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di gemma

Ci sono sentimenti e stati d’animo così astrusi e astratti che sembra quasi impossibile poterne dare una rappresentazione che vada al di fuori della dimensione cerebrale. Appena questi cessano di essere puro e semplice pensiero, allontanandosi dal principio originario che li ha creati, sfuggono dalla possibilità di poterli definire in maniera precisa e nitida.

il romanzo di moravia

Alberto Moravia, tuttavia, nel romanzo La noia riesce a dare, con le sue parole, una fedele descrizione del sentimento angosciante e opprimente che abita il cervello di Dino, protagonista delle vicende narrate. Dino è un pittore che palesa da sempre la sua incapacità di percepire il mondo che lo circonda come dimensione viva e realmente esistente. La consapevolezza dell’inafferrabilità della realtà lo porta a non riuscire a intessere relazioni profonde, a creare veri sentimenti con le persone e le cose. Lascia la vita da ricco borghese piena di agi perché crede sia questo il motivo della sua inettitudine, porta avanti la relazione con la madre solo per abitudine e convenienza, ma questa è fredda e distaccata. Dà un nome a questa sua situazione: ciò che gli impedisce di relazionarsi con il qui e ora, come suggerisce il titolo del romanzo, è la noia. A causa del forte sentimento che lo porta all’alienazione non vive ma si lascia vivere, non riesce nemmeno a fare quello che ama fare. Sembra quasi paradossale il fatto che Dino, un individuo incapace di percepire la realtà, sia un pittore, emblema dell’artista che dovrebbe riuscire a rappresentare, e quindi vedere, ciò che va ben oltre le apparenze delle cose. Per tutta la narrazione, però, egli continua a definirsi pittore pur avendo smesso di dipingere, come se questa fosse l’unica sua caratteristica che gli permette di rappresentarsi in un mondo fatto unicamente di apparenze. Se, in un primo momento il disegno gli aveva permesso di tenere a bada la noia, un giorno questa si manifesta in tutta la sua potenza portandolo alla drastica decisione di smettere per sempre di dare sfogo alla sua creatività. Questo, seppur precario, “equilibrio” che ha trovato all’interno della sua infelice situazione viene però smosso dall’arrivo di Cecilia, modella diciassettenne e amante di un artista, morto in circostanze misteriose, il cui studio si trovava accanto a quello di Dino. Anche il rapporto tra i due si inscrive nella dimensione della noia. Più Dino vorrebbe afferrare la civettuola fanciulla, più essa gli sfugge e cerca rapporti con altri uomini. Il continuo sottrarsi della donna, però, alimenta la gelosia e il desiderio di possesso.

Sophie Guillermin in “L’ennui” (Credits: IMDb)

la trasposizione di kahn

“Più la prendo meno la possiedo”. Queste le parole che il regista Cédric Kahn fa pronunciare al personaggio di Dino nella trasposizione cinematografica del romanzo, uscita nel 1998 con il titolo L’ennui. Kahn, pur riservandosi di rimaneggiare la trama ideata da Moravia, – atto più che lecito trattandosi di un romanzo che pecca di azione insistendo soprattutto sulla descrizione dei pensieri di Dino – riesce a rappresentare magistralmente lo spirito che aleggia tra le pagine de La noia. Il protagonista qui diventa Martin (Charles Berling), un professore di filosofia parigino in una situazione psicologica delicata, il quale intraprende una relazione con Cécilia (Sophie Guillermin), fondata quasi esclusivamente sul possesso fisico. Il rapporto tra i due nasce nell’indifferenza, ma degenera rapidamente a partire dal momento in cui l’uomo comincia a sentire nascere in lui il desiderio di impossessarsi della ragazza.

“L’ennui” di Cedric Khan

due forme d’arte a confronto

Se nel suo romanzo Moravia riesce a dare profonda centralità al pensiero di Dino grazie all’uso del monologo, nel film il personaggio di Martin è capace di esternare il suo senso di disagio con il mondo solo attraverso il dialogo che intrattiene con gli altri personaggi, tra i quali spicca la ex-compagna Sophie. Cédric Kahn riesce ad essere estremamente fedele alle parole del romanzo, sia nei dialoghi tra i due amanti che nelle espressioni che Dino usa per descrivere i suoi stati d’animo. Queste ultime vengono posizionate sapientemente in alcuni snodi che assumono rilievo nella trama della pellicola. Estremamente importante è, ad esempio, la conversazione tra Martin e il rettore dell’università nel momento in cui avanza la richiesta di allontanarsi per un anno dall’insegnamento. In questa scena il professore, al fine di spiegare i motivi che lo spingono a richiedere una pausa dal lavoro, si appropria delle parole utilizzate da Dino nel prologo del romanzo per spiegare in che cosa consistesse per lui il sentimento della noia.

“L’ennui” di Cedric Kahn

in conclusione…

Kahn riesce, insomma, a rappresentare eccellentemente, attraverso il dialogo, la dimensione tutta cerebrale del personaggio nato nel 1960 dalla penna di Moravia. Tuttavia, nel film non viene data importanza a tutti gli aspetti che trovano spazio nel romanzo. Il regista sceglie di ridimensionare l’importanza che nel libro viene data al rapporto di Dino con la madre, con i soldi e con la sua appartenenza al mondo borghese. La dimensione del possesso viene rappresentata in un modo più metafisico e filosofico, in linea, d’altronde, con la diversa identità che il protagonista assume ne L’ennui. D’altra parte, l’angoscia e lo strazio che derivano dall’impossibilità di afferrare la donna amata vengono potenziate dalla componente visuale. Nelle attese di Martin, nella disperazione del suo volto, nelle corse in macchina attraverso Parigi per controllare Cécilia, si percepisce tutto il potere distruttivo causato dalla noia, rispecchiando fedelmente quel “male di vivere” fatto di insaziabilità e continua insoddisfazione teorizzato da Moravia.

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