di giulia
Io capitano, presentato in concorso all’80ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è l’ultimo film di Matteo Garrone (conosciuto sopratutto per Gomorra, Dogman e Il racconto dei racconti). Volendo essere un attimo tecnici, dal punto di vista cinematografico Io capitano è un film piuttosto lineare: presente e palpabile per tutta la durata è lo stile caratteristico del regista, nonostante lo spostamento in un setting estraneo, che ha permesso la creazione di una fotografia altamente suggestiva, accompagnata da un cast che recita principalmente in wolof — una delle lingue parlate in Senegal — e francese. Tuttavia quando ci troviamo di fronte a un’opera del genere, l’analisi tecnica, seppur inevitabile, passa in secondo piano rispetto al messaggio che una sceneggiatura come questa può far veicolare.
Quando la storia inizia ci troviamo a Dakar, in Senegal. Incontriamo subito il protaongista Seydou (Seydou Sarr) e la sua numerosa famiglia composta da sua madre e le sue sorelle. Capiamo ben presto che Seydou e il cugino Moussa (Moustapha Fall) vogliono lasciare il loro paese per inseguire “il sogno europeo”. I due adolescenti hanno lavorato di nascosto per mesi e adesso hanno finalmente raggiunto una somma adeguata per intraprendere il viaggio. Nonostante gli avvertimenti dati loro da chi nell’altro continente ci è gia andato, scoprendo di fatto che le favole non sono mai reali, i due giovani, spinti forse più dal loro essere sognatori che dalla necessità, partono per l’Italia. L’entusiasmo ingenuo di Seydou e Moussa sarà presto spezzato dal percorso pervaso di violenze, truffe, fame, sfruttamento, torture e morte. Garrone qua non ci racconta niente di nuovo, o almeno, non dovrebbe, se solo lo spettatore si fosse mai interessato alla questione, leggendo una qualsiasi notizia di cronaca. Quello che però dagli articoli non si può percepire, nonchè l’aspetto su cui il regista cerca maggiormente di fare leva, sono le numerose emozioni umane provate direttamente dal singolo individuo che, a volte consapevolmente, a volte un po’ meno, decide di attraversare l’inferno.
Garrone parte con l’idea di non voler fare un film politico, forse una scelta un po’ controversa data la portata della storia che racconta. Il film mette in scena molte verità, tuttavia pecca nel portare avanti una denuncia più strutturata. Chiaro e apprezzato è stato il tentativo di umanizzare la storia di persone ormai costantentemente ridotte a mezzo di strumentalizzazione politica, grazie anche alla sincera e forte performance di Seydou Sarr, vincitore di una meritatissimo Premio Marcello Mastroianni come miglior attore emergente. Ad ogni modo, l’incessante sentimento di speranza, messo in scena attraverso rappresentazioni oniriche che scavalcano nel genere fantasy, riesce a entrare nei nostri cuori, ma ci lascia a tratti perplessi e incapaci di trovare la nostra pozione davanti a questa odissea moderna. Il punto chiave del film arriva quando un gruppo di trafficanti libici propone a Seydou un accordo. Moussa è stato ferito e l’unico modo per poterlo curare è portarlo fuori dal paese, in un’ospedale dove accetterebbero di curarlo. Seydou però non ha abbastanza soldi per imbarcare entrambi, così gli scafisti offrono al giovane (ancora minorenne) il compito guidare lui la barca, in cambio di un posto assicurato a bordo per lui e l’amico. Ancora una volta spinto dalla perpetua volontà di realizzare insieme quel sogno, Seydou parte da Tripoli verso l’Italia, portando con sé il peso e la responsabilità della vita di decine di persone.
Io capitano termina con il primo piano di un giovane che ci sembra ora di conoscere e con il quale abbiamo empatizzato, ma dietro di lui rimangono decine di persone con racconti, sogni, speranze diverse. Il film finisce e Seydou non è più il protagnista della sua storia, forse perchè adesso sta a noi dettare l’andamento di quelle decine di vite. Costantemente dimostrando al mondo la nostra incapacità di agire adeguatamente di fronte a questa situazione, è probabilmente inutile stare qui a discutere nel dettaglio quali siano gli aspetti più o meno riusciti di Io capitano. Seppure questa pellicola non rappresenterà la più scioccante delle rivelazioni per colui che non è cieco, sono ancora tanti — troppi — gli individui che non vogliono accettare di vedere. Con la speranza che questo film possa portare anche solo una persona in più ad aprire finalmente gli occhi.