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a cura di virginia maciel da rocha

Our expectations were low, ma santo cielo!

Credo sia stato intorno a febbraio, quando, scorrendo le storie Instagram delle persone che seguo, ho visto che l’attore spagnolo (o forse dovrei dire italo-spagnolo?) Francesco Carril aveva postato la foto di una strada che mi era vagamente familiare. Screen dopo screen e ingrandimento dopo ingrandimento – “aumenta e schiarisci” dicono nelle serie poliziesche statunitensi, anche se in realtà, alla fine, bastava solo la consulenza del mio amico Lorenzo, born & raised in Trastevere – scopriamo che l’attore di Dieci Capodanni e di mille altre produzioni spagnole che non staremo qui a elencare si trovava al Pigneto. Che sì, è lontano da casa mia in termini romani, ma comunque è sempre Roma e non tipo Madrid o Valladolid. Carril si trovava in Italia per le riprese di Tre Ciotole, film diretto da Isabel Coixet, tratto dall’omonimo e postumo romanzo scritto da Michela Murgia con protagonisti Elio Germano e Alba Rohrwacher. Chiedo quindi sempre al sopracitato Lorenzo (che salutiamo) se fosse in grado di individuare i successivi luoghi di ripresa del film: ci riesce anche, ma alla fine non siamo mai andati a intercettare il set, cosa che mi avrebbe fatto un po’ sentire come Hugh Grant quando visita Julia Roberts in una villa regency in Notthing Hill (1999). Peccato.

Hugh Grant in «Notting Hill» (1999) / letteralmente quello che voglio essere e fare nella vita

Per una serie di cause e concatenazioni diverse, riesco a recuperare Tre Ciotole solo nel multisala di provincia, situazione che si configura sempre una grande esperienza – non per disdegnare la provincia, ci mancherebbe, ci son cresciuta, ma perchè mi tocca sborsare 9 euro per lo schermo più sbiadito e per la proiezione più bruciata che l’uomo possa mai aver concepito. Multisala Lux di Pistoia, if you are reading this, sistemate schermo e proiettore della Sala Luna: è per il bene di tutti, è per un mondo migliore. Pur sedendomi a caso, riesco a cambiare posto tre volte: nel primo ero illuminata come in una sorta di chiaro di luna, dall’insegna dell’uscita di emergenza, nel secondo dall’insegna della toilette, alla fine trovo la mia pace in terza fila per godermi questo film come praticamente Oppenheimer (2023) in IMAX. Dei romanzi di Michela Murgia ho letto solo Accabadora e non ho veramente la più pallida idea di che cosa tratti questo film: so solo che è stato presentato al TIFF, dove è pure piaciuto parecchio, e in Italia è stato praticamente distrutto dalla critica.

Tre Ciotole
«Tre Ciotole» di Isabel Coixet (Credits: Vision Distribution / Greta de Lazzaris)

Manco a dirlo, questo film l’ho aspettato da quando ho visto quella fantomatica storia e quindi spendo volentieri questi nove euro (non mi è scesa). L’estremo e prolungato voice-over recitato da Mara, la protagonista interpretata da Rohrwacher, finisce quasi per mandarmi fuori di testa e ho apprezzato anche il limitato screen time che si becca il romanissimo Antonio, interpretato da Elio Germano. La storia inizia in medias res con una rottura: Antonio decide di lasciare Marta perchè, evidentemente, la scintilla è svanita. Tutti i difetti sono diventati non più caratteristica su cui riderci sopra, ma ostacoli insormontabili e non c’è altro da fare: dopo un numero non meglio specificato (ma comunque molto alto) di anni di convivenza e un litigio lasciato a metà, ecco che finisce una relazione. Antonio, che di lavoro fa lo chef, sembra annegare i suoi dolori nel ribollito alle ortiche, mentre Marta, insegnante di educazione fisica, acuisce la sua sensibilità stando dietro ad alcune ragazze trascurate dai genitori. Chi le sta dietro, però, è un suo collega e professore di filosofia, un certo Agostini (Francesco Carril): se all’inizio Marta resiste, alla fine decide di cedere alle attenzioni di questo professore che sembra non avere un nome ma solo un cognome (ho pure cercato su IMDb per amore di filologia ma non compare il nome del personaggio).

Tre Ciotole
«Tre Ciotole» di Isabel Coixet (Credits: Vision Distribution / Greta de Lazzaris)

Il turning point della storia, come direbbero i manuali di sceneggiatura, è la diagnosi di un cancro che ormai ha compiuto la sua metastasi nel corpo di Marta. Da questo momento in poi, non solo il film peggiora considerevolmente in termini di narrazione, dialoghi e generale sviluppo della storia, ma Marta decide di abbracciare la vita come non ha mai fatto prima, scrollandosi di dosso tutta la tristezza della rottura che Antonio ha voluto per la loro relazione. E quindi niente, frasi tirate fuori da un blog di aforismi («Voglio solo che qualcuno mi tenga stretta la notte», ci informa questo benedetto voice-over), una canzone extradiegetica a volume spropositato di Mahmood e Ornella Vanoni e altre varie perle costellano la seconda metà del lungometraggio. Dalla storia, densa di temi, potevano essere tirate fuori buone cose, ma purtroppo non si è rivelato questo e Tre Ciotole, convenzionale in quasi tutto quello che si propone di raccontare (Mangia, Prega, Ama ha compiuto quindici anni, anche basta con il luogo comune della donna che riscopre sé stessa pedalando sul lungotevere), rimane un film dal potenziale inespresso.

«Tre Ciotole» di Isabel Coixet (Credits: Vision Distribution / Greta de Lazzaris)

Ora che ho delineato i fundamentals di questa storia, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti. Prima di tutto, evidenziare la mia profonda frustrazione nel vedere che questo film è stato girato interamente sotto casa mia, a Roma, eppure sono riuscita a non accorgermi mai di assolutamente niente. È vero che questo forse rappresenta un indice di integrazione alla capitale da parte mia: i veri romani non si stupiscono di vedere furgoncini e semi-container di rental cinematografici parcheggiati in obliquo a Trastevere nel modo meno logico e funzionale possibile, ma santo cielo! Non ci stupiamo proprio più di nulla, a quanto pare. Roma viene ripresa da ogni angolo possibile – nello specifico, pure soffermandosi davanti alla mia università: l’inquadratura del Biondo Tevere letteralmente la definizione di un’immagine che parla – e quanto si vede che dietro a queste riprese c’è una persona che ancora vede Roma come un bellissimo museo a cielo aperto di rovine e palazzi barocchi! Alla fine è stata anche la cosa che più ho apprezzato del film, la fotografia è impeccabile (congrats, Guido Michelotti) e anche la regia; quando è stata l’ultima volta che un taglio di luce ha illuminato Alba Rohrwacher in preda a una crisi esistenziale stesa sul pavimento del corridoio? E a proposito di corridoi, che bella casa che ha la nostra protagonista, proprio all’incrocio che dà su viale Mastai, che per me è solo dove io prendo l’8 per arrivare prima in centro storico e non farmela a piedi – we are not the same, Marta.

Tre Ciotole
«Tre Ciotole» di Isabel Coixet (Credits: Vision Distribution / Greta de Lazzaris)

Per concludere una nota su due aspetti del personaggio interpretato dal personaggio interpretato da Francesco Carril – perchè noi siamo queste: chiudiamo ad anello, Ringkomposition totale. Intanto, con buona pace del mio amico filosofo Luca a cui voglio un bene dell’anima e che con tanta pazienza ha risposto e risponde alla mia pressoché totale incomprensione di qualsiasi filosofo mi sia capitato sotto tiro di studiare (Heidegger, in particolare) ma se avessi avuto un professore di filosofia del genere al liceo, stiamo pur ben tranquilli che ora potevo recitare la Fenomenologia dello spirito a memoria. Questa nota mi porta al secondo punto: Marta, perdio, ma con questo che ti veniva dietro, ancora stavi a piangere per Antonio?! Io accetto tutto, al cinema ci vado con la willing suspension of disbelief formulata da Samuel Coleridge: mi va bene l’insensatamente spaziosa casa a Trastevere, passi anche il cartonato della star coreana che prende vita, pure che Antonio vada a prendersi un caffè da Cambio (ma chi mai c’è andato?! Mi sembra sempre strapieno di turisti), va benissimo pure la rappresentazione di Roma come città tranquilla e idilliaca dove ci si sposta in bicicletta, ma che tu abbia ignorato il professore di filosofia per tutto questo tempo, permettimi di dire, Marta, proprio no.

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