di virginia
In occasione della giornata Siamo tuttə in transizione, promossa all’interno del festival di cinema Presente Italiano, l’associazione CinematograFica (Claudia Morini di Tocco, Daniela Colamartini e Simona Castoldi) e tre ospiti, Kali, Vincent e Gioele, raccontano Nel mio nome, documentario di Niccolò Bassetti.
Claudia: Siamo CinematograFica – cinema for gender and equality in developement, un’associazione che si occupa di trattare di tematiche di genere attraverso il cinema. Partecipiamo, grazie ad un progetto del MIUR ad incontri scuole elementari, ma non solo: vivisezionamo l’industria cinematografica e i disagi di questo settore. Oggi, qui a Presente Italiano, abbiamo selezionato Nel mio nome di Niccolò Bassetti, un film che abbiamo visto alla scorsa edizione della Berlinale, il Festival del cinema di Berlino. Il film ci è piaciuto moltissimo e subito ci è sembrato affrontare con una sensibilità incredibile queste tematiche. Dal 2023 lavoreremo anche a progetti del settore delle emergenze umanitarie, al momento lavoriamo anche all’interno di festival – cinematografici e non – e partecipiamo con talk di argomento cinematografico e altro. Quello che facciamo, sostanzialmente, è dare un taglio femminista attraverso il cinema.
Daniela: Nel mio nome è un documentario realizzato con grande libertà, si tratta di un prodotto atipico all’interno dell’industria cinematografica italiana. Il regista, è vero, è un uomo – anche se a cose normali cerchiamo di dare uno spazio a chi uno spazio non ce l’ha. L’idea di questo documentario, in particolare, non nasce a caso ma viene fuori da una situazione del figlio del regista, nel momento in cui gli ha comunicato di voler intraprendere un percorso di transizione. I protagonisti interagiscono e si trovano molto liberamente tra di loro per cercare di costruire una narrazione di una transizione che non sia banale, non che vada da un punto A a un punto B ma che possa mostrare tutta l’ampiezza dello spettro. Il film si collega al podcast omonimo, da cui riprendo una frase: e se l’esperienza di transizione non fosse quella di cambiare sesso ma di riappropriarsi del nome? Questa domanda ci fa capire molto bene anche quanto sia ormai obsoleto considerare un “punto A” e un “punto B”, è necessario andare oltre le colonne d’Ercole del binarismo di genere per navigare nel mare della transizione.
Vincent: Questa settimana è la settimana della consapevolezza transgender (transgender awareness week) che si chiude con la giornata della commemorazione delle vittime per transfobia. L’Italia è il primo paese in Europa per morti per transfobia e, purtroppo, con il nuovo governo non sembra proprio che andremo a migliorare la situazione. Il monitoraggio delle statistiche viene fatto annualmente, dal primo ottobre al trenta settembre: quest’anno siamo a quota 381, persone uccise o che si sono suicidate per aver subito violenze. Dal 2019 queste cifre sono in aumento, al momento i numeri sono cresciuti dell’8%, stiamo peggiorando. Si conta che, dal 2008 fino ad oggi, circa 4050 persone transgender siano decedute. Si parla sempre di circa perchè purtroppo non abbiamo dati precisi, molte persone non vengono alla luce e non si dichiarano più di tanto, i giornali non parlano di morte per transfobia ma per semplice aggressione e per molti altri fattori, una tendenza che sicuramente continuerà anche in mancanza del DDL Zan, proposta di legge che in questi casi richiedeva l’aggravante dei crimini d’odio. Quindi quattromila persone uccise annualmente, del milione di persone transgender nel mondo – rapportando questi numeri ad alcune percentuali, corrispondiamo all’incirca all’1% della popolazione mondiale – porta al risultato che circa una persona al giorno viene ammazzata.
Questo, dunque, è il quadro della situazione e viene da chiedermi quali mezzi abbiamo in possesso per cercare di arginarla. Raccontare, come stiamo facendo stasera, le nostre storie, spiegare che nella transizione ci sono molte sfumature, che si va anche ben oltre la semplice “transizione” e sarebbe più preciso usare il termine “affermazione” può aiutare. Le persone non binarie, quindi quelle che non si riconoscono nella M (maschile) o nella F (femminile), a maggior ragione incontrano difficoltà, almeno noi persone binarie possiamo fare un percorso medicalizzato e che ci consente di fare, in ultima analisi, un cambio anagrafico. Per quanto non sia una passeggiata, almeno un minimo di riferimento c’è. Il punto finale non è arrivare ad avere un cambio anagrafico, io sarò ovviamente una persona transgender fino alla fine, non posso nascondere la mia condizione ad un medico (ma se vado alle poste tutto fila liscio!).
Gioele: Mi sento piccolo davanti a questi due mostri! La scoperta della transessualità, per quanto mi riguarda, è avvenuta su internet e magari anche in posti in cui non era descritta precisamente o con tutti i dettagli importanti. A me sarebbero servite molto e fin dalle elementari realtà in cui se ne parla apertamente, invece di fare un percorso solo ed esclusivamente individuale – che comunque va fatto. Avere davanti esempi e dibattiti sul tema è fondamentale e sono felice che ultimamente questo stia venendo molto fuori.
Kali: Parlando di rappresentazione, io, recentemente, posso dire di essermi sentita rappresentata nei media. Avere il cinema, avere un esempio sullo schermo, è stato cruciale per la mia consapevolezza. Fino al 2014 la rappresentazione delle donne trans è stata ghettizzata o confinata in un ambito ben preciso, ovvero quello del sex-work (con tutto il rispetto per le sex-workers, ma io non mi ci rivedo, alla stessa maniera in cui non mi rivedo, ad esempio, nella professione di un medico). Le donne trans nel mondo del cinema o della televisione erano sempre rappresentate se non in questo modo, comunque come una caricatura, spesso e volentieri interpretate da uomini (basti pensare a tutti i vari Mrs. Doubtfire del caso).
Gioele: per me, il film che vedremo stasera, è stato bello e importante proprio perchè non era niente di che! Proprio questo essere “niente di che” lo ha reso reale e vero, il percorso dei protagonisti non viene mostrato secondo la classica tendenza del cinema o della televisione, tendenza che porta non a mostrare la situazione ma a ostentarla o spettacolarizzarla. Qui viene raccontata la realtà vera e per me è stata una stretta al cuore.