di giulia
Partiamo col dire, innanzitutto, che il rapporto tra cinema e città va valutato diversamente a seconda dei contesti – culturali, urbani e, più precisamente, cinematografici – e dei periodi; in ogni caso, interessa occuparsene quando la città in questione non è considerata solo come “sfondo”, seppur significativo, bensì come “agente” che interviene attivamente nella rappresentazione, con tutte le sue componenti.
Abbiamo già parlato di quanto sia emblematico in questo contesto il caso di Cleo dalle 5 à 7 di Agnés Varda, procediamo adesso parlando di un altro film iconico della storia del cinema che, fra le sue tante caratteristiche, vede la città di Parigi come uno dei suoi punti cardinali: I 400 colpi (1959) di François Truffaut. Dalla fine del XIX secolo, il cinema e il destino della città sono stati inestricabilmente legati. Da quando i fratelli Lumière proiettarono il loro primo film a Parigi nel 1895, il cinema si è preoccupato di rappresentare gli spazi, i modi di vita e le condizioni umane uniche della città. Da un punto di vista formale, il cinema ha avuto a lungo una capacità sorprendente e unica di catturare ed esprimere la complessità e il dinamismo sociale degli spazi urbani, sfruttando le curiose ed eloquenti connessioni tra la fluidità urbana e gli stessi sentimenti che un film può rappresentare, mostrare e osservare. Dal punto di vista istituzionale, il cinema ha svolto a lungo un ruolo importante nelle economie culturali delle città del mondo in relazione alla produzione, alla distribuzione e all’esposizione di film, così come nella geografia culturale di alcune delle città che il cinema ha plasmato, nel loro ambiente costruito e nella loro identità civica. Tutti questi risultati sono fortemente influenzati dalle conseguenze prodotte dall’industria cinematografica.
Parigi nel cinema è spesso rappresentata quasi come un’ambientazione fiabesca, con architetture e luoghi bellissimi, apparentemente creati per il romanticismo e l’intrigo. Ma come se si trattasse quasi di un parco a tema, mentre si guarda la città sullo schermo a volte ci si chiede se qualcuno ci viva veramente in una città come questa; tuttavia non si tratta di un fenomeno universale. Il famoso regista francese François Truffaut è nato a Parigi nel 1932, dove ha vissuto per la maggior parte della sua vita. Cresciuto come giovane delinquente, fu salvato da un’esistenza di vanità dal critico cinematografico Andre Bazin, che lo incoraggiò a intraprendere una carriera nell’industria cinematografica. I film in cui Truffaut mostra la Parigi che gli era così vicina, in particolare quelli sul personaggio autobiografico di Antoine Doinel, si inseriscono perfettamente in questo discorso. Le avventure di Doinel, che si svolgono in una numerosa serie di progetti del regista, si sviluppano intorno a una Parigi che sembra più reale, più onesta, rispetto alle precedenti (e in parte successive) visioni cinematografiche della città.
Il primo lungometraggio di Truffaut, Les Quatre Cents Coups (I 400 colpi), inaugura la “serie di Antoine Doinel” che durerà vent’anni, formata da quattro lungometraggi e un cortometraggio. In tutto il ciclo di film il regista cattura non solo la storia di una vita, ma la storia di Parigi e delle sue molteplici sfaccettature. Quello che Truffaut realizza nel suo lavoro è una lettera d’amore a una Parigi che raramente si vede nei film, un habitat meno glamour ma non meno essenziale per le persone reali. La storia di Antoine si apre con una lunga inquadratura della Torre Eiffel nella sequenza dei titoli di testa de I 400 colpi, vista da lontano e attraverso un obiettivo che cattura anche il degrado di edifici abbandonati da tempo o danneggiati dalla guerra. Alla fine la macchina da presa si avvicina abbastanza da passare sotto la Torre, ma raramente vediamo il più famoso simbolo visivo associato a Parigi dopo quel momento, in questo film o nei successivi del ciclo di Doinel.
Doinel, interpretato esclusivamente da Jean-Pierre Léaud nel corso dell’intero ciclo, è un simbolo, un’immagine della vita reale del regista, dato che come lui Truffaut era un bambino che saltava spesso la scuola e combinava guai in città. Parigi non è sempre stata l’ambientazione dei film di Truffaut, ma svolge un ruolo importante nell’universo di Antoine. Nelle sue prime apparizioni, si diceva che Doinel fosse un ostinato monello di strada, ma la rivelazione della sua fedeltà a Balzac rovina ogni altra impressione che abbiamo di lui. Il giro di mezzanotte di Antoine per la città, dopo la sua ribelle fuga dalla famiglia e da ogni responsabilità, dimostra che Parigi è davvero una città vera, presentando anche quartieri che è meglio evitare persino per i ragazzi più duri della sua scuola. A un certo punto, tuttavia, la bellezza della città si lascia intravedere; in scene come quella in cui il ragazzo si ritrova accanto a una magnifica fontana in un parco da qualche parte in città, lontano dal paesaggio urbano che domina la sua esistenza.
In quello che forse è considerato il suo film più iconico, Truffaut continua a tornare nella città che gli ha regalato un’adolescenza difficile, ma ciò che alla fine lo ripaga è lo sfondo delle disavventure del suo personaggio più autobiografico. Parigi è davvero un luogo magico, ma non nel modo in cui lo descrivono molti film. Siamo di fronte a una Parigi popolata da personaggi e quartieri familiari a Truffaut. Come spettatori, siamo anche ricompensati dall’esperienza di questa Parigi, quasi 60 anni dopo che una macchina da presa fece il giro della Torre Eiffel, documentando una rivoluzione cinematografica. Prendiamo il famoso fermo immagine alla fine de I 400 colpi: lo spettatore è pronto a pensare a un milione di modi per spiegare cosa potrebbe rappresentare quell’azione, ma si scopre che Truffaut ha concluso il film in quel modo perché il suo attore si è allontanato dalla scena troppo velocemente perché lui potesse fare altro che fermare la ripresa sull’espressione facciale con cui voleva concludere il film, come ha spiegato lo stesso regista. Parliamo della realtà che influenza il cinema. Oppure è il contrario?
Il rapporto tra il cinema e la città di cui ho parlato è un angolo parziale ma molto significativo del modo in cui il nuovo linguaggio ha contribuito fortemente a mettere in discussione categorie estetiche consolidate. La macchina da presa, nel suo movimento verso la realtà, compie la doppia operazione di trattenere e restituire. In questo senso la somiglianza con il nostro occhio diventa significativa. Lo sguardo è sempre uno sguardo interrogativo, ci ricordava Merleau-Ponty, che parlava di pittura, ma che vale anche per il cinema.