di alberto
Darren Aronofsky mette in scena un dramma psicologico intimo e toccante, che esamina con spietata onestà la condizione umana di fronte ai traumi mai veramente superati. Il modo teatrale in cui gira questo thriller da camera esalta le prove attoriali dei pochi personaggi in scena che brillano e sono a pieno valorizzati.
l’arenamento del cetaceo
La regia statica, che sceglie di ubicare praticamente tutte le scene in una piccola e triste abitazione, e l’alternanza di luci, tra i colori caldi della lampada e i freddi colori grigiastri del maltempo, ci pongono immediatamente davanti una realtà spoglia e decadente. Il rapporto d’aspetto dell’inqudratura in 4:3, simile ad un quadrato, genera un senso di claustrofobia unico che valorizza molto il ruolo, e la corporatura, del protagonista. Infatti Charlie (Brendan Fraser) è l’indiscusso personaggio principale ed è il centro del suo appartamento, un microcosmo che si è costruito e intrappolato dentro successivamente.

La sua condizione, ossia la corporatura gargantuesca derivante da una obesitá morbosa, non gli consente di camminare senza l’aiuto di un deambulatore, richiedendo comunque uno sforzo enorme. La sua forma fisica non gli consente nemmeno di abbandonare l’abitacolo, disordinato e ricolmo di cibo spazzatura. Il protagonista è un professore colto: insegna lettere in un’università online ed è estremamente sensibile e disponibile nei confronti del prossimo, così tanto da appaire indifeso e inerme alla vita.

Charlie ha lasciato la sua famiglia per iniziare una relazione sentimentale con un suo studente di cui è ancora perdutamente innamorato. Il suo partner nel film non appare mai poiché è tragicamente morto suicida anni prima, ma spesso i personaggi lo menzionano direttamente o indirettamente nelle discussioni e si riesce così a inquadrare spiragli della sua vita insieme al protagonista.
La trama inizia effettivamente nel momento in cui il personaggio di Fraser tenta di ricucire un rapporto con sua figlia teenager, ancora estremamente sospettosa e rancorosa nei suoi confronti. Infatti pensa di essere stata a tutti gli effetti abbandonata dal padre dopo il divorzio con la madre.
raccontare un disturbo alimentare
Charlie per ovviare alla sua profonda depressione, probabilmente predisposta, ma molto sviluppata dopo il suicidio del suo compagno, si getta sul cibo prendendo peso a dismisura e perdendo ogni volontà di uscire e vivere una vita decisamente più attiva, come precedentemente al trauma. La forma cronica e patologica di obesità in cui il personaggio di Fraser si presenta è straziante: infatti non solo assistiamo a interminabili momenti di “binge eating”, ma anche le terribili conseguenze sul suo corpo. In questa pellicola, lo sfruttamento di una condizione fisica esacerbata da un’alimentazione sregolata non è solo un fattore scioccante, ma è invece un elemento fondamentale per rappresentare il meccanismo di difesa autoinflitto da Charlie.

Non si tratta, infatti, di una rappresentazione dell’estrema obesità né comica in maniera orripilante come Mr. Creosote nel film Il senso della vita dei Monty Python né grottesca e drammatica come La grande abbuffata di Marco Ferreri. Il cibo spazzatura assume la forma di una droga e la fame nervosa e senza limiti il suo vettore per potere effettivamente provare sollievo, in particolare nei momenti di stress e tensione.
essere outsider
Le caratterizzazioni delle peculiarità caratteriali dei comprimari sono componenti cardine della pellicola, che cerca di sviscerare in un tempo limitato le storie di persone fatte a pezzi dalla crudeltà e dalla meschinità dell’umanità. Uno dei maggiori punti di forza della pellicola è appunto il modo in cui vengono rappresentate le manie e le debolezze dei personaggi: sono tutti emarginati sociali, che si incontrano e si interconnettono tra loro e, soprattutto, con Charlie. Liz (Hong Chau) è un’infermiera. È la persona più vicina al personaggio principale e la sua amica più stretta. Vuole un bene profondo al protagonista, agendo quasi come gli fosse debitrice, e si evince che lo lo aiuti nei quotidiani momenti di difficoltà.

La figlia Ellie (Sadie Sink) ha un rapporto aggressivo e conflittuale con il padre dopo il divorzio. È una ragazza brillante e intelligente, una specie di diamante grezzo agli occhi del padre, tanto che la sua relazione scolastica scritta da piccola sul romanzo “Moby Dick” rappresenta una sorta di ancora di salvezza letteraria per Charlie. Tuttavia, nonostante l’innato acume, la sua eccessiva fascinazione per il macabro tende ad allontanarla dai suoi coetanei adolescenti e a compiere atti violenti e sediziosi.
L’ex moglie Mary (Samantha Morton) ha proibito all’ex marito di avvicinarsi alla figlia dopo la separazione. È una donna stanca, incredibilmente provata dal divorzio con Charlie e dal suo ruolo di mamma sempre messo in discussione da Ellie. Anche se appare solo una volta nel film, si concede ad una cauta introspezione, cercando di avvicinarsi all’ex marito e di comprenderlo ancora una volta, senza riuscirci.

Oltre alle conoscenze dirette legate al personaggio principale, un personaggio secondario presentato nei primi minuti della pellicola è Thomas (Ty Simpkins). Quest’ultimo si definisce un missionario di una setta religiosa locale, tuttavia, dopo essere stato messo alle strette da Ellie, rivela che non è più accettato dalla chiesa in cui ha predicato porta a porta. Alla fine, dopo che ottiene il perdono comunità religiosa a cui appartiene, la sua condizione di outsider viene meno e si rivela a Charlie per il meschino poco misericordioso che probabilmente è sempre stato. Anche se il film puó risultare verboso, il regista dà un enorme spazio alle immagini, alla fisicità e ai movimenti, come quelli di Ellie, che sono cinetici e impetuosi, contrapposti a quelli limitati e goffi del padre.
Aronofsky decide di rendere protagonista un uomo debole e in fin di vita, costantemente disgustato da se stesso, riuscendo così a mostrare nel modo più spassionato possibile cosa vuol dire veramente avere a cuore le persone nonostante tutto.