzazione dei personaggi e dei dialoghi, ma anche per l’ambientazione, che sembra ripresa nel film Pulp Fiction, pur, dal punto di vista scenografico, in modo vago e generico. Durante il corso del film, Jim Jarmusch ritiene di fondamentale importanza puntare una luce verso tutte le icone e istituzioni musicali che hanno reso imprescindibile il ruolo di Memphis nella storia contemporanea, omaggiandole costantemente con uno stile personalissimo e spesso ironico. Oltre a Stax Records, Sun Studio e Carl Perkins, una figura di culto menzionata piú volte, che fa una vera e propria apparizione durante il secondo episodio, è il “Re del Rock” stesso, Elvis Presley.

Masatoshi Nagase e Youki Kudoh in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

Viene evocato di notte da un disc jockey (la cui voce è di Tom Waits) alla radio in una stanza dell’hotel trasandato. Lo spirito del cantante rock, non avendo nemmeno una vaga idea di dove si possa trovare, appare di fronte agli occhi increduli del personaggio di Nicoletta Braschi come una specie di miraggio evanescente e spaesato. La visione si presenta nello stile e nella forma di Elvis piu’ iconica: inizio anni ‘50, ancora prima della crisi e di Las Vegas, quando il mito era indiscutibile e inattaccabile. Le note del pezzo alla radio, Blue moon, eccheggiano come una dolce e, al tempo stesso, inquietante cantilena. Appena la melodia inizia a sfumare in una dissolvenza, Elvis svanisce, lasciando dietro di sè la stessa malinconica sensazione di come quando si realizza di avere ormai perso il senso infantile di meraviglia.

Steve Buscemi in “Mystery Train” di Jim Jarmusch (Credits: Orion Classics)

Il film è un peana a tutto ciò: un agrodolce addio definitivo alla sospensione di incredulità e a tutto ciò che puó essere legato a una realtà idealizzata come sogno. Il finale rimane aperto, concludendosi con tutti i personaggi principali in fuga dalla città al mattino successivo: molti sono a bordo di un treno mentre i tre compagni dell’ultimo episodio si trovano in macchina, malconci, ancora in fuga dalla legge e impauriti dai suoni della ferrovia poichè simili alle sirene della polizia. L’epilogo esteriorizza così un’ulteriore prova dell’incessante avanzare dei protagonisti, in pellegrinaggio a Memphis sulla strada verso qualcosa di ancora sconosciuto.

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