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intervista a cura di virginia maciel da rocha

Lucia Catalini, classe 1998, è una regista d’animazione italiana. Il suo corto di diploma all’ISIA di Urbino, Né una né due, già nominato ai Nastri d’Argento 2025 nella categoria animazione, è stato presentato in concorso durante la ventiquattresima edizione del Concorto Film Festival. In occasione della rassegna di cortometraggi, abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere sull’animazione, sulla forma del film breve e sulle potenzialità del mezzo cinematografico.

«Né una né due» di Lucia Catalini

Spesso l’animazione è uno strumento cinematografico che viene usato come pretesto per mettere in scena situazioni molto personali. Che si tratti dell’uso che ne viene fatto nel cinema mainstream (penso a Trier o Tarantino, che presentano alcuni intermezzi animati nei loro lungometraggi) o in lavori più autoriali, è una tecnica che molto frequentemente viene associata a una dimensione intima e privata. Quale è stato il tuo approccio con l’animazione e con la forma del cortometraggio? La durata necessariamente ridotta è stata un limite o uno stimolo, dal punto di vista narrativo?

Lucia: «Credo che il linguaggio dell’animazione racchiuda in sé un grande potenziale narrativo legato alla dimensione più intima e privata di un autore. Il mio incontro con l’animazione è avvenuto nel 2023 in ISIA Urbino, durante il corso tenuto da Mara Cerri e Magda Guidi. Lì ho potuto per la prima volta sperimentare con il linguaggio del disegno animato e ne sono rimasta molto affascinata. Nel 2024 realizzo come progetto di tesi un cortometraggio animato dal titolo Né una né due. Personalmente ho trovato nel cinema d’animazione l’espressione ideale per raccontare una storia che avesse come protagonista il tempo e l’incontro tra generazioni. Sin dalle prime fasi di scrittura fino alla realizzazione vera e propria del corto, si è manifestata inoltre un’origine ancora più intima e profonda, ovvero il mio interesse per una ricerca identitaria personale e collettiva, quanto più sincera e autentica».

«Né una né due» di Lucia Catalini

«Attraverso il disegno proiettato nel tempo ho potuto esplorare i miei legami tra memoria e identità. Nella mia giovane esperienza il disegno animato si è rivelato un linguaggio molto affine, che apre a moltissime possibilità diverse e che calza come guanto alla mano e alla sensibilità dell’autore. La mia impressione è che non è possibile mentire o nascondersi attraverso il disegno e la sincerità con cui si affronta un progetto simile è fondamentale per la sua riuscita. Naturalmente non è semplice guardare dentro le proprie intuizioni e riuscire a tradurre la propria memoria in una narrazione per suoni e immagini. Credo che la forma del cortometraggio con la sua caratteristica brevità contenga in sé una grande complessità. Come per la poesia o per la sintesi, il cortometraggio ha come presupposto la sfida e il desiderio di raccontare una storia in pochi minuti e questo dal mio punto di vista è molto interessante. La mia esperienza con la brevità del cortometraggio è stata lo spunto per riflettere sul come è possibile raccontare lo scorrere del tempo. In Né una né due uno dei miei desideri era proprio quello di riportare alla luce in pochi minuti un tempo lunghissimo, come quello di una vita, anzi di più generazioni che si incontrano. Paradossalmente ho trovato nel corto il luogo ideale per realizzare una narrazione di un tempo così dilatato».

Lucia Catalini
«Né una né due» di Lucia Catalini

Quando si mette qualcosa “bianco su nero”, in un certo senso, stiamo affidando la testimonianza di un evento che si è verificato a uno strumento e apparato esterno alla nostra memoria. Né una né due combina questo tipo di riflessione con la funzione che il cinema ha avuto nel corso dei secoli e continua ad avere: pensi che il mezzo cinematografico possa essere un valido strumento per la preservazione della memoria? – considerando anche l’età in cui viviamo, dominata da un sovraffollamento costante di immagini e contenuti audiovisivi.

Lucia: «Il mezzo cinematografico ha sicuramente un ruolo importantissimo per la preservazione della memoria. In una né due ho cercato di esplorare il terreno mutevole e misterioso dei ricordi legati ad un antico quaderno appartenuto alla mia famiglia. I frame del film scorrono sulle sue pagine e per frammenti ne rivelano la storia. Il presente e il passato si stringono come un cerchio intorno a questo oggetto, un quaderno di appunti di sartoria realizzato nel 1951 da Laura Milazzo, mia nonna materna, donato a mia madre e poi a me. Uno dei miei desideri più grandi nella realizzazione del corto era proprio quello di dare nuova vita e preservare un oggetto fragile e personale come un quaderno di quasi 75 anni e di raccontare la vita trascorsa intorno e sulle sue pagine. La fotografia e il cinema hanno un ruolo fondamentale non solo per la preservazione ma anche per la condivisione con gli altri, con il pubblico, superando i limiti della memoria personale ed entrando così nella memoria di tanti, di chi guarda. In questo modo è possibile donare una piccola parte di una storia privata alla collettività. Io stessa ora ho nuovi ricordi di questo oggetto familiare che ho da sempre avuto vicino. Aver creato un’opera che ne raccontasse la storia, anche solo per frammenti, è stato come allungarne la vita, aver aggiunto un tassello forse inaspettato alla sua storia e alla mia».

Lucia Catalini
«Né una né due» di Lucia Catalini

Di recente l’animazione è entrata anche nel canone scolastico degli studi di cinema: finalmente non se ne parla più in termini di genere cinematografico, ma si è arrivati a definirla cinema vero e proprio – dopo non pochi tentativi da parte di studiosi e critici. Non è raro, però, che anche all’interno del settore e di circuiti festivalieri, all’animazione venga sempre ritagliato uno spazio preciso, marginale, a sé stante, come se non potesse essere messa sullo stesso piano del cinema narrativo, di finzione o documentario. Credi che manchi un certo tipo di sensibilizzazione o, se così si può definire, di “svecchiamento” del cinema, soprattutto nei confronti del grande pubblico? In quale direzione, questo tipo di riflessione, sta andando, invece, per gli artisti che la realizzano e per chi sta dietro alla macchina da presa?

Lucia: «Penso che sia fondamentale avere fiducia nel pubblico e permettere al cinema d’animazione, compresa l’animazione d’autore, di entrare nelle sale. Il cortometraggio animato è un linguaggio che ha diritto di prendere posto sugli schermi dei cinema e così entrare in contatto con gli sguardi del grande pubblico. Io stessa sono entrata in contatto con il mondo dell’animazione solo negli ultimi anni, ma me ne sono innamorata, sia come spettatrice che come autrice. Nel percorso dei festival di cinema a cui ho partecipato accompagnando il mio film in effetti l’animazione ha avuto molto spesso una categoria dedicata. Penso che il cinema ripreso dal vero e quello d’animazione siano linguaggi diversi ma che entrambi debbano avere pari dignità e diritti, così come i loro autori. Confido che le nuove generazioni di registi, autori, disegnatori e tutti i professionisti che lavorano alla creazione dell’opera cinematografica nella sua accezione più ampia, possano collaborare al fine di una maggiore unità e di una valorizzazione reciproca».

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