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approfondimento a cura di virginia maciel da rocha

Chi ha mai detto che i cosiddetti «cartoni animati» sono cosa da bambini? Quest’anno siamo andati a scoprire che cosa ci ha proposto la selezione del Concorto Film Festival, rassegna internazionale di cortometraggi che ogni anno si svolge nel mese di agosto al Parco Raggio e Serra di Pontenure. Dei film in concorso, ecco un approfondimento sui alcuni cortometraggi d’animazione presentati durante la ventiquattresima edizione.

«stone of destiny» (2025) di julie černá

Musical e animazione sono due generi cinematografici abbastanza incompresi: mentre il primo è stato considerato, a lungo e in modo canonico, un genere da “intrattenimento”, il secondo, invece, viene spesso e volentieri relegato alla sfera dell’infanzia, come se il target e l’audience dei prodotti audiovisivi animati non potessero andare oltre una certa età. Julie Černá ribalta questa prospettiva nel suo Stone of Destiny («Pietra del destino»): nel cortometraggio animato, una pietra, a sua volta animata, si interroga sulla propria esistenza e su quale sia il suo posto nel mondo. Elemento naturale statico per antonomasia, la pietra qui diventa incessante fonte di movimento, un po’ confermando gli ideali epicurei che si continuano a ripetere a mo’ di formula nelle scuole superiori: per quanto ricerchi la pace cambiando di luogo, questa Pietra del Destino può trovare il proprio equilibrio solo scavando dentro di sé. Mettendo in musica il suo malessere esistenziale, questa insolita e surreale protagonista pone l’accento su come ci rapportiamo con il mondo circostante, momento esemplificato dall’incontro inaspettato che ha con un cavallo. Alla pietra, però, che rifiuta schiantarsi con la realtà del mondo là fuori, non resta che andare alla deriva e lasciarsi trasportare dal flusso degli eventi circostanti — che non può cambiare e su cui ha raggiunto la consapevolezza di non poter controllare.

«Stone of Destiny» di Julie Černá (Credits: Concorto Film Festival)

«né una né due» (2024) di lucia catalini

Il tempo scorre silenziosamente, ma i suoi effetti sono ben visibili. Reso visivamente con lo sfogliare delle pagine di un diario, Né una né due di Lucia Catalini ripercorre la storia di una famiglia, con tutti gli alti e bassi che ne sono susseguiti. La protagonista del cortometraggio ritrova il quaderno della propria nonna ed è da questa cornice che ha inizio una narrazione a ritroso di quella che è stata una vita passata. Mentre la vita avanza, inarrestabile, le piccole azioni del quotidiano trovano un momentaneo arresto nelle pagine di diario: la foto di un compleanno, i figli cresciuti, una casa che si sgretola. Se non c’è niente di effettivamente eterno nella vita terrena e concreta che la regista decide di catturare con le pagine di diario, l’unica cosa che può restare è la testimonianza che quel qualcosa, un tempo, si sia verificato. Al deterioramento della pagina si contrappone, rendendo tutto mutevole ma immortale, la macchina del cinema: scorrendo, i fotogrammi fissano comunque nel tempo la prova di un’esistenza.

Concorto Film Festival
«Né una, né due» di Lucia Catalini (Credits: Concorto Film Festival)

«long distance» (2025) di iulia voitova

Long Distance è una storia d’amore non convenzionale. Ambientata tra lo spazio e il fondo dell’oceano, le vicende dei due protagonisti si dispiegano in questi due estremi, appunto, di lunga distanza: mentre lei è un’astronauta, lui è un esploratore subacqueo. Il punto di incontro di questa coppia è, secondo la regista Iulia Voitova, la camera da letto; luogo intimo per antonomasia, assume aspetto e forme diversi in base ai sentimenti e ai movimenti dei due personaggi principali. L’ambientazione del letto, infatti, è ricorrente, fino a costituire una sorta di punto fermo tra lo slancio verso l’altro di una e quello verso il basso dell’altro. Lo spazio, da dimensione affascinante e vasta (come abbiamo imparato a considerarlo quando in radio passavano David Bowie ed Elton John), diventa un confine molto netto tra chi sta sulla Terra e chi ne prende le distanze, tema che viene ulteriormente evidenziato dalla contrapposizione cromatica tra il nero del vuoto siderale e il bianco delle stazioni spaziali, luoghi chiusi e protetti, candidi e brillanti. All’opposto di questo ambiente si colloca la profondità dell’oceano ed è nel buio e nel silenzio che i due riescono a ricongiungersi, lontanissimi e insieme al tempo stesso. La luna nella sua parte scura è sempre uguale / Nello spazio, la solitudine è cosa normale cantava Seu Jorge.

Concorto Film Festival
«Long Distance» di Iulia Voitova (Credits: Concorto Film Festival)

«il burattino e la balena» (2024) di roberto catani

La storia di Pinocchio, burattino di legno trasformato per incantesimo in bambino, non è un soggetto nuovo nel cinema. Dai vari adattamenti in fiction, passando per il classico Disney, fino ad arrivare al più recente lungometraggio in stop motion realizzato da Guillermo del Toro, il racconto scritto da Carlo Collodi si presta a più rimaneggiamenti e interpretazioni, a seconda dell’epoca in cui viene realizzato. Roberto Catani nel cortometraggio Il burattino e la balena, già presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, si occupa proprio di attualizzare le avventure del famoso bambino-di-legno; i personaggi che Pinocchio incontra nelle sue avventure, però, diventano simbolo di oscurità e conservatorismo: dalla tardo capitalista balena-fabbrica che mangia e ingloba tutti gli operai che lavorano al suo interno, passando per una schiera senza volto e mutevole, dotata di un “naso intermittente”, che appare e scompare in base al livello di verità proferita. L’umanizzazione di Pinocchio appare, quindi, un paradosso: nel suo divenire in carne e ossa, il burattino non incontra altro che un mondo cinico e un ambiente desolato, l’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe dal progressivo diventare essere umano. Nel mondo contemporaneo sembrano non trovare posto i buoni sentimenti che la storia originale si proponeva di diffondere: non ci sono Fate Turchine ad aiutare Pinocchio nelle sue avventure, ma soltanto la solitudine, in un contesto dove regnano sovrane l’omologazione e lo spaesamento.

«Il burattino e la balena» di Roberto Catani (Credits: Concorto Film Festival)

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