approfondimento a cura di alberto frosini
Per il quinto appuntamento annuale di INDOCILI, rassegna cinematografica organizzata da Tafano Cinema in collaborazione con il Cinema Beltrade, sarà proiettato il documentario diretto da Chloé Lecci Lopez. Ci vediamo il 15 aprile, come sempre, al Beltrade!
Chloé Lecci Lopez firma un documentario intimo e personale, dove la narrazione autobiografica si intreccia con quella sociale e familiare. Il film, girato interamente a Catania, sovrappone e alterna immagini di una quotidianità semplice a situazioni di adolescenza vissuta, con uno sguardo curioso e mai moralista. Il punto di vista della regista è immersivo, ma mai invadente. Sembra, infatti, adottare un continuo point of view, soggettivo e discreto, in cui solo in alcuni momenti si apre a un contesto più ampio, allargandosi a inserti esterni, come vecchi servizi giornalistici o spezzoni da documentari, mantenendo sempre la coerenza di un racconto privato. Catania è così mostrata nella sua duplice veste: da un lato, il suo volto “da Instagram” fatto di paesaggi mozzafiato, cieli infiniti e l’immagine imponente dell’Etna. Dall’altro lato, la vita ripetitiva e asfissiante della provincia, con le sue dinamiche esasperanti e imperturbabili.

Al centro del racconto, la figura ingombrante e misteriosa del padre della regista, che da qualche anno è in prigione dopo un periodo di latitanza. Quest’uomo è descritto come sfuggente, ribelle, ladro, e infatti la sua immagine resta fuori campo per tutto il film – delineandosi solo in qualche vecchia fotografia.
La sua storia prende forma attraverso voci indirette: quella della figlia, dei parenti, e soprattutto del nonno, che racconta, con affetto e malinconia, le imprese rocambolesche del figlio, i suoi rapporti assurdi con la mafia locale, il suo carattere arrogante e fuori dagli schemi.

Intanto, attorno alla figura della regista, si aggirano vari personaggi: anziani parenti dal tono mite e nostalgico, e giovanissimi incontrati per strada, come Giulio, ragazzo – utilizzando le sue stesse parole – “di piazza”, siciliano turbolento e sereno, con cui la regista intreccia un rapporto spontaneo e sincero.
La pellicola è spesso interrotta da una voce fuori campo che arriva spesso da messaggi vocali, chiamate, frammenti di audio reali: uno stile che suscita la sensazione di un processo mentale continuo, dove il presente si mescola alla memoria e ai pensieri. Tra le sequenze più evocative, appare sicuramente distinta quella in cui l’Etna emette fumo, finché l’immagine non viene interrotta da uno sfondo nero, accompagnato dalla voce del padre in sottofondo, e infine dall’eruzione del vulcano che esplode fragorosamente. Un momento potente, come se fosse un passato familiare pronto a riemergere.

Tutto apposto gioia mia è uno slice of life che sfugge agli stereotipi di una Sicilia “da cartolina”, preferendo una narrazione onesta e, a tratti, malinconica. Un diario visivo in cui i sentimenti vengono fuori poco alla volta, e dove la regista prova, con lucidità e delicatezza, a mettere ordine nel puzzle emotivo di una storia familiare irrisolta.