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intervista a cura di virginia maciel da rocha

Enea Colombi e Nicolò Bassetto sono due registi, rispettivamente classe 1997 e 1998. Attivi nell’ambito dei videoclip, saranno protagonisti della seconda serata della stagione di Indocili, rassegna di cinema indipendente curata da Tafano Cinema. In vista della masterclass che terranno al Cinema Beltrade il prossimo 4 novembre, abbiamo scambiato due chiacchiere sul loro lavoro, sulla nostalgia e su come l’AI potrebbe fare il giro e (forse?) riportarci con i piedi per terra.

Enea Colombi Nicolò Bassetto
«Non chiamarmi bella» di Nicolò Bassetto

Partiamo dall’inizio: entrambi siete registi attivi nel mondo del videoclip musicale, lavorare in questo settore è sempre stato quello che volevate fare?

Nicolò: «In realtà no, non avevo programmato dall’inizio di fare questo lavoro: non avevo idee chiare da bambino e nemmeno quella che viene chiamata vocazione. Unendo vari puntini tra le cose che amavo, alla fine, con il tempo, mi è arrivata questa opportunità: lavorare con le persone e collegare menti e capacità nel creare qualcosa e avere a che fare con il cinema. All’inizio ho lavorato molto con la moda e poco con il mondo dei videoclip, poi, con il passare del tempo, questa tendenza si è invertita. È un ambiente che consente molto di lavorare con un certo grado di sperimentazione, almeno rispetto al mondo della pubblicità, in cui bisogna attenersi alle istruzioni in maniera molto precisa. Nel mondo del videoclip ho notato una maggiore fiducia nei confronti della figura del regista e questa è una gran bella cosa. Il processo di partire da un elemento musicale e sonoro e tradurlo in immagine è molto affascinante, alla fine, anche perchè consente di farsi trasportare dalle sensazioni e quello che la musica trasmette».

«Non chiamarmi bella» di Nicolò Bassetto

Enea: «Sin da quando ero bambino ho sempre avuto un fortissimo legame con le tecnologie, soprattutto con internet, che ho sempre considerato un po’ come una mia casa e una finestra su mondi che non conoscevo. Giocavo molto al PC e guardavo tantissima televisione e music video, facevo esattamente parte di quell’epoca a cavallo tra analogico e digitale e di quella generazione che poi è stata chiamata generazione MTV. Ho seguito la nascita dei primi youtubers che facevano informazione sul mondo del film e del video e ho unito tutto questo alla passione per il cinema – sia per l’esperienza in sala che, banalmente, invitando gli amici a casa per vedere un film, fino ad arrivare alle mattinate a scuola in cui vedevamo i film, proprio su quella televisione a tubo catodico! A tredici o quattordici anni mi è stata regalata una piccola videocamera e da lì ho iniziato a riprendere e montare e non mi sono più fermato. Lavorare nel mondo del videoclip è stato casuale, nella provincia da cui provengo non ci sono molte occasioni del genere e l’unico modo per fare qualcosa era di metterci mano direttamente e fare qualcosa di mio. Il mondo della musica è arrivato come diretta conseguenza, il campo del videomaking consentiva ai filmmakers di darsi da fare e sperimentare ma non è mai stato per me un progetto di vita e sicuramente non è un progetto a lungo termine. Il videoclip è una parte di percorso che aiuta moltissimo a esprimersi e dà grande libertà, sicuramente un ottimo punto di partenza (e d’arrivo, volendo) ma sento di aver bisogno di sperimentare molto e non mi sto auto-relegando a un singolo ambito. Proprio per questo motivo è nata l’esigenza di girare un cortometraggio nella provincia in cui sono nato, per raccontare quello specifico tipo di realtà. Anche molti dei miei videoclip sono girati in quella zona, sono molto legato a quell’ambiente e soprattutto dopo il Covid ho avuto consapevolezza di quello che volevo fare».

Enea Colombi Nicolò Bassetto
«Ora che non ho più te» di Enea Colombi

Il metodo di fruizione del videoclip a cui siamo stati abituati – parlo proprio dal punto di vista della nostra generazione – è andato piano piano a scomparire. Da un tipo di fruizione passivo, dato dalla presenza del medium sui canali televisivi, con il tempo siamo arrivati a una fruizione di tipo attivo, visto che per poter visionare un video musicale serve andare a cercare attivamente – e principalmente, su internet – l’oggetto della nostra curiosità. Non solo il mondo del videoclip ha subito una migrazione di piattaforme, quindi dalla tv all’internet in senso lato, ma ha visto sempre una più forte commistione con altri formati e modalità di espressione artistica. Mi riferisco, soprattutto, a un’ibridazione sempre più evidente con il mondo del cinema – dal mediometraggio diretto da Mike Mills per i National, fino alla pervasività della pellicola anche in ambito estremamente pop mainstream, come si vede nei video di Sean Price Williams per Addison Rae.

Enea: «È un discorso complesso: in generale, il pop all’estero e la lingua anglofona aiutano moltissimo a una comprensione universale. La musica italiana pop è costruita su misura per un pubblico italiano e spesso, negli Stati Uniti, recriminano a noi italiani che pensiamo troppo in piccolo. Le possibilità di ricezione sul panorama italiano sono nettamente inferiori: quello che viene prodotto e realizzato in Italia, genericamente resta confinato qui – almeno per quanto riguarda i videoclip, poi per il cinema è un altro discorso. Non abbiamo molto bisogno di sperimentare, il pubblico si conosce e non è nemmeno una questione di mancanza di coraggio, ma forse di adeguamento alle references esterne, che fanno da collante nella produzione del videoclip. Si cerca spesso di portare in Italia quello che funziona all’estero ma quello che ha avuto successo fuori non è detto che funzioni anche qui, anche per dei parametri ben precisi, tra cui la lingua impiegata, il diverso budget e la realness dei contenuti. Per quanto riguarda il cinema, poi, è vero che il discorso è ancora molto “romacentrico” ma credo che proprio a Milano, dagli ultimi anni, si stia sviluppando una corrente di cinema indipendente molto forte. Il problema di Milano, oggi, è molto legato al tipo di sovvenzionamento da parte delle case di produzione: non mancano i talenti e non mancano i finanziamenti, ma si preferisce dare contributi al mondo pubblicitario o del videoclip ed è un peccato perchè vedo lavori di molti registi decisamente validi».

Enea Colombi Nicolò Bassetto
«Fiamme negli occhi» di Enea Colombi

Nicolò: «Il tema della lingua, di cui parlava anche Nicolò, è una questione che sento molto, soprattutto nel cinema – ho fatto sempre un po’ di fatica a seguire il cinema italiano proprio per motivi legati alla lingua. Su Milano si stanno muovendo molte cose e il più delle volte sono progetti che arrivano dalla provincia: luoghi dominati dalla stasi e dalla noia ma in cui, comunque, si trovano delle piccole cose da raccontare e in giro si trova molta poesia. Il cortometraggio che ho scritto è tutto ispirato al paese in cui trascorro del tempo in Veneto, ai personaggi che lo abitano e ai luoghi che frequentiamo. Milano ha un approccio diverso, rispetto a Roma, nel gestire questo tipo di arte: alla lunga, sì, Roma è Roma e non si può ignorare per un discorso storico e culturale, ma si verificherà anche questo tipo di inversione nel cinema. Il tema dell’imitazione, di cui appunto parlava Enea, è qualcosa che sento molto nel nostro lavoro: fino a che qualcuno fuori dall’Italia non ha fatto il tentativo e si è visto funzionare, qui in Italia è difficile portare qualcosa di veramente nuovo – a meno che non si trovi un artista tanto coraggioso che consenta di uscire dal percorso pre-tracciato dalle case discografiche».

Enea Colombi Nicolò Bassetto
«Non chiamarmi bella» di Nicolò Bassetto

Abbiamo parlato di tecnologie e di tecnologie in costante cambiamento, qual è la vostra posizione, in quanto artisti, sull’intelligenza artificiale? Da una parte, in questo mondo, viene considerata un puro vezzo creativo con cui sperimentare liberamente, anche per produrre qualcosa di fine a sé stesso; dall’altra, invece,

Enea: «È un argomento molto caldo e sentito e secondo me siamo davanti alla più grande rivoluzione tecnologica degli ultimi dieci anni, forse dopo l’arrivo dell’iPhone, ecco che ci troviamo davanti a qualcosa di veramente game-changing. Il rischio vero sarà di non vedere più il confine tra cosa ha fatto l’uomo e cosa no, sarà molto difficile arrivare a una distinzione netta e in questo momento credo che, anche nei videoclip e nei commercial, tutto quello che poteva essere considerato astratto perda un po’ di fascino agli occhi del pubblico, sempre più abituato alla perfezione e all’estremo realismo delle immagini. Questa rivoluzione tecnologica, però, penso che riporterà l’uomo al centro di tutto: l’artigianalità della mano dell’uomo verrà sempre più sentita e tornerà ad avere una sua rilevanza nel mondo dell’arte. Non mi spaventa molto dal punto di vista tecnico, questo tipo di tecnologia, ma dal punto di vista sociale sì!».

«Fiamme negli occhi» di Enea Colombi

Nicolò: «Mi è capitato, a volte, di chiedermi come facessimo certe cose senza il supporto dell’intelligenza artificiale ed è proprio questa la domanda che mi spaventa, dato che con questi strumenti la nostra vita va in una direzione sempre più facile e semplice da vivere. La progressiva semplificazione di qualsiasi aspetto del quotidiano, forse, è il tema che più sento quando si parla di intelligenza artificiale, il dover usare sempre meno il cervello si appoggia a questa idea di “server esterno” che compie determinate azioni al posto nostro. La conseguenza evidente di queste implementazioni tecnologiche è la crescente incapacità “umana”, poi, di fare le cose. C’è un prima e un dopo dal punto di vista estetico anche in questo caso, un po’ come quei film che hanno talmente segnato l’estetica del cinema da cambiarlo. Giusto per fare un esempio, oggi il Nintendo DS viene considerato un pezzo di nostalgia e che provoca in noi un certo fascino, mi chiedo tra vent’anni quali saranno le nostre posizioni sulla prima intelligenza artificiale, non quella perfetta ma quella che prendeva input e li restituiva in modo completamente caotico, è come se ne sentissi già una nostalgia futura, che deve ancora arrivare. Oggi l’intelligenza artificiale ci provoca un certo disagio, che possiamo assimilare all’uncanny valley: è qualcosa che assomiglia e replica in maniera molto fedele il mondo che conosciamo, ma che non lo è effettivamente e il risultato, in un certo senso, è straniante. Questa paura, però, potrebbe riportarci a un punto in cui reclamiamo e necessitiamo di cose vere».

Enea Colombi Nicolò Bassetto
«Ora che non ho più te» di Enea Colombi

Quello che dici, Nicolò, mi riporta un po’ alla mente il tema della pellicola cinematografica: dopo anni e anni di direttori della fotografia che, vedendo la transizione al digitale, hanno cercato di ricreare un’immagine perfetta “ripulendo” la grana con cui per decenni hanno lavorato, quasi arrivo a provare un fastidio per l’estrema fluidità e definizione dell’immagine. Insomma, finisco per rimpiangere un formato, un’estetica che non ho mai veramente vissuto, dato che per la mia generazione quasi non è esistita la pellicola – se non come formato successivamente recuperato e riportato in vita.

Nicolò: «Ho sempre avuto un grande problema con il digitale! Tende all’iperdefinizione e a una definizione addirittura maggiore di quella che può raggiungere l’occhio umano. La nostalgia è un tema che fa molto parte di me e mi piace molto raccontarla, ma sì, la pellicola ha proprio quel potere di evocare una sensazione di ricordo. Se noi andiamo a scavare dentro un ricordo che abbiamo, non è definito ma è pieno di grana e in quei termini è molto più umana la rappresentazione in pellicola che quella in altissima definizione, tocca qualcosa che assomiglia a un procedimento che conosciamo molto bene».

Enea: «Del resto, OpenAI ha fatto una campagna per Chat GPT completamente in 35mm!»

Enea Colombi Nicolò Bassetto

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