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rubrica a cura di giulio banchini

Who would have thought che la parola «anime» è un’abbreviazione da «animēshon», a sua volta traslitterazione giapponese dal termine inglese «animation»? [ndr]

Sono sempre stato molto affascinato dal concetto di viaggio nel tempo: pensare che qualcuno sia riuscito a immaginare (con frequenti paradossi o meno) una storia che comprendesse al suo interno, o addirittura si fondasse interamente, sulla distorsione dello spazio-tempo mi ha sempre colpito. Così come nel cinema troviamo pilastri della cultura pop, da Back to the Future a Terminator 2, passando per titoli più recenti come Donnie Darko o Predestination, anche nel mondo dell’animazione giapponese ci sono opere altrettanto degne di attenzione.


Steins;Gate

Shutainzu Gēto (v.n.)
di Naotaka Hayashi

Uscita nel 2011, curata dallo studio White Fox e basata su una visual novel del 2009, Steins;Gate ci trascina nella vita strampalata di Okabe Rintarou, autoproclamatosi “scienziato pazzo” con una sicurezza disarmante. Se inizialmente può apparire come la solita commedia sopra le righe – gag surreali, personaggi stravaganti – all’improvviso, ci rendiamo conto che la situazione sta sfuggendo di mano. Già dai primi istanti, infatti, si percepisce un velo di inquietudine, come se ogni risata nascondesse il presagio di qualcosa di molto più cupo. Uno dei motivi per cui la serie mi ha catturato è la cura quasi maniacale nel fondere fantasia e realtà. Si parla di John Titor, di IBM, del CERN di Ginevra (che qui diventa SERN), e di quelle teorie cospirazioniste che, fra leggende metropolitane e “what if?” ci fanno sognare (o tremare). Steins;Gate sfrutta ogni briciolo di questi elementi per tessere una trama che sa essere tanto leggera nei momenti più assurdi, quanto spietata quando mette i protagonisti di fronte alle conseguenze dei loro esperimenti col tempo.

Anime
«Steins;Gate» di Naotaka Hayashi (Credits: White Fox)

Questo senso di perdita di controllo, man mano che ogni piccola modifica si ripercuote su una realtà in continua riscrittura, è ciò che rende la visione di Steins;Gate un viaggio quasi disperato verso la consapevolezza che se anche avessimo la facoltà di navigare il tempo, non potremmo davvero cambiare ogni cosa. E forse è proprio questa impotenza, mescolata a un briciolo di follia, a rendere la serie tanto affascinante: guardare Okabe lottare contro l’inevitabile ci spinge a chiederci fin dove siamo disposti a spingerci per salvare ciò che amiamo. Se siete in cerca di un anime che sia folle, intenso e, a tratti, sorprendentemente realistico nella sua rappresentazione di teorie scientifiche e complotti (o presunti tali), Steins;Gate vi piacerà. Prima di passare al prossimo titolo, inoltre, mi permetto anche di sconsigliarvi il suo sequel, Steins;Gate 0, che va in parte a distruggere quella che è l’ironia caratteristica della serie originale, appesantendone i temi ma risultando meno interessante.

Attack on Titan

Shingeki no Kyojin
di Hajime Isayama

A proposito di poteri tanto grandi da ridisegnare il destino di un mondo intero, sarebbe un crimine non citare uno degli anime più amati degli ultimi anni, specialmente dopo la riedizione cinematografica delle ultime puntate uscita poche settimane fa. Certo, definire Attack on Titan un’opera sui viaggi o le distorsioni temporali oltre che una forzatura potrebbe essere a tutti gli effetti uno spoiler, ma fidatevi: se ancora non vi siete addentrati in questa serie iniziata ormai nel 2013 e conclusa nel 2023, vale la pena recuperarla.

Anime
«Attack on Titan» di Hajime Isayama (Credits: Wit Studio)

Quello che colpisce subito è la scrittura di ogni personaggio, principale o secondario che sia: ognuno ha la propria storia e motivazioni così sfaccettate da lasciare a bocca aperta. Nonostante la complessità di un racconto già di per sé monumentale, l’introduzione del viaggio nel tempo – per quanto si tratti di un espediente più mentale che pratico – non manda tutto a rotoli, anzi, giustifica alcune azioni apparentemente insensate e mette in luce dettagli che all’inizio sembrano solo bizzarri colpi di scena, non rischiando così di apparire come un deus ex machina. In più, non ci sono grossi paradossi che fanno crollare la trama, né escamotage “magici” che annullano ogni problema: è tutto ben pensato dall’autore, dall’incipit alla conclusione, un aspetto non così scontato quando si parla di battle shonen/seinen.

In sostanza, Attack on Titan non è solo un’epopea di giganti, intrighi politici e rivoluzioni sociali, ma anche un sorprendente gioco di specchi temporali che scava in profondità nei temi del destino e della volontà umana. Il risultato è un anime che sa unire un’epica grandiosa a quella vena di follia, tragica e visionaria, che rende indimenticabile ogni suo episodio. Doverosa anche una piccola nota per i due studi di animazione che hanno lavorato a questo adattamento: Wit Studio fino alla terza stagione e in seguito, fino alla sua conclusione, MAPPA. Entrambi capaci non solo di rispettare l’opera originale (manga) ma anche di rendere nuova giustizia, con il loro stile, a tavole memorabili.

Erased

Boku dake ga Inai Machi
di Kei Sanbe

Tornando a opere ben più leggere per quanto riguarda l’impegno temporale – rispetto alle quattro stagioni dell’anime precedente – voglio consigliarvi Erased, tratto dal manga del 2012 di Kei Sanbe, adattato da A-1 Pictures. Il racconto ci porta nella realtà di Satoru Fujinuma, un uomo di 29 anni con un potere, chiamato Revival, tanto semplice quanto decisivo: questo gli permette, infatti, di tornare a qualche minuto prima che si verifichi una tragedia, consentendogli così di provare a prevenirla. Il focus della storia, però, viene posto su un evento in particolare della vita di Satoru, quando, invece dei soliti pochi minuti, viene portato indietro di diciotto anni.

Anime
«Erased» di Kei Sanne (Credits: A-1 Pictures)

Erased, nei suoi dodici episodi, ci conduce in un mondo freddo, in cui il protagonista, tornato al periodo delle elementari, sperimenta – con gli occhi di un adulto nel corpo di un bambino – la sensazione di impotenza nel salvare chi gli sta intorno da traumi e abusi. Ciò che più colpisce è quanto il punto di vista di una mente adulta possa cambiare drasticamente la percezione di ciò che lo circonda, già vissuto e sperimentato, ma osservato con gli occhi innocenti di un bambino, inerme e inconsapevole di fronte a tragedie di tale portata. Il mondo, più che realistico, della giovane età di Satoru, nella ricerca di una soluzione a un evento fatale per la sua vita futura, porta infatti a scoprire tutto ciò che si nasconde dietro lo sguardo triste di un bambino, spesso ignorato da chi dovrebbe invece garantirgli una vita serena.

Il viaggio nel tempo, in questo caso, oltre a rappresentare un escamotage narrativo che colloca la storia nel genere thriller, si rivela una trovata più che valida per spingerci a porci molte domande sulle nostre vite: sul potere del cambiamento, sul coraggio di affrontare i nostri traumi più profondi, sull’importanza della fiducia e sul far finta di non vedere, di girarci dall’altra parte quando avremmo, invece, la possibilità di intervenire. Insomma, un anime che va dritto al punto e che, in dodici episodi, ci mostra una realtà dura e tutt’altro che umana (o forse troppo), con quel tocco di fantascienza/fantasy tipico di tutte le opere consigliate in questa rubrica.

Orange

Orenji
di Ichigo Takano

I temi dell’ultima serie di cui voglio parlare si legano in senso stretto a Erased, dato la protagonista di quest’opera si ritrova impegnata a sventare, o meglio, a prevenire una tragedia più o meno imminente: la morte di un suo compagno di classe. Orange è un anime del 2016 tratto dall’omonimo manga e adattato da TMS Entertainment (Lupin III, Detective Conan) che rientra in questa serie di titoli proprio per il suo particolare utilizzo del viaggio temporale.

Anime
«Orange» di Ichigo Takano (Credits: TMS Entertainment)

La storia sfrutta l’esistenza di due linee temporali in qualche modo comunicanti per portare a termine con successo il salvataggio di Kakeru Naruse. Ciò che lo rende quasi unico è il modo in cui i due “mondi” comunicano, in una sorta di viaggio epistolare nel tempo e cioè attraverso il ricevimento di lettere dal futuro. Questa scelta si mescola perfettamente al contesto realistico e scolastico dell’opera, nascondendo quasi del tutto l’unico elemento sci-fi. Temi come depressione, importanza dell’amicizia, comunicazione e inclusione vengono trattati con estrema delicatezza, mantenendo così un’atmosfera introspettiva e, spesso, sentimentale, che presto va a perdere quell’unico elemento fantascientifico come focus principale, concentrandosi sui comportamenti derivati.

Orange, come molti altri racconti che giocano col tempo, si basa su diversi “what if”, ma lo fa tenendo sempre in considerazione la caratterizzazione dei vari protagonisti, coerenti con le loro versioni adulte, senza mai esagerare e, anzi, sottolineando l’importanza del cambiamento. Non si tratta quindi di modificare eventi in senso stretto, ma di riuscire a influenzare, attraverso la scrittura e la consapevolezza, una parte di loro (come di noi). La regia si prende volutamente i suoi tempi nonostante i soli tredici episodi: ho apprezzato l’aver dato spazio a sguardi, sensazioni e musica senza però scendere nella noia. Come una sorta di comunicazione allo spettatore e come comunicano anche le lettere ai protagonisti: ci vuole tempo e attenzione ai dettagli per capire gli altri.


Lascio qui qualche altro titolo comunque degno di nota nel mondo del cinema d’animazione giapponese legato ai viaggi nel tempo — buona visione.

The Girl Who Leapt Through Time / Toki o Kakeru Shōjo (2006) di Nobuyuki Takeuchi, Akiyuki Shinobo

Mirai (2018) di Mamoru Hosoda

Your Name. / Kimi no Na wa. (2016) di Makoto Shinkai

The Tunnel to Summer, the Exit of Goodbye / Natsu e no Tunnel, Sayonara no Deguchi (2022) di Tomohisa Taguchi

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