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di marco

Prosegue l’approfondimento su Le Mépris di Jean-Luc Godard, pellicola che quest’anno spegne sessanta candeline.

odissea

Focalizzando ulteriormente l’attenzione sul contenuto de Le Mépris risulta spontaneo paragonarlo con il romanzo di Moravia da cui prende spunto. Il disprezzo, pubblicato da Bompiani nel 1954, racconta della crisi coniugale tra Riccardo Molteni, giovane drammaturgo ritrovatosi a scrivere sceneggiature cinematografiche, e sua moglie Emilia, ex dattilografa di provincia. In una Roma borghese degli anni ’50 Riccardo racconta come i sentimenti della moglie verso di lui si siano lentamente ma inesorabilmente affievoliti e poi mutati, fino ad arrivare a quel solenne disprezzo che sembra inspiegabile agli occhi sia suoi che del lettore: a nulla servono i numerosi tentativi, anche energici, in cui lo scrittore chiede ad Emilia il motivo di questo cambiamento. Insieme a questa crisi sono almeno altri due i temi centrali del romanzo: il cinema come mondo piegato elle esigenze di mercato, svuotato da ogni pretesa ed essenza artistica, e l’Odissea, che non è solo pretesto per il susseguirsi degli eventi, ma diventa lo specchio in cui Riccardo cerca di riflettersi per poter comprendere ciò che gli sta accadendo.

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Per comprendere l’origine del disprezzo di Emilia per Riccardo ritengo che occorra leggere attentamente il primo capitolo del romanzo[1]. Nel momento in cui lo scrittore accetta di lasciare la moglie insieme al produttore del film è come se, implicitamente, la stesse “vendendo” per rafforzare la sua posizione ed ottenere la sceneggiatura. Tra l’altro, questa concessione forzata non risulta la prima per Riccardo, dal momento che per acquistare l’appartamento ha dovuto accettare molti compromessi lavorativi che lo hanno gradualmente allontanato dalla sua vocazione iniziale. Una volta che Emilia si ravvede di questo cambiamento inizia a provare ostilità e disprezzo nei confronti del marito sino al finale tragico, sebbene nel romanzo il produttore riesca a sopravvivere all’incidente stradale. Sembra che anche Godard dia molto risalto a questo avvenimento nel film: il tono cambia totalmente quando Paul lascia Camille in macchina con Prokosch, ed è diventato iconico lo sguardo con cui quest’ultima lo guarda quando arriva in ritardo alla villa del produttore.

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Il disprezzo” offriva a Godard la possibilità di parlare direttamente del mondo del cinema, di sviluppare le proprie idee riguardo alla creazione cinematografica, allo statuto dell’autore di un film e ai suoi rapporti con i produttori[2]. Questi temi, già affrontati dall’autore nel periodo da critico e nei film precedenti, sarebbero stati espressi in modo più esplicito un blockbuster co-finanziato dalla Rome-Paris Films creata da Georges de Beauregard. 

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Le testimonianze di Godard riguardanti il romanzo sono talvolta contraddittorie. Dichiara a Yvonne Baby su «Le Monde»: «Avevo letto il libro da molto tempo. Il soggetto mi era molto piaciuto e dato che dovevo fare un film per Carlo Ponti, gli ho proposto di adattare Il disprezzo fedelmente, capitolo per capitolo. Ha detto sì, poi no, per paura, e quando gli ho suggerito di chiamare Kim Novak e Frank Sinatra, ha rifiutato: preferiva Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Io non volevo, siamo rimasti fermi sulle nostre posizioni fino a quando ho appreso che Brigitte Bardot si interessava al progetto e accettava di lavorare con me. Grazie a lei, tutto è diventato improvvisamente facile, tutti erano contenti, compresi gli americani, o più precisamente Joe Levine, che finanziava in parte l’affare e al quale Ponti aveva affermato che il film sarebbe stato ‘molto commerciale’. Noi abbiamo quindi girato liberamente per sei settimane in Italia».[3]

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Godard ha dichiarato invece a Jean-André Fieschi: «Il romanzo di Moravia è un volgare e grazioso romanzo da leggere in treno, pieno di sentimenti classici e desueti, a dispetto della modernità delle situazioni. Ma è con questo genere di romanzi che spesso si girano dei bei film».[4]

Qualsiasi fosse la vera opinione di Godard sul romanzo, è indubbio che Le Mépris si distacchi in maniera abbastanza netta dall’opera di Moravia. In quest’ultimo la fine del matrimonio assume toni molto psicologici e introspettivi, anche grazie alla narrazione in prima persona che lascia, però, meno spazio al personaggio di Emilia. È indubbio che Godard dia comunque rilevanza alla crisi coniugale: alcuni storici ritengono che le difficoltà emergenti nel rapporto con Anna Karina lo abbiano aiutato ad interiorizzare la parte più psicologica del romanzo e a plasmare la relazione tra Paul e Camille. Tuttavia, il regista non giudica la nevrosi dei personaggi, attaccando piuttosto la crisi della famiglia borghese, epicentro epico-quotidiano dell’arte del Novecento, per sottolinearne l’artificiosità e la struttura sistemica. Vi è un forte parallelismo tra la famiglia e l’industria cinematografica, entrambe istituzioni illusorie, intrise di sovrastrutture borghesi (si pensi alla caratterizzazione di Paul), e vicine alla morte. Il discorso meta-cinematografico risulta quindi molto più centrale nel film di Godard, che non si piega alla logica dell’adattamento e sviluppa una riflessione sulla forma, sul cinema e sull’industria culturale molto coerente con le sue opere precedenti e successive, senza risparmiare un erotismo e un nichilismo non presenti nell’opera di Moravia. 

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Risulta particolarmente interessante paragonare Le Mépris all’altro film di Godard datato 1963, Les Carabiniers. Quest’ultimo, algido dramma in b/n che strizza l’occhio a Brecht e raffigura l’oppressione del sistema, della guerra e del potere costituito, tentava di decostruire il mito raccontando le vicissitudini di personaggi dai nomi altisonanti (Ulysse, Michel-Ange, Vénus, Cléopâtre) in un contesto reale come una nazione in stato di guerra. “Le Mépris”, invece, utilizza il mito per commentare il cinema, inteso come massima illusione del reale e della vita: come la mitologia greca, anche l’industria cinematografica è decadente e in rovina ed appare una reliquia del passato, si vedano gli studi di Cinecittà ad inizio film dove Prokosch incontra Javal.

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

L’Odissea ha un ruolo centrale in entrambe le opere. Se nel libro era lo specchio attraverso cui Riccardo si riflette per cercare di spiegarsi i motivi della crisi con Emilia, nel film diventa il pretesto per rappresentare la crisi e morte del cinema e il rapporto tra classicità e modernità. Godard attua il più importante cambiamento rispetto al romanzo nella caratterizzazione del regista tedesco a cui è affidata L’Odissea: Rheingold appare ottuso e miope, poiché la sua versione del mito era intrisa di psicologia e mancava di quella bellezza mediterranea fondamentale per comprendere l’antichità classica. Non a caso, il paesaggio è una presenza molto importante anche ne Le Mepris, dal momento che per l’autore segnala il ritorno al classicismo e alla serenità per evidenziare, ancora una volta, lo scarto tra antichità e modernità per i differenti modi in cui queste epoche si rapportavano alla natura[5].

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Il corrispettivo filmico è Fritz Lang, auteur amatissimo dai Cahiers, che interpreta se stesso nella più lampante scelta di casting meta-cinematografica attuata da Godard: il regista di M e Metropolis, sempre solare e positivo, rappresenta la coscienza del film[6] e i valori di un’arte che non esisterà più. Attento a rispettare sia il mito della classicità che quello del cinema, Lang riesce a guardare il mondo con lucidità attraverso il suo monocolo ed è detentore di un sapere che non può essere dato se non a prezzo di una continua trasformazione e di compromessi. Dirà di lui Godard stesso: «Fritz Lang è il coro antico. È molto importante per me che nel film il regista Fritz Lang si chiami Fritz Lang, ma d’altronde non facevo del cinéma-vérité. Lang rappresenta tutto il cinema. Dovevo ritrovare tutto il cinema classico, da Chaplin a Griffith, fino ai cliché nel caso. Il disprezzo è un film sul cinema.»[7]

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

versioni

Le storie sulla genesi, sulla produzione e sulla distribuzione de Le Mépris sono famose quasi quanto il film stesso. I lavori di Moravia non erano nuovi a adattamenti cinematografici e televisivi, si pensi ad esempio a La giornata balorda di Bolognini e, soprattutto, a La Ciociara di De Sica, che riscosse un grande successo commerciale grazie alla celebre performance di Sophia LorenCarlo Ponti, associato a Georges de Beauregard nella già menzionata Rome-Paris Films, possedeva i diritti di adattamento cinematografico de Il Disprezzo e, a inizio anni ’60, si decise a realizzare il film. Per la protagonista fu scelta Brigitte Bardot, anche grazie alla partecipazione del produttore americano Joseph E. Levine: la presenza di Bardot decuplicò il budget iniziale del progetto, che raggiunse 500 milioni di vecchi franchi. 

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Ponti inizialmente non voleva affidare la regia a Godard: questi aveva inizialmente suggerito il casting di Frank Sinatra e Kim Novak come protagonisti, rifiutando la contro-proposta tutta italiana con Marcello Mastroianni e Sophia Loren. Tuttavia, quando il produttore seppe che la Bardot era contenta di farsi dirigere da Godard accettò di buon grado la presenza di entrambi. Qualche anno dopo, Anna Karina, all’epoca moglie di Godard, rivelò che questi aveva proposto la parte di protagonista a Monica Vitti, ma che lei rifiutò con un tono annoiato guardando fuori dalla finestra del suo appartamento come se non fosse per niente interessata al progetto. 

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Era il primo film ad alto budget per il regista svizzero, che finalmente poteva realizzare il sogno di tanti critici dei Cahiers: mettere in scena una grossa produzione all’americana su un set hollywoodiano. Dirà poi Jean-Luc Godard a proposito del film: «È un film su commissione che mi ha interessato. È la sola volta in cui ho avuto l’impressione di poter fare un grande film con un grande budget. In effetti, era un piccolo budget per il film perché tutto il denaro era destinato alla Bardot, a Fritz Lang e a Jack Palance. E poi rimaneva un po’ più del doppio di quanto avessi a disposizione per i miei altri film, restavano 200.000 dollari, che per me era molto all’epoca, ma non era una somma enorme per un grande film.»[8]

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Per il film Godard redasse una sceneggiatura molto precisa di cui esistono quattro versioni diverse: ciò consente di smentire completamente la leggenda di un set improvvisato, ben poco adatto ad una produzione così esigente. Lavorare in simili condizioni permise a Godard di accentuare la già fiorente componente meta-cinematografica: intese Prokosch come fratello spirituale di Ponti e Levine, e quest’ultimo viene persino citato in un dialogo all’interno del film.  

La produzione fu decisamente travagliata. Jack Palance si rifiutava di parlare in francese, era solito ubriacarsi durante le riprese e fraintendeva volontariamente le direzioni di Godard, tanto da meritarsi l’appellativo di le grand con (“il gran coglione”)[9]; le riprese a Capri furono spesso interrotte per scacciare i reporter napoletani che cercavano disperatamente di scattare foto a Brigitte Bardot, come testimonia il corto documentario Paparazzi uscito l’anno seguente.

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Il montaggio terminò alla fine dell’estate del 1963 e il film stava per essere selezionato dalla Mostra di Venezia in settembre: sebbene a Ponti non dispiacque, i produttori americani erano di tutt’altra opinione, dal momento che lo ritenevano troppo “artistico” e poco commerciale. In particolare, ritenevano che Brigitte Bardot non fosse abbastanza erotica e chiesero di inserire alcune scene di nudo: Godard ne gira una che diventerà il famoso incipit, ma verrà completamente tagliata nella famigerata versione italiana[10].

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Nello specifico, la copia italiana del film rappresenta, secondo Adriano Aprà, «forse il più clamoroso caso nella storia del cinema di tradimento dell’originale. Si tratta inoltre di un tradimento, la cosa va sottolineata, avvenuto col beneplacito, se non col plauso, della critica»[11]. Al netto dell’aver chiamato la protagonista Emilia come nel romanzo di Moravia, in sede di montaggio furono effettuati diverse modifiche non solo all’intreccio ma anche al sonoro, alla fotografia e ai dialoghi che finirono per snaturare completamente il film. Nel saggio dedicato a Godard, Alberto Farassino elenca minuziosamente i tagli principali che accorciarono il film di 20 minuti[12]: tra questi, tutti gli opening credits letti dal regista con la citazione di Bazin, l’incipit con Bardot e Piccoli a letto, l’inversione delle ultime due scene finali e le meravigliose sequenze in flashback e flashforward che immagina Camille in appartamento.

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Il doppiaggio in italiano risulta un forte limite. Nella copia francese i personaggi parlano ognuno nella propria lingua originale: Prokosch in inglese, Camille e Paul in francese, mentre Lang usa a volte l’inglese, a volte il francese, a volte il tedesco. Questa forma di multilinguismo amplifica il senso di incomunicabilità presente sul set, componente che viene annichilita dal doppiaggio; questo rende inutile anche il personaggio di Giorgia Moll, nella versione originale l’unica italiana del gruppo che faceva da traduttrice dei vari personaggi. La splendida colonna sonora sinfonica e ricca di archi di Georges Delerue, quanto mai adeguata al ritmo del film, venne sostituita da un jazz piuttosto dozzinale di Piero Piccioni: questo vorrebbe dare al film un tono ‘moderno’ di ritmi spezzati e frammentati, come se Ponti ambisse a fare un secondo À bout de souffle.

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Infine, per quanto riguarda il colore, nella copia francese è da notare una netta differenza tra la prima e la seconda parte (ottenuta probabilmente con due procedimenti di stampa per un medesimo tipo di negativo), perché le scene romane risultano molto più “sporche” e ciò fa risaltare maggiormente la limpidezza di quello delle scene di Capri. Nella copia italiana, stampata con un unico procedimento, anche le scene romane hanno la limpidezza di quelle di Capri a scapito del significato del film. Godard naturalmente non riconobbe l’edizione italiana ma si può supporre che forse, sotto sotto, la vicenda non gli fosse troppo dispiaciuta: essa non faceva che prolungare la storia del film stesso e intensificava il suo già florido discorso meta-cinematografico[13].

“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

il “mio” godard

Considerando quanto scritto finora, non sorprende che Le Mépris abbia lasciato dietro di sé un’eredità enorme. L’influenza sulla produzione successiva di Godard è tangibile: molte cifre stilistiche saranno riprese in alcuni film tra ’66 e ’67 e si può percepire quell’idea di fine di un’era cinematografica che sarà l’argomento principale di Pierrot le fou, considerato da tanti critici la pietra tombale della Nouvelle Vague.

L’immensa legacy del film è anche e soprattutto testimoniata dalle citazioni dirette e dalle parole di apprezzamento di tanti registi e critici internazionali. Martin Scorsese ha dichiarato nel DVD commentary di Taxi Driver e in un’intervista rilasciata a Criterion che Le Mépris è il suo Godard preferito, ed ha utilizzato Thème de Camille di Delerue per suggellare Casino nella scena finale e nei titoli di coda. Due importanti registi britannici come Steve McQueen e Peter Strickland hanno elogiato il film sulle pagine del BFI, sottolineandone le qualità e l’influenza sulle loro produzioni. 

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

L’opera compare spesso in classifiche sui migliori film di ogni epoca. The Greatest Films la colloca giusto al numero 342, ma in liste meno americanocentriche è considerata maggiormente. Nella famosa lista Sight & Sound del British Film Institute, redatta nel 2012, è al ventunesimo posto a pari merito con L’Avventura e The Godfather, mentre nel controverso aggiornamento dello scorso anno è scesa al cinquantaquattresimo posto. Tra i votanti dell’ultima edizione si annoverano critici del calibro di Todd McCarthy, ex chief film critic per Variety e The Hollywood Reporter, il professore della Sorbonne François Jost e il critico dei Cahiers du Cinéma Hervé Aubron; tra i registi spiccano il già menzionato Steve McQueen, Julie DelpyNeil JordanFlorian Zeller e, soprattutto, Alejandro González Iñárritu.

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Il regista messicano non ha mai nascosto il proprio amore per Le Mépris, e oltre alle numerose volte in cui ne ha parlato, lo ha omaggiato con il corto Anna presente in Chacun son cinéma, film a episodi del 2007 ideato da Gilles Jacob per festeggiare i 60 anni del Festival di Cannes. Nel corto, all’interno di una sala ammutolita si sentono Michel Piccoli e Brigitte Bardot discutere con, in sottofondo, la bellissima colonna sonora di Delerue. La regia si sofferma sulle mani di una ragazza (Anna) che stringono una sigaretta e, in seguito, su un volto che si avvicina a lei e le descrive le immagini che si susseguono: la macchina da presa sale fino a scorgere il volto piangente della ragazza. I suoi occhi appaiono persi nel vuoto, sognanti, commossi, profondamente turbati, eppure privati della vista. A fine proiezione, Anna si dirige verso l’uscita del cinema e viene raggiunta dal fidanzato, che aveva interpretato la colonna sonora durante la proiezione: mentre si abbracciano con in sottofondo Thème de Camille, gli chiede se il film fosse in bianco e nero oppure a colori.

“Anna” di Alejandro González Iñárritu  IMDb)

Con questo articolo ho cercato anche io, nel mio piccolo, di rendere omaggio a un’opera che mi sta molto a cuore e che ha modificato il modo in cui guardo al cinema: per terminare la trattazione permettetemi una piccola digressione personale. Ho sempre pensato che trovare il proprio film preferito sia un’operazione più difficile di quanto sembri: spesso è una domanda posta all’improvviso, e accedere ad una categorizzazione così specifica a bruciapelo può comportare risposte inesatte o approssimative.

L’argomento è stato toccato nelle ultime settimane anche da Tyler, The Creator a Rap Radar Podcast: in sintesi, il rapper si è definito infastidito dai giovani che, secondo lui, si impongono di rifarsi al consenso critico e a parametri molto oggettivi quando gli viene chiesto quali siano i loro album o artisti preferiti. Questo può avvenire a discapito di scelte maggiormente legate ad aneddoti e gusti personali che Tyler ritiene più interessanti per comprendere meglio la storia e la personalità di chi ha di fronte. Sebbene ammetta di avere anche io la tendenza ad intellettualizzare e a cercare fin troppo un consensus critico mentre giudico un film, poche volte mi sono sentito frastornato e “cambiato” come quando finii di guardare Le Mépris.

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Febbraio 2017. Da qualche mese avevo cominciato ad approcciarmi al cinema in maniera diversa e avevo già recuperato diversi classici del passato, specialmente francesi; per questo, ero particolarmente curioso di approcciarmi alla Nouvelle Vague, che avevo letto essere stato un movimento rivoluzionario ed influente ancora oggi. Un caro amico molto appassionato mi aveva consigliato di recuperare il primo periodo di Godard; pertanto, quando vidi che la sala arthouse della mia città proiettava Le Mépris nella versione originale di 105’ da poco restaurata dalla Cineteca di Bologna, non mi feci scappare l’occasione. Era lunedì 6 febbraio 2017: è stata una delle esperienze cinematografiche più belle ed appaganti che abbia mai vissuto, e ricordo che fui colpito particolarmente dalla messinscena, dai rapporti con il classicismo, dalla colonna sonora e, onestamente, dalla bellezza disarmante di Brigitte Bardot.

"Le Mépris" di Jean-Luc Godard
“Le Mépris” di Jean-Luc Godard (© IMDb)

Col tempo mi sono ancora più affezionato al film, riguardandolo a cadenza annuale per occasioni particolari come nel giorno in cui mi sono laureato in pieno lockdown ad aprile 2020 o per un paio di compleanni. È l’unico film di cui abbia mai acquistato un poster (che campeggia ancora fiero in camera mia) e l’unico che sia sempre stato presente tra i quattro favorite del mio profilo Letterboxd. Per tutti i motivi menzionati in questo articolo, Le Mépris è diventata la risposta quasi automatica a chi mi chiede, a bruciapelo, quale sia il mio film preferito in assoluto: mai una volta mi sono pentito di averlo menzionato al posto di altri che adoro, e probabilmente sarà così per sempre.


[1] Moravia, Alberto, Il Disprezzo. Bompiani, Milano 1954.

[2] Michel Marie, Le Mépris. Jean-Luc Godard, Synopsis-Nathan, Paris 1990.

[3] Jean-Luc Godard, «Le Monde», 20 dicembre 1963.

[4] Jean-Luc Godard in «Cahiers du cinéma», n. 146, agosto 1963.

[5] Jean-Luc Godard, intervista in «Les Lettres Françaises», 25 dicembre 1963.

[6] de Baecque, Antoine. Godard – biographie, Parigi, Grasset, 2010.

[7] Ibidem.

[8] Michel Marie, Le Mépris. Jean-Luc Godard, Synopsis-Nathan, Paris 1990.

[9] Michel Marie, Le Mépris. Jean-Luc Godard, Synopsis-Nathan, Paris 1990.

[10] Adriano Aprà, Le Mépris e Il disprezzo su «Filmcritica», n. 151-152, novembre-dicembre 1964.

[11] Ibidem.

[12] Alberto Farassino, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano, 2002.

[13] Alberto Farassino, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano, 2002.

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