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approfondimento a cura di marco morelli

Ecco un approfondimento sulla 65° edizione del Festival dei Popoli, festival di cinema documentario, svoltosi a Firenze dal 2 al 10 novembre.

«dahomey» (2024) di mati diop

Tra i titoli più attesi di questa edizione del FDP troviamo Dahomey di Mati Diop, che ha trionfato all’ultimo Festival di Berlino, vincendo l’Orso d’oro e aggiungendosi a una prestigiosa lista di capolavori come 12 Angry Men e La Notte. Già conosciuta per Atlantique, vincitore del Grand Prix a Cannes nel 2019, Diop torna a esplorare gli effetti della Storia sui popoli dell’Africa occidentale, questa volta con un documentario. Il film narra il ritorno in Benin di 26 opere d’arte dell’antico regno di Dahomey, trafugate dall’esercito francese nel 1892 e ora restituite dal governo francese.

«Dahomey» di Mati Diop (Credits: Les Films du Losange)

La prima parte del film assume i toni di un documentario archeologico: le riprese seguono il ritorno in patria dei manufatti, molti dei quali raffigurano figure ibride antropo-zoomorfe, dal Musée du Quai Branly – Jacques Chirac di Parigi. Di particolare rilevanza è la statua numero 26, che rappresenta Re Ghezo: tramite un voice-over, la statua racconta il lungo periodo di “prigionia” nel museo parigino, rievocando i ricordi dell’Africa e il desiderio di far ritorno in patria. Questo espediente richiama la dimensione onirica e mistica già presente in Atlantique, dove il ritorno post-mortem dei lavoratori senegalesi simboleggiava la ricerca di giustizia e dignità negata in vita, oltre al legame profondo e inscindibile con la propria terra. In Dahomey, invece, la presa di coscienza delle statue rappresenta l’incarnazione dello spirito degli antenati, riemergendo per fare i conti con i traumi del colonialismo.

Festival dei Popoli
«Dahomey» di Mati Diop (Credits: Les Films du Losange)

La seconda parte del documentario affronta questo tema in maniera più diretta, mostrando un’assemblea studentesca presso l’Università di Abomey-Calavi, in cui si discute delle opere restituite. Numerosi sono i temi sollevati: alcuni studenti riflettono sul fatto che oltre 7000 opere furono trafugate da Dahomey, altri vedono in questa restituzione un tentativo di “ripulirsi la coscienza” da parte di Macron e Talon, mentre altri ancora riflettono su come le statue possano essere utilizzate per rafforzare il senso di appartenenza nei bambini. In generale, emerge l’importanza del rimpatrio delle opere come occasione per i beninesi di interrogarsi sulla propria cultura e sugli effetti, ancora tangibili, del colonialismo francese.

Festival dei Popoli
«Dahomey» di Mati Diop (Credits: Les Films du Losange)

È questa la principale preoccupazione di Mati Diop e il cuore pulsante del film, che ricorda molto Appunti per un’Orestiade africana di Pasolini, nel suo voler mostrare le riflessioni del popolo africano sulla propria storia e rappresentazione. Il documentario si conclude con la statua numero 26 che, dopo essere apparsa solo attraverso dissolvenze, imballaggi e luci spente nel museo, ritorna nelle strade notturne di Cotonou, incarnandosi in una giovane addormentata, quasi a chiudere un ciclo durato 130 anni. Dahomey è ora disponibile nelle sale italiane grazie a MUBI e Lucky Red.

«terra incognita» (2024) di enrico masi

Grande curiosità ha suscitato anche Terra incognita, nuova opera del regista emiliano Enrico Masi. Se nei precedenti film, The Golden Temple e Lepanto, Masi si era concentrato sulla resistenza contro la globalizzazione degli eventi di massa – in particolare le Olimpiadi di Londra e Rio – in questo nuovo lavoro il tema centrale è l’energia creativa. Terra incognita si fonda su un dualismo tra due utopie opposte, collocate nel cuore delle Alpi: da un lato, una famiglia tedesca di sei persone vive in isolamento, lontano dalla società e senza elettricità; dall’altro, l’ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) cerca di replicare sulla Terra l’energia solare tramite la fusione atomica. Questi due percorsi ideali si sviluppano attraverso due viaggi paralleli: la famiglia intraprende un viaggio verso il Canada per fondare una comunità energeticamente autosufficiente, mentre i potenti magneti fabbricati tra Ortona e Marghera vengono trasportati al celebre centro di Cadarache per sperimentazioni nucleari.

Festival dei Popoli
«Terra Incognita» di Enrico Masi (Credits: Festival dei Popoli)

Con uno stile che richiama quello di Herzog – le centrali torreggiano sulla valle come la nave di Fitzcarraldo – e che evoca l’ultimo Frammartino de Il Buco per le riprese nelle cave, Masi dimostra ancora una volta il suo talento di esploratore del mondo e del mezzo cinematografico. Attraverso un linguaggio raffinato e magnetico, il regista riflette sul complesso rapporto tra uomo e scienza, confermandosi come una voce originale nel panorama contemporaneo.

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