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approfondimento a cura di chiara guarino

Con la locuzione hot take si fa riferimento, nel mondo del cinema, a una ripresa catturata “inavvertitamente” – in grado di rivelare il carattere spontaneo della recitazione. In editoria, indica un’opinione onesta e scritta prima di un’ipotetica scadenza, su un tema, appunto, caldo.

l’originale prevedeva paul dano: siamo anche queste

A febbraio uscirà l’ultima versione cinematografica di Cime Tempestose, questa volta attraverso la lente della regista Emerald Fennell, già conosciuta nel mio circolino per Una donna promettente e Saltburn, o, per quello di mia mamma – grandissima fan di The Crown – come Camilla Parker-Bowles nella terza e quarta stagione della serie tv sulla corona inglese.

Qualche mese fa erano uscite le prime immagini dal film, quelle sulla scogliera, con Margot Robbie tutta in nero a sfidare il vento e Jacob Elordi di profilo che con un ghigno svelava un dente d’oro. Oltre a constatare che questa immagine mi avrebbe alterato la chimica del cervello, non mi ero soffermata più di tanto, e non conoscendo la trama il mio primo commento a caldo fu solo ahhh, ancora loro. Non fraintendetemi, apprezzo molto entrambi – anche in questa magnetica pubblicità di Chanel con Veridis Quo dei Daft Punk in sottofondo – ma ultimamente mi chiedo se dormano mai, dato che sono sempre nelle sale cinematografiche.

adv (purtroppo) non pagato

Di recente leggevo un articolo, non ricordo la testata, che spiegava le ragioni dietro al fatto che vediamo sempre gli stessi volti nel cinema mainstream degli ultimi tempi: Elordi e Robbie in primo luogo, ma anche Chalamet, Butler, Mescal, Zendaya, Pugh, Pascal, Sweeney, eccetera. Che oggi il fenomeno sia molto visibile perché siamo bombardati da campagne di promozione sui social è innegabile, ma direi proprio che prima non funzionasse diversamente, e, in ogni caso, ciò non toglie che siano quasi tutti molto bravi. Questo atteggiamento polemico, francamente svogliato e inconcludente, si è dissolto nel momento stesso in cui ho visto il trailer di Cime Tempestose per la prima volta: da allora, l’attesa per questo film è diventata una piccola ossessione. Non solo, ha anche contribuito a prolungare una brat season che porto avanti con devozione liturgica da quasi un anno e mezzo, come può testimoniare la mia cronologia Spotify (non l’algoritmo che mi vede far partire Girl it’s so confusing per la xxx volta e mi chiede se faccio sul serio). E sì, nonostante la delusione di essere stata definita tutto fuorché brat da un gruppo di critici improvvisati in un bar della riviera ligure quest’estate, io resto una fan fedele dell’album e di tutto l’universo che ha creato.

Fall Fall Fall in love again and again. Le parole di Everything Is Romantic di Charli XCX risuonano nel trailer di Cime Tempestose come una dichiarazione d’intenti: tutto è romantico, nel senso più crudo, caotico e bellissimo del termine. Le immagini stroboscopiche che ci vengono mostrate in quel minuto e mezzo rivelano una trama molto più hot di quello che ci si potrebbe aspettare da un racconto scritto a metà 1800. È proprio questo accostamento ad avermi incuriosito perché si dà il caso che i film in costume rivisitati in chiave moderna, magari con musica contemporanea, siano esattamente my kind of shit. Non ho potuto fare a meno di pensare al cult Marie Antoniette di Sofia Coppola e ancora di più al fatto che anche molte protagoniste dei film della regista – prima fra tutte la regina francese ma anche la versione malefica di Emma Watson in The Bling Ring – avrebbero potuto tranquillamente abitare il video musicale di 360 insieme a Chloe Sevigny, Julia Foxx e Alex Consani.

Ad ogni modo, il trailer mi ha invogliato a riprendere in mano il romanzo. Venendo da un tentativo fallito di lettura di Paul Auster, mi ero quasi dimenticata di quanto potessero filare lisce certe storie e quanto questo mi permettesse di immergermi profondamente nel racconto. Per chi non lo sapesse – senza fare spoiler – la storia segue le vicende di due famiglie per qualche decennio tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. I protagonisti sono Catherine Earnshaw e Heathcliff, praticamente prelevato dalle strade di Liverpool dal padre di Catherine in seguito a un viaggio nella città portuale e portato con sé a Wuthering Heights – in italiano Cime Tempestose appunto, la tenuta della famiglia. Il tutto è ambientato nella desolata brughiera dello Yorkshire che è quell’habitat che studiavamo alle elementari insieme a tipo la steppa, la taiga e la tundra e ci chiedevamo a cosa diavolo sarebbe servito sapere che era un terreno arido e acido ma finalmente vi svelo la sua utilità: conoscere l’aspetto di questo paesaggio ci fa capire che nel libro di Emily Brontë è una meravigliosa metafora ambientale dei caratteri selvaggi dei due protagonisti.

Bello no? Nel libro le vicende sono raccontate da Nelly, la governante di casa Earnshaw: una narratrice tutto fuorché imparziale perché ricostruisce la vicenda anni dopo, filtrandola attraverso la sua memoria, i suoi pregiudizi e le sue emozioni. Per di più si capisce subito che Nelly non ha molto in simpatia Catherine sebbene l’abbia cresciuta: la definisce infatti disobbediente, egoista e insolente. Catherine passa le giornate della sua pre-adolescenza a correre nella brughiera con Heathcliff e a fare quello che le passa per la testa, in un’epoca in cui chiaramente ci si aspettava un comportamento molto diverso dalle ragazze. Solo conoscendo il personaggio si può capire quanto abbia senso accostare un brano dell’album di Charli a questa produzione: Catherine non può che essere una brat ottocentesca, ribelle, impulsiva, viziata. È proprio qui che sta il suo potenziale contemporaneo: è un personaggio intriso di provocazione, desiderio e autoconsapevolezza estetica, più desiderante che desiderabile, come avremmo imparato da Luce Irigaray più tardi.

Cime Tempestose
walk to the studio soaking wet / ACAB tag on a bus stop sign

Ed è, secondo me, soprattutto questo desiderio a renderla così relatable e moderna. Ad esempio, non appena ho finito di leggere questo passaggio mi sono venute vampate di calore stile Harmony:

«Se mi trovassi in Paradiso, Nelly, sarei infelice all’estremo […] ho sognato una volta di esserci […] il Paradiso non sembrava il posto giusto per me; e mi spezzava il cuore per il gran piangere, tanto ero desiderosa di tornare sulla terra; e gli angeli si adiraravano a tal punto che mi scaraventavano fuori, nel bel mezzo della brughiera di Cime Tempestose, dove mi svegliavo piangendo di felicità […] Mi sentirei umiliata a sposare Heathcliff adesso, e lui perciò non saprà mai quanto lo amo. Non lo amo perché è bello, Nelly, ma perché è ancora più uguale a me stessa di quanto possa esserlo io. Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la mia sono identiche […].»

In pratica qui Catherine parla per la prima volta della sua passione per Heathcliff, raccontando un sogno che, riletto oggi, è di un erotismo clamoroso. Cioè: immaginatevi una donna di due secoli fa che dice no raga mi sa che in Paradiso non ci posso stare perché penso tutto il tempo a sc*pare nella brughiera. Stupendo. Ancora di più se penso che magari è esattamente quello che pensava Emily Brontë di sé stessa. Più avanti, per ribadire quanto sia brat, Catherine si troverà a fare delle scelte e opterà per il puro amor proprio, mossa da un misto di calcolo e desiderio, ma sempre alle sue condizioni. In una certa misura non si adatta ma fa sì che siano gli altri ad adattarsi a lei.

Cime Tempestose
base meme semplicemente stupenda a cui penso molto più del normale nella mia vita quotidiana

Al di là della trama molto allettante, a me bastava la regia per essere incuriosita. Se vogliamo entrare nel merito, difenderò tiepidamente Saltburn – che comunque non mi è dispiaciuto (vivo per qualsiasi film includa nella colonna sonora Time to Pretend dei MGMT) mentre ci sarebbe più da dire su Una donna promettente. Appena lo finii, pensai: “Ok, mi è piaciuto molto.” Poi, vedendo che su Letterboxd le recensioni non erano le solite due righe geniali (grazie internet per la cultura memetica 🙏🏻) ma veri e propri saggi, dovetti approfondire. E alla fine concordo che sì, la trama è da problematizzare, e sì, sarei stata molto più soddisfatta se Cassandra avesse ucc1s0 tutti quei porci con la sua tecnica da adescatrice anziché affidare alla polizia l’onore dell’arresto (sinceramente, l’unica falla nel progetto di Cassandra è pensare che la polizia fosse in grado di fare giustizia).

Cime Tempestose
yeah… it’s murder on the dancefloor

Tuttavia, come mi era successo con La ragazza della palude dopo aver letto decine di commenti delusi o ipercritici, ho deciso che anche in questo caso preferivo selezionare e trattenere solo ciò che per me ha avuto un significato, e lasciare andare il resto con un po’ di clemenza. Per questo non sarò mai una critica cinematografica: faccio molta più fatica a indignarmi per la frangetta sempre pulita e perfetta della protagonista interpretata da Daisy Edgar-Jones – che effettivamente nel film vive in una baracca in mezzo a una palude – che a esultare rumorosamente alla fine del film, quando viene assolta a processo per un crimine che in realtà aveva commesso.

Tornando a Una donna promettente, un utente su Letterboxd ha scritto che la faccina “:)” nel messaggio finale di Cassandra rovinava tutto, ridicolizzando quasi la missione della protagonista. In realtà, su questo particolare punto non mi sono trovata d’accordo, anzi credo che quell’emoticon abbia avuto una funzione estremamente distensiva, dopo tutto il nervosismo che mi ero fatta durante il film. Mi ha ricordato che non è eticamente sbagliato godere di queste vittorie fittizie su un tema che mette così tanto in ginocchio la mia lucidità e apertura al dialogo. Ovviamente non sto dicendo di compiere vendette personali o atti irresponsabili per farsi giustizia da sole ma tipo che se siete delle liceali che camminano nei vicoli di Genova un venerdì sera per divertirsi e basta (tratto da una storia vera ovviamente) e un cinquantenne bavoso vi fa “un complimento” ci sta rispondergli di merda finché non tace. Essere spettatrice di questa scena e vedere apparire quell’emoticon mentre parte Angel of the Morning alla fine di Una donna promettente mi hanno regalato, semplicemente, benessere.

Cime Tempestose
promising young woman

Dopo aver visto questo film e alcuni altri ho riflettuto parecchio sulla vendetta “femminile”. Metto le virgolette perché distinguere vendetta maschile vs. vendetta femminile mi sembra già di per sé una trappola ma facciamo che si tratta semplicemente di attuali codici narrativi differenti… Per me c’è qualcosa di profondamente liberatorio nel vedere una donna trasformare la rabbia in azione sullo schermo. Quando vidi Gone Girl nel 2015, nel cinema di quello stesso paese della riviera ligure dove mi hanno definita «per nulla brat» questa estate, pensai: mizze, Amy, sei proprio matta. Ma allo stesso tempo uscii dalla sala entusiasta.

Cime Tempestose
(un’altra) promising young woman

Anche Kill Bill è stata una pietra miliare per la costruzione della mia coscienza estetica e morale della vendetta: Beatrix Kiddo che uccide l’infermiere Buck rimane uno dei momenti più catartici della mia filmografia sul tema. Allo stesso tempo, trovo profondamente ingiusto che alle protagoniste di queste storie si chieda sempre di accompagnare la loro vendetta con un discorso femminista esplicito e coerente. Mi fa pensare che anche nella narrazione venga pretesa più aderenza ideologica dai personaggi femminili che da quelli maschili. È come se anche nella finzione le donne debbano sempre spiegare perché fanno qualcosa, e mai semplicemente farlo. Per questo vado sempre molto cauta quando si tratta di classificare i film come “femministi” o “non femministi”. Mi interessa molto di più ciò che evocano: la rabbia, la soddisfazione, la libertà – anche solo per la durata di una scena.

Cime Tempestose
eh sì, io ascoltando proprio chi pensate che sia

Fa riflettere che esista un sottogenere cinematografico a sé sulle donne che si vendicano dopo essere state stuprate: il rape-and-revenge. Questa categoria, che si inserisce nel filone dei film d’exploitation ovvero che sfruttano temi caldi o di forte impatto emotivo, mi fa provare sentimenti ambivalenti. Da una parte – in un mondo in cui si fa ancora molta fatica a tracciare e condannare questi crimini dal punto di vista legale (ma anche morale) – trovo potente vedere donne che si fanno giustizia da sole. Dall’altra mi irrita che questo genere sia in parte la constatazione del fatto che una delle scintille più plausibili della vendetta femminile sia lo stupro mentre gli uomini, nella narrativa, si vendicano per questioni infinitamente più banali. Se manovrata male è una narrazione con un sottotesto sessista: come se alla donna spettasse l’evento che metterei subito prima dell’uccisione per legittimare la propria rabbia, mentrel’uomo può incazzarsi – e agire – per molto meno.

Ad esempio, in Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, José Arcadio Buendía (senior senior) uccide il compaesano Prudencio Aguilar semplicemente perché quest’ultimo va in giro a dire che José Arcadio non va a letto con sua moglie Úrsula, cosa peraltro vera perché avevano paura di generare un figlio deformato. Questa vendetta per una questione d’onore e di puro pettegolezzo è il punto d’origine di uno dei miei libri preferiti, ma messo così fa sorridere. Ora, moltissimi film di questa categoria sono un po’ trash ma penso che a volte la maestria stia nel restare all’interno dei confini del genere facendo però qualcosa di superiore. È il caso, secondo me, di Revenge di Coralie Fargeat, stessa regista di The Substance. Mi ha fatto pensare un commento di Letterboxd sotto questo film che diceva che molto spesso l’attenzione e il tempo che i/le regist* dedicano alla scena dello stupro è inversamente proporzionale alla qualità della trama (tranquilli Bernardo e Gaspard non sto parlando di voi…). Ebbene, in questo film lo stupro è a malapena mostrato.

La Jen protagonista di Revenge è peraltro un’erede diretta di Beatrix Kiddo: quando riesce a rialzarsi completamente zozza di sangue e terra (francamente ganzissima) con l’ostinazione di chi non ha assolutamente intenzione di finirla lì non ho potuto non pensare a Uma Thurman che esce dalla terra del cimitero dove era stata seppellita nel secondo capitolo del film di Tarantino, momento quasi mitologico di questo filone. Inoltre, ho trovato oggettivamente iconica la scena nella caverna in cui Jen organizza la sua vendetta from the scratch tra funghetti allucinogeni e lattine di birra con l’aquila calva sopra.

Ma cosa c’entra tutto questo con Cime Tempestose? Quasi nulla: è stato un percorso mentale più che un collegamento narrativo diretto. Forse potrei giustificarmi dicendo che il filo che lega tutto è la stessa questione di fondo: come vengono raccontate e percepite le donne che si ribellano, che non obbediscono, che si arrabbiano o che scelgono la vendetta? È una domanda che attraversa Revenge, Una donna promettente, Gone Girl, Kill Bill e ho pensato che tutti questi film influenzeranno un minimo il modo in cui guarderò Cime Tempestose. In alternativa, potrei proporre questa riflessione come punto zero di una rivalsa collettiva se il film di Fennell farà cagare.

hey girl what’s up how you’ve been?

Nell’attesa di capire se ci toccherà fare così o potremmo serenamente loggare il film con più di 3 stelle su Letterboxd (la soglia della dignità nelle recensioni) consiglio caldamente di sciogliere i muscoli imparando la coreografia ufficiale della canzone Wuthering Heights di Kate Bush, io mi sono divertita molto. Ancora di più però mi son divertita a vedere il video The most Wuthering Heights Day Ever, che mi ha fatto teneramente pensare a quando, da pre-adolscente, pensavo che i flash-mob sarebbero stati una componente molto più rilevante nella mia vita di quanto sono effettivamente stati.

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