intervista a cura di marco morelli
In occasione della 17^ edizione di France Odeon, festival del cinema francese a Firenze, abbiamo avuto l’onore di intervistare Olivier Assayas. Eclettico regista internazionale, volto centrale del cinema europeo e intellettuale a tutto tondo, il francese ha presentato la sua ultima fatica Le Mage du Kremlin già in concorso a Venezia 82. L’intervista è stata preceduta da una ricca masterclass assieme al co-sceneggiatore Emmanuel Carrère, in cui è stato spiegato il processo creativo dal romanzo di Giuliano Da Empoli al montaggio del film. Sono inoltre emerse discussioni sulla trasformazione del potere nella politica odierna, il ruolo della mitologia nella narrazione di Putin e l’amore di entrambi gli autori per Machiavelli.

Grazie mille per essere qui con noi, Olivier. Sembra che nel film si incontrino due suoi grandi interessi: la parte politica, presente in Carlos e Wasp Network, e le meta-rappresentazioni. In particolare, Vadim [Baranov, il protagonista del film, ndr] parte dall’essere un regista di teatro a un potente executive televisivo. Quanto crede nella relazione tra messinscena e potere politico?
OA: Non ne parliamo mai abbastanza, ma ho sempre l’impressione che il film sia diventato una visione un po’ pessimistica degli errori della mia generazione. Da giovane studente sono stato influenzato dalla musica punk-rock, ma questo periodo di energia e libertà si è persa quando tutti i miei amici del periodo sono andati a lavorare in una televisione che definisco berlusconiana per semplificare. Tanti, purtroppo, hanno continuato la loro evoluzione verso la destra e, forse, l’estrema destra quando sono diventati dei politici in un certo senso trumpisti. Sono sempre stato interessato all’osservazione di questo fenomeno e al modo in cui, da un idealismo giovanile e dalla fede verso l’arte come potere trascendente, la società della mia generazione si è spostata sempre più a destra e sempre più lontana dall’arte.
A proposito di questo, anche nella masterclass ha riferito come Ksenia [unico personaggio femminile del film, ndr] sia la personificazione di queste speranze giovanili già viste in L’eau froide e Après mai. Vede dei parallelismi o delle similitudini tra i giovani francesi e russi di queste epoche?
OA: Sì, ho cercato di spiegarlo anche prima, nella masterclass. Per me, Ksenia rappresenta la libertà che è stata persa nella trasformazione anti-democratica della Russia contemporanea. In particolare, lei incarna la libertà in un mondo in cui si è persa: il maggior sviluppo del personaggio rispetto al libro è stata un’invenzione mia, non di Emmanuel, poiché è il tema che ho trovato più intimo e personale nella vicenda.

Ha già mostrato un interesse specifico nel rappresentare gli effetti della disgregazione dell’URSS sulla politica mondiale, come già visto in Carlos e Wasp Network. Cosa la lega a quel periodo?
OA: Sicuramente è stato l’evento politico più potente che ho osservato nella mia età adulta. Sono affascinato da personaggi che sono presi nel maelström della loro epoca; tuttavia, la differenza è che in un film come Le Mage du Kremlin parlo direttamente del nucleo del potere e di ciò che accade a chi lo esercita direttamente. Quello che invece mi ha appassionato di un personaggio come Carlos è stato vedere come sia stato trasformato dai cambiamenti del potere e dai mutamenti storici della sua epoca: è come se Carlos fosse un sismografo che rivela in modo periferico, non centrale, queste trasformazioni.
Il suo cinema ha spesso parlato di fantasmi come in Personal Shopper e Irma Vep. Possiamo considerare Baranov un fantasma che aleggia nelle stanze del Cremlino?
OA: Ci sono meno fantasmi in questo film [sorride, ndr]. Forse li rivedremo nel prossimo, dato che fanno parte della mia ispirazione cinematografica e un po’ mi mancano [ride, ndr].
Ho trovato molto interessante il modo in cui rappresenta la manipolazione dell’immagine pubblica, per esempio durante le Olimpiadi di Sochi 2014. Avendo lei scritto per i Cahiers du Cinema come reputa questo fenomeno, da sempre biasimato da critici come André Bazin?
OA: Penso che sia sbagliato fare politica attraverso l’immagine cinematografica. L’unica cosa che può fare l’arte è porre domande: le risposte sono per i politici, i giornalisti e gli idioti [ride, ndr]. Credo che quando trattiamo di come il mondo si trasforma nessuno ha la risposta giusta: tutti noi osserviamo il contemporaneo e siamo d’accordo sul fatto che il mondo si stia trasformando in modi molto disturbanti. Certamente io non ho la soluzione: ciò che posso fare, nel mio piccolo, è giusto osservare il mondo, in modo molto modesto, all’interno di un dibattito.

Prima ha fatto riferimento ai suoi gusti musicali citando il punk rock. Nel film compaiono due pezzi di Franco Battiato, così come anche in Carlos era presente Dreams Never End dei New Order. Quanto, secondo lei, questa musica elettronica si sposa con la frammentarietà dell’ultimo film e, in generale, con il suo cinema?
OA: Sono sempre stato interessato alla musica elettronica: anche quando ho girato il mio primo cortometraggio [Copyright, ndr] ho affidato la colonna sonora a Jacno, uno sperimentatore e pioniere della musica elettronica negli anni ‘70: all’epoca era un genere nuovissimo e innovativo. Sono stato anche abbastanza amico di Thomas Bangalter dei Daft Punk; dunque, la musica elettronica è un genere che ha da sempre molta importanza nel mio cinema. Nel caso de Le Mage du Kremlin ho avuto la sensazione di essere limitato: se negli altri film potevo utilizzare l’energia del punk-rock, con Vladimir Putin non poteva funzionare. Putin è un personaggio troppo scuro, troppo drammatico per essere rappresentato dall’energia, anche ludica, della musica punk-rock. Tuttavia, ho scoperto questo ultimo album di Franco Battiato, Joe Patti’s Experimental Group, che non conoscevo. L’album utilizza temi molto primitivi e minimali, con poca strumentazione: aveva un linguaggio elettronico molto semplice e diretto, che funziona benissimo nel contesto, Inoltre, desideravo omaggiare un genio musicale della nostra epoca.

Domanda finale. I suoi ultimi due film, questo e Hors du temps, sembrano molto diversi tra loro: uno è una grande produzione internazionale in inglese, l’altro un film più d’essai e “piccolo” in francese. Dove preferirebbe cimentarsi in futuro tra le due opzioni?
OA: Anche il prossimo film sarà in inglese, ma non sarà una produzione ambiziosa come Le Mage du Kremlin che ha ricevuto un budget molto importante. Voglio fare un film un po’ più vicino al format di Personal Shopper: un budget più piccolo, una produzione europea ma con un cast anche americano.
In attesa del prossimo film (forse) con i fantasmi, ricordiamo che Le Mage du Kremlin sarà distribuito nelle sale italiane dal 12 febbraio 2026 da 01 Distribution. Ringraziamo di cuore Olivier Assayas per la generosa disponibilità, France Odeon ed Elisabetta Castiglioni per averci concesso questa preziosa intervista.


