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di giulia

Approfondimento su Les chenilles («I bachi da seta») di Michelle Keserwany & Noel Keserwany, Souvenirs d’une journée parfaite («Souvenirs di un giorno perfetto») di Davina Maria e Pas le temps («Senza tempo») di Camille Lugan, altri due cortometraggi dalla regia al femminile che sono stati presentati durante la XXII edizione del Concorto Film Festival.

“Les chenilles” di Michelle Keserwany & Noel Keserwany

Les chinelles (2022), diretto dalle sorelle libanesi Michelle Keserwany e Noel Keserwany, inizia con un resoconto della storica raccolta della seta a Lione e del suo legame con il Libano, dove le lavoratrici venivano sfruttate per creare il tessuto utilizzato per vestire le donne francesi. Però questa non è la vera storia che il film racconta, bensì lo è quella di due donne arabe che si sono ritrovate, ai giorni nostri, a lavorare nel solito ristorante in Francia, per l’appunto a Lione. Questo scenario apre una riflessione sulle aspettative di genere del lavoro femminile, tracciando tra l’emigrazione, il colonialismo e il legame franco-libanese, fornendo un ritratto toccante della solidarietà femminile nel processo. 

“Les chenilles” di Michelle Keserwany & Noel Keserwany (Credits: Concorto Film Festival).

Il film, premiato con l’Orso d’oro per il miglior cortometraggio a Berlino, non entra mai nei dettagli della vita delle due protagoniste, non elenca in stile documentaristico i fatti accaduti e la storia va avanti senza specificare con esattezza i loro luoghi di origine o i loro traumi. Tuttavia, un montaggio alternato tra fiction e realtà, accompagnato da un voice-over molto personale, fa intuire allo spettatore la presenza in entrambe le vite delle due donne di un passato che le unisce, come se ci fosse un filo fra le due che impedisce a loro di capire se realmente si conoscono solo da una notte o da tutta la vita. Una meditazione sullo sfruttamento nella storia e sui suoi echi nella contemporaneità si unisce a dialoghi sinceri, nostalgie di luoghi che non ti appartengono più e paure di luoghi che ancora non riesci a sentire tuoi. 

“Les chenilles” di Michelle Keserwany & Noel Keserwany (Credits: Concorto Film Festival).

Legate da questo secolare sentimento di appartenenza, instinseco in loro nonostante il tentativo di diventare qualcun’altra una volta raggiunto il nuovo paese, le due donne si scambiano pensieri, paure, ci dicono come si sentono inadeguate e sfruttate, il tutto costantemente seguito dal voice-over che ci racconta della famosa storia della tessitura della seta. Sul finale del film ci viene detto di come alle donne libanesi per la prima volta venne data l’opportunità di lavorare fuori dalle loro case, offrendo loro contratti che non potevano leggere e paghe che non erano degne, senza che queste potessero capire che niente di tutto ciò fosse un dono. Ci viene raccontato di come le fabbriche della seta fossero luoghi troppo rumorosi per far sì che le lavoratrici potessero parlare tra di loro, ma anche di come, nonostante tutto, quetse donne riuscissero comunque a creare legami di amicizia, legate da quel famoso filo invisibile. La storia di queste donne libanesi è messa a contrasto con la storia “inventata” di Asma (Masa Zaher) e Sarah (Noel Keserwany) al giorno d’oggi, ma quanto di finzione ci potrà mai essere in una narrazione così vera? 

“Souvenirs d’une journée parfaite” di Davina Maria

Davina Maria è una regista di documentari nata a Beirut e attualmente residente a Bruxelles. Il suo lavoro ruota attorno alla studio di tutto ciò che riguarda la condizione umana e la sua fragilità. Souvenirs d’une journée parfaite (2022) è un perfetto esempio di questo studio. Interamente composto da fotografie e immagini ferme, il corto, anche qui grazie a una voce fuoricampo, racconta la storia di un’incontro molto casuale e altrettanto fortuito fra due donne. L’impostazione originale della voce imposta sulla staticità delle foto scattate in analogico riesce ad immergerci interamente nella storia, come se la macchina fotografica diventasse un’estensione del corpo e degli occhi della regista.

“Souvenirs d’une journée parfaite” di Davina Maria (Credits: Concorto Film Festival).

L’impostazione del film e il racconto non ci dicono chiaramente se si tratti di un lavoro documentaristico, ci rendiamo però subito conto che si tratta di una storia intima, ma solo nel proseguire della visione riusciamo a comprendere che si parla di persone vere e incontri realmente accaduti. Incontri, questo è il tema principale di Souvenirs d’une journée parfaite, incontri effimeri che senza spiegazione ben chiara si collegano e diventano qualcosa di più grande. Davina Maria è tormentata da un incontro sulla spiaggia di Ostenda, che persiste nella sua mente come un’ossessione. Un giorno, tmepo dopo in una libreria, scopre Ostenda, la graphic novel dell’autrice e illustratorice Dominique Goblet. Il lavoro di Goblet rimane così impresso nella mente della regista che tenta di contattare l’illustratrice per chiederle un incontro. 

“Souvenirs d’une journée parfaite” di Davina Maria (Credits: Concorto Film Festival).

Le due donne quindi, partendo dalla passione condivisa per la spiaggia di Ostende, si riscoprono più vicine di quello che potessero immaginare, ricordandoci l’importanza di ascoltare le proprie intuizioni quando si cerca l’altro. Il film, intrecciando le loro rispettive pratiche artistiche, diventa quindi una celebrazione dei dettagli che stanno dietro alle cose che conquistano i nostri sentimenti, una celebrazione dei momenti condivisi che, grazie a come viene raccontata la storia, mi hanno ricordato tanto i famosi moments of being di Virginia Woolf. Come ci viene detto dalla voce narrante verso la fine del corto, la tendenza umana è spesso quella di concentrarsi troppo sulle cose che ci rendono cupi, spengendo una luce dentro di noi che certi incontri casuali (ma mai banali) possono riaccendere. 

“Pas le temps” di Camille Lugan

Nella prima scena di Pas le temps (2022) di Camille Lugan vediamo un ragazzo e una ragazza che si baciano di notte nella penobra di un vicolo parigino, ma questa non è una storia d’amore, o almeno, non lo è nel senso tradizionale. Julie (Sonia Bonny) rinuncia a passare la serata con il suo ragazzo perchè “qualcosa di importante” l’aspetta, infatti Julie fa la rider e il suo turno di consegne è durante la notte. Il ragazzo fa lo stesso lavoro, ma a turni invertiti, di giorno. Scopriamo all’inizio, grazie alla voce che arriva dalle cuffie di lei, probabilmente quella di un suo superiore, che la ragazza è “indietro” di tredici minuti al raggiungimento del suo bonus quella notte. Qui inizia la sua corsa. 

“Pas le temps” di Camille Lugan (Credits: Concorto Film Festival).

Con un ritmo simile a Sorry we missed you (2019) di Ken Loach, la protagonista si affanna viaggiando in bici attraverso le strade di Parigi, passando da un risorante all’altro, facendo a corsa le scale strette dei palazzi francesi per non perdere neanche un minuto sulla sua tabella di marcia. Ristoranti messicani, vietnamiti, cinesi, mai francesi, Julie si muove fra gli arrondissements come una macchina, senza pensare. Fino a che, mentre aspetta che sia pronta una cosegna, un altro rider si prende confidenza e le chiede se abbia un ragazzo. “È dura, non può funzionare se avete orari così diversi, come fai a essere sicura che lui la notte ti aspetti e non sia con qualcun’altra?”. La protgonista si finge non toccata dai commenti dello sconosciuto, ma è qui che nella testa di Julie, insieme alle consegne, si aggiungono pensieri sulla sua vita. 

“Pas le temps” di Camille Lugan (Credits: Concorto Film Festival).

Mancano poche corse a raggiungere il suo bonus, ma adesso la ragazza per qualche motivo non riesce a concentrarsi. Quando il suo superiore la chiama nota la sua stanchezza e alla richiesta di lei inizia a raccontarle una storia: la storia della “fiamma d’oro”. A quanto pare i rider negli Stati Uniti raccontano che quando raggiungi una certa velocità sulla bici inizi a vedere intorno a te solo colori, non più cosa ti sta intorno, solo luce. Smetti di vedere il mondo, vedi solo cosa c’è dentro, ovvero un fuoco dorato che non si spegne mai. Forse questa è solo una leggenda o forse questi rider americani hanno semplicemente perso la testa per il troppo pedalare, ma Julie capisce presto come in questo suo lavoro i piccoli pensieri della vita non sono permessi, le incertezze e i dubbi sono privilegi di altri. Tuttavia, quando torna a casa all’alba trova fuori dalla porta il suo ragazzo ad aspettarla, pronto a partire per la sua giornata di lavoro, così si scambiano un abbraccio. Julie capisce che forse esiste altro oltre alla sua corsa, concedendosi un po’ di silenzio.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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