Di che cosa parliamo, quando parliamo di «Mickey 17» di Bong John-ho? Abbiamo provato a mettere insieme, in questa sorta di tavola rotonda, pensieri, parole, opere, omissioni e tutto quello che ci è passato per la testa durante (e dopo) la visione del film. Prendete sul serio queste nostre parole, ma con moderazione.

virginia
Eh, le merendine di quando ero bambino e tutta la trafila che elencava Nanni Moretti non torneranno più – così come la critica sociale, quella fatta bene, quella che si era vista in Parasite. Non ho idea di chi sia la colpa, in questo caso, ma non sono rimasta molto contenta nel vedere una polemica contro il capitalismo (credi?) all’acqua di rose, ultra-sbiadita, diretta da Bong Joon-ho. Forse la lunga mano invisibile di Warner Bros., che ha costretto il film a montaggi e rimontaggi, è intervenuta troppo pesantemente sul film, lasciandolo adatto solo e soltanto a un pubblico statunitense – che, alla fine, si sa: sembra accontentarsi di poco, visto che ha avuto da parlare bene di storielle come Don’t Look Up & similia. Un po’ come era successo con Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos qualche mese fa, mi ritrovo a rimpiangere i tempora! e i mores! di quando il regista sud-coreano davvero, criticava il tardo capitalismo. L’estremo e lunghissimo voice over iniziale, certo, non aiuta: niente riesce a dare più l’idea di dover mettere una toppa di un infinito resoconto orale. Peggio ancora, se recitato con una bizzarra voce in falsetto da Robert Pattinson, il nostro non-eroe, con cui è davvero difficile empatizzare perchè la serie pressoché infinita di momenti morti del film riesce a scollegare lo spettatore da quello che sta succedendo sullo schermo. Il problema di questo film è che non sarebbe neanche terribile, è solo incredibilmente noioso (e relegare tutta l’azione agli ultimi quindici o diciotto minuti di lungometraggio, forse, su oltre due ore di durata, non è una grande idea). Insomma, ho quasi dormito, ma alla fine credo di essere troppo europea per apprezzare davvero, fino in fondo, Mickey 17.

giulia
Come si può soddisfare le aspettative del pubblico quando il tuo ultimo film è stato Parasite? Forse la risposta più sensata è non provarci affatto, o almeno, non nel modo in cui gli altri si aspetterebbero. Bong Joon-ho sembra aver scelto proprio questa strada con Mickey 17, rifiutando di replicare il successo precedente per imboccare un nuovo percorso, sempre personale e coerente con la sua visione. In questa sua ultima opera, il regista torna ancora una volta ad affrontare le ingiustizie morali del capitalismo, un tema ricorrente nella sua filmografia, ma lo fa con un approccio più caotico, grottesco e intriso di umorismo nero. La critica sociale è sempre presente, ma qui si mescola a un tono più irriverente, che non smorza la denuncia ma la rende ancora più pungente. Spesso si tende a criticare certi film per la loro eccessiva trasparenza politica, accusandoli di essere troppo didascalici o espliciti nei loro messaggi. Tuttavia, non sempre questa è una debolezza. Bong non ha mai avuto l’intenzione di impartire lezioni o di educare il pubblico in modo pedante, ma le sue storie, anche nelle loro derive più assurde e bizzarre, nascondono sempre una riflessione profonda. Anche lo spettatore meno attento può cogliere, sotto le battute e le situazioni surreali, una caricatura feroce di una politica coloniale che conosciamo fin troppo bene. Questo, però, non significa che Mickey 17 sia un film prevedibile o schematico. O meglio, in alcuni momenti potrebbe anche sembrarlo, ma è proprio questa sua apparente linearità a diventare parte del gioco: Bong usa l’ironia e la sfrontatezza per costruire una satira potente, che non si preoccupa di risultare moderata o accomodante. Il risultato è un film che oscilla tra il comico e l’inquietante, capace di far ridere e al tempo stesso lasciare un senso di profondo disagio. Non so, sarà forse che non sono mai stata imparziale un giorno in vita mia e l’amore che provo per Bong e Robert Pattinson ha ormai basi ben radicate, ma mi sento di dire che il mio padre coreano per eccellenza non mi ha ancora mai delusa.
Bong seonsaengnim, saranghae.

emma
Confidando nel fatto che tutte le altre persone in questo roundtable stiano attualmente tessendo le lodi della performance di Robert Pattinson (altrimenti le disconosco), ho scelto di utilizzare questo spazio per parlare di alcune scelte di adattamento da parte di Bong Joon Ho. La mia autorità? Un mesetto fa ho letto Mickey7, il romanzo di Edward Ashton su cui il film è basato. La prima differenza salta subito all’occhio: i Mickey di Bong Joon Ho sono dieci di più. Questo dieci di più potrebbe essere più o meno rappresentativo del film, che rispetto al libro è molto più teatrale ed esagerato nei toni – ricordando le sue altre produzioni in lingua inglese Okja e Snowpiercer. Tuttavia, i dieci Mickey di più non fanno molto per sviluppare la psiche del suo protagonista, ma al limite funzionano come strumento per esasperare una procedura già di per sé grottesca. Nella scrittura di Ashton, la reincarnazione continua – seppur meno frequente – radicalizza Mickey, rendendo la sua settima iterazione un eroe contro l’establishment. In Mickey17, è Mickey18 a compiere gesta eroiche, ma le ragioni dietro di esse sono praticamente casuali: a questo giro è uscito così dalla stampante.

Mickey7 è più sottile – senza per forza essere meno ridicolo. Se la voce narrante di Mickey nel libro è ironica ed esilarante, l’interpretazione di Pattinson abbinata alla spiccata preferenza di Bong Joon Ho per la physical comedy rappresenta la sua perfetta traslazione sullo schermo. A penalizzare il film è piuttosto la necessità di dover rappresentare un mondo come quello di Mickey7, che richiede una contestualizzazione non indifferente, come del resto quasi qualunque universo fantascientifico. Ciò che Bong taglia e cambia da una parte – altre operazioni coloniali, altri pianeti, il passato di Mickey e il motivo per cui si ritrova ad essere un expendable – ingigantisce quello che rimane dall’altra, tra tutti il ruolo del personaggio di Mark Ruffalo. Detto questo, a farmi scrivere questo contributo in primis è stata la rappresentazione cinematografica di una sequenza in particolare, quella che riguarda il motivo per cui l’esistenza di multipli della stessa persona è illegale, che, nel libro, ha tra l’altro i toni esagerati e stralunati della filmografia di Bong Joon Ho, mentre nel film è incredibilmente ridotta e semplificata. Chiaramente ci possono essere un milione di motivi dietro questa scelta – uno fra tutti il fatto che già questo film non è particolarmente benvoluto dalla Warner Bros, vista la continua modifica della sua data d’uscita. Un altro motivo più che valido è che il regista non ha mai avuto intenzione di eseguire un adattamento fedele – rendendo tutto il mio sproloquio relativamente inutile.

marco
Mickey 17 segna il ritorno di Bong Joon-ho dietro la macchina da presa. L’attesa era altissima, complice il successo storico di Parasite: non solo la doppietta Palma d’oro-Oscar (replicata, peraltro, pochi giorni fa da Anora), ma anche un ottimo riscontro di pubblico con quasi 260 milioni di dollari incassati in tutto il mondo (oltre 5 in Italia). Un trionfo che ha cambiato la storia degli Oscar e della distribuzione dei film non in lingua inglese negli Stati Uniti. Non sorprende, quindi, che Bong abbia deciso di tornare a Hollywood con una grande produzione, spingendo Warner Bros. a investire circa 118 milioni di dollari. Tuttavia, a differenza del trionfo di Parasite, al momento sembra improbabile che Mickey 17 riesca a raggiungere il break-even, alla luce dei 91 milioni generati dal box office internazionale. Fin dall’esordio fuori concorso alla Berlinale (dove lo abbiamo visto in anteprima), il film ha ottenuto un discreto riscontro di critica, anche se lontano dall’accoglienza travolgente che Parasite ricevette a Cannes nel 2019.

Dovendo inevitabilmente confrontarsi con un capolavoro già inserito nella decennale lista di Sight and Sound (2022), appare più sensato accostare Mickey 17 a Snowpiercer e Okja: oltre alla lingua inglese, i tre sono i film più sci-fi di Bong e presentano tematiche affini. Con il primo condivide l’ambientazione politica distopica, mentre con il secondo esplora la spietatezza dell’essere umano nel consumo e nello sfruttamento di altre creature. Questi elementi rappresentano il vero nucleo del film, ancor più del concetto di replicante che, sebbene interpretato degnamente da Robert Pattinson, risulta carente sul piano esistenziale. Anche la componente politica appare poco sviluppata: l’interessante dilemma dei confini etici nella scienza viene presto messo da parte, in favore di un commentary annacquato su vari temi di attualità, dal cambiamento climatico al colonialismo, fino alla satira sulle istituzioni politiche americane. Quest’ultima è forse la parte più riuscita del film, grazie a un Mark Ruffalo perfettamente in parte e a una realtà politica sempre più surreale che rende il film più che una parodia, quasi una profezia.

Nonostante tutto, Mickey 17 resta una visione piacevole, merito della straordinaria capacità compositiva di Bong, delle interpretazioni e delle venature comedy. Oltre a un’ottima Toni Collette, spicca il debutto in lingua inglese di Anamaria Vartolomei, il cui L’Événement fu premiato proprio da Bong con il Leone d’Oro a Venezia 2021. Nel complesso, Mickey 17 si presenta come un blockbuster godibile ma superficiale, probabilmente limitato dalle imposizioni dei grossi studios. Qualitativamente siamo lontani dai livelli delle sue produzioni in coreano: era lecito aspettarsi qualcosa in più.