di virginia
Gaspar Noé presenta Vortex, suo ultimo lavoro, al pubblico del Lucca Film Festival e inizia a farlo raccontando la genesi della pellicola. «Questo film è nato a gennaio 2021, quando mi trovavo a Buenos Aires, in Argentina, con mio padre, che adesso ha 89 anni. Quando sono tornato a Parigi, erano ancora in vigore le misure di contenimento del virus Covid-19 e non erano tempi semplici. I miei produttori mi chiesero se avessi un’idea per un film che potessimo girare in quattro settimane, a Parigi, in un solo spazio. Gli risposi di sì, che avevo un’idea e tre personaggi in mente: una volta trovati questi, il film avrebbe potuto prendere vita. La storia si sarebbe incentrata su una coppia di anziani formata da un uomo e una donna e quest’ultima avrebbe sofferto di demenza senile; a questa coppia avrei aggiunto il personaggio del figlio ed è così che è nata l’idea per Vortex.»

«Per la sceneggiatura ho scritto sei o sette pagine in caratteri molto grandi di modo da dare l’impressione che fossero almeno dieci o undici pagine [ride]. Ho consegnato queste pagine ai miei produttori e mi hanno rimproverato del fatto che non esistesse ancora un copione, non esisteva una sceneggiatura. Ho detto loro che in passato sono riuscito a realizzare film con sole tre pagine e che quindi, con almeno una decina, avrei potuto fare benissimo la stessa cosa.»

Il regista passa quindi a raccontare tutte le peripezie che ha dovuto affrontare per riuscire a convincere gli attori che aveva in mente a far parte del film: «A quel punto mi hanno chiesto chi avessi in mente per interpretare questi personaggi e, su due piedi, ho risposto di voler qualcuno del calibro di Dario Argento, una delle persone più carismatiche che abbia mai conosciuto in Europa – che, tra l’altro, parla perfettamente francese. I produttori hanno acconsentito, e quando mi hanno chiesto, invece, chi volessi per il personaggio della moglie, ho indicato loro un’attrice molto nota in Francia, Francoise Lebrun, che però non avevo mai chiamato o incontrato in vita mia. I produttori si sono segnati questi nomi e, quando finalmente sono stati sbloccati i fondi per realizzare il film, a quel punto mi sono ritrovato a dover convincere questi attori a lavorare con me!»

«La prima cosa che abbiamo trovato è stata la location: l’abbiamo individuata molto rapidamente e prima ancora di contattare gli attori. Avevo una location vuota ed ho provato a convincere Francoise a prendere parte a questo film nel ruolo della protagonista femminile. Francoise mi ha chiesto allora chi avrebbe interpretato suo marito nella storia e le ho risposto di avere una mezza idea di coinvolgere Dario Argento, che lei non conosceva. Fortunatamente, per una strana coincidenza, l’inizio delle riprese del film Occhiali Neri – ultimo film di Dario Argento – è stata rimandata nel tempo e quindi ho potuto chiamare Asia Argento, figlia del regista, per contattare il padre e convincerlo a recitare nel mio film. Asia pensava che stessi scherzando quando glielo’ho proposto ma, dopo avermi confermato che Occhiali Neri era stato sospeso per alcuni mesi, mi ha chiesto di prendere il primo aereo disponibile il giorno dopo per convincere suo padre e presentargli il progetto.»

«Così ho fatto, ho preso il primo aereo della mattina ed è successo qualcosa di strano: gli ho portato una copia di Love, allora il mio ultimo film, come regalo. A posteriori, non so se sia stata una buona idea presentarmi da lui, alle dieci del mattino, con questo film come regalo – non so se conoscete il film ma ha delle scene molto esplicite, è un melodramma romantico con scene di sesso molto spinte. Quando Dario ha visto la copia che avevo portato mi ha proposto immediatamente di guardarla insieme a lui e mi sono ritrovato a quest’ora del mattino a guardare Love, un film pieno di materiale semi-pornografico! Quando il film è finito, mi ha chiesto di andare a pranzo, come se niente fosse. Dario mi ha rivelato di aver apprezzato molto i film che avevo realizzato prima di Love ma, su quest’ultimo, era rimasto molto perplesso. Ho dovuto spiegargli che questo film che gli avrei proposto non aveva niente a che fare con quello che avevamo visto e che si trattava di un normale film su una coppia anziana.»

«Gli dissi che non gli avrei dato quasi nessuna battuta da recitare, quasi nessuna linea di dialogo. Ero consapevole del fatto che Dario fosse un regista e non un attore ma, essendo comunque una persona molto carismatica, pensavo sarebbe stato perfetto nel film. La mia intenzione era di condividere il processo artistico e la nascita del film, quindi gli ho dato libero accesso all’improvvisazione e alla cinepresa. Gli ho spiegato anche quanto ci tenevo che facesse questo film con me anche per il carisma che ha, a livello europeo, come regista. Ci siamo poi messi a parlare di Umberto D. di De Sica, mi ha rivelato quanto amasse il film e quanto, nel corso degli anni, lo abbia sempre ispirato nel processo artistico. Alla fine, la sera stessa, quando sono rientrato a Parigi, Asia mi ha chiamato per dirmi che suo padre aveva acconsentito a far parte del film, chiedendomi per quale motivo al mondo gli avessi fatto vedere Love nel tentativo di convincerlo a recitare in Vortex!»

«Quando Dario è arrivato a Parigi ci siamo messi a girare il film e abbiamo impiegato quattro settimane e mezzo per portare a termine le riprese. Conoscevo bene la realtà delle persone affette da Alzheimer ed il declino della malattia perchè mia madre aveva sofferto di questa malattia durante gli ultimi mesi di vita. Nessuna delle battute è stata imposta agli attori, principalmente gliele ho fatte improvvisare. Anche il bambino che interpreta il nipote della coppia ha improvvisato le sue battute. Abbiamo girato tutto il film in ordine cronologico ed abbiamo cercato di renderlo serio, ho provato a realizzare un film serio e questo è il risultato. Ho rassicurato Dario, ma anche il resto degli attori, dicendo loro di non preoccuparsi per le battute improvvisate, al massimo, se non avessero funzionato, le avrei tagliate dal montaggio finale. Pensavo che sarei arrivato a 180 minuti di durata, invece il film dura due ore e venti: se avessi avuto un’altra settimana, probabilmente sarebbe durato davvero tre ore.»

Il regista chiude la presentazione soffermandosi su un dettaglio importante del film: lo split screen. «Quando avevo diciassette anni, vidi per la prima volta 42nd Street, un film che usava la tecnica dello split screen. La pellicola, secondo me, non era un granché ma mi piacque molto questa idea e l’ho impiegata nel mio film; nel mio caso simboleggia come due persone che vivono sotto lo stesso tetto riescono, per colpa della malattia, a sentirsi molto più distanti e distaccate tra loro, pur condividendo lo stesso spazio tutti i giorni. È per questo motivo che, in fase di pre-produzione, avendo già lavorato con lo split screen per alcuni cortometraggi, ho deciso di usarlo anche in questo film.»