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recensione a cura di emma marinoni

Ho trovato abbastanza difficile scrivere una recensione «oggettiva» su Estrany riu, vuoi perché quest’estate a Lago Film Fest abbiamo avuto l’occasione di conoscere e intervistare il regista, Jaume Claret Muxart, in concorso con il cortometraggio La nostra habitaciò (tra l’altro, vincitore del concorso LAGO25!); vuoi perché il suo film ha qualche coincidenza strana con la mia vita (come i nomi di alcuni personaggi o certi piani vacanzieri).

Estrany riu
«Estrany Riu» di Jaume Claret Muxart (Credits: Elastica)

Un paio di anni fa ho deciso di usare gli ultimi sei crediti liberi della mia laurea triennale per fare un corso di lingua e letteratura catalana, frequentato da altre nove persone e tenuto in una delle aule più piccole dell’Università Statale di Milano. La ragione per cui io e la maggior parte degli altri era simile: un legame affettivo o familiare con la Catalunya. Avendo passato estati laggiù per buona parte della mia vita, ho sempre riconosciuto la felicità negli occhi di una persona catalana quando uno straniero si rivolgeva a loro nella loro lingua, molto di più di qualcosa assimilabile al concetto di orgoglio patriottico. Anche per questo motivo, la prima del film di Jaume, ha qualcosa di incredibilmente speciale ed emozionante.

Estrany riu
«Estrany Riu» di Jaume Claret Muxart (Credits: Elastica)

Estrany riu racconta un viaggio in bicicletta sul Danubio di una famiglia composta dalla madre Monika (Nausicaa Bonnín), il padre Albert (Jordi Oriol) e i tre figli Dídac (Jan Monter), Biel (Bernat Solé) e Guiu (Roc Collel). Dídac ha sedici anni, è il maggiore dei tre ed è alle prese con i primi amori adolescenziali: Gerard, il ragazzo di cui è innamorato, sembra ignorarlo. Biel, a cui questa dimensione è ancora ignota, ha le gambe doloranti per i dolori della crescita. Albert è architetto, Monika è un’attrice – le cui prove hanno obbligato la famiglia a scegliere queste date, sacrificando i piani vacanzieri di Dídac e dei suoi amici. Il Danubio è il sesto personaggio del gruppo, ripreso con la stessa attenzione e dettaglio di un altro essere umano. Fra una tappa e l’altra, Dídac viene avvicinato da un ragazzo misterioso (Francesco Wenz), nascosto tra le fronde o sotto la superficie del fiume, nelle ombre dei paesini isolati della campagna o facendo capolino tra una parete e l’altra della scuola del Bauhaus. 

Estrany riu
«Estrany Riu» di Jaume Claret Muxart (Credits: Elastica)

La famiglia di Dídac è complicata ma non disfunzionale: se i temperamenti dei ragazzi sono spesso in conflitto, i genitori non sono da meno. Albert, architetto, è una persona più quadrata e rigida, emotivamente intelligente ma anche ferma e risoluta; dall’altra parte, Monika assomiglia di più ad un fiume in piena, è più impulsiva ma anche più in contatto con i propri desideri. Entrambi raccontano a Dídac dei loro primi amori—Monika ha conosciuto il suo durante lo stesso viaggio, quando aveva l’età di Dídac. Il Danubio, l’«estrany riu» (strano fiume) del titolo, scena dopo scena prende sempre più spazio sullo schermo — e, di conseguenza, più importanza nella storia. Il fiume esorta Dídac — ma anche lo spettatore — a lasciarsi trasportare dalla corrente e se alcuni personaggi decidono di lasciarsi andare, altri cercano di resistere a questa forza della natura incontrollabile. Estrany riu mescola il coming of age con la dimensione del mito, creando un racconto di una crescita con uno sguardo incredibilmente sincero e affatto giudicante.

Estrany riu ha avuto la sua premiére italiana nella sezione Orizzonti dell’appena trascorsa Mostra d’Arte Cinematografica Internazionale di Venezia. Ha continuato il suo viaggio, tra Europa e Asia, passando dal festival di San Sebastián e il Busan Film Festival, in Corea del Sud. Ad oggi non è ancora stata confermata una data di uscita nei cinema italiani, ma noi Yancos faremo di tutto per portarlo in sala. 

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