recensione a cura di giulio banchini
Il cinema d’animazione contemporaneo, soprattutto quello più noto al grande pubblico, è dominato da produzioni imponenti, estremamente curate a livello visivo, sfarzose e appariscenti, ma manca di un’anima autenticamente percepibile, di comunicazione e originalità, soprattutto quando si parla delle ultime fatiche di Disney e Dreamworks. Flow, scritto, diretto e animato da Gints Zilbalodis e vincitore dell’Oscar per miglior film d’animazione, non ha bisogno di apparire, non ha bisogno di dialogare (o di cantare). L’opera parla all’anima dello spettatore attraverso immagini grezze ma uniche senza il bisogno di pronunciare una singola parola. Il risultato è, quindi, un film silenzioso, quasi contemplativo, che incoraggia l’introspezione e dona tempo per riflettere attraverso sequenze meravigliose.

La pellicola segue la gatta randagia protagonista in un futuro post-apocalittico, dove si ritrova a lottare, almeno inizialmente, per la propria sopravvivenza. I mari e gli oceani hanno ormai sommerso buona parte della superficie terrestre, costringendo la gatta e altri animali di specie diverse a una convivenza eterogenea e forzata su una piccola imbarcazione. La trama apparentemente semplice rivela fin da subito una rete di metafore assolutamente comprensibili, il regista non sembra infatti ricercare alcun tipo di esclusività, preferendo una comunicazione immediata. Temi come il rispetto reciproco, lo spirito di adattamento, le difficoltà a integrarsi – ma anche il lato negativo del “fare branco” sono ricorrenti. Appare quindi ovvia la scelta stilistica di tagliare completamente i dialoghi: i gesti, i versi, le lotte interne al gruppo non fanno altro che rimpiazzare con pochi frame lunghe conversazioni (umane) superflue e dinamiche sociali complesse.

L’intera produzione è stata realizzata con Blender, software open-source solitamente utilizzato in ambito videoludico; come già detto questo utilizzo conferisce al film uno stile volutamente grezzo ma affascinante. Le immagini scorrono sullo schermo come una lunga cut scene di un videogioco e si passa da uno stile minimalista per tutta la compagnia degli animali a uno molto più vicino al realismo per quanto concerne gli ambienti. Questo mix di stili non sembra casuale: la scelta di rendere gli animali più anonimi a livello estetico contribuisce al coinvolgimento emotivo dello spettatore, seguendo la storia dei protagonisti non come tali, ma come rappresentazioni altre di sé stesso. Le straordinarie ambientazioni, poi, riempiono gli occhi; tra acque agitate, foreste, alte scogliere e, nel momento opportuno, un tripudio di colori, il film riesce a immergere completamente l’osservatore nella sua realtà post-apocalittica, grazie anche a una delicatissima ma splendida colonna sonora.

Cosa rende quindi questo film d’animazione un piccolo capolavoro? Tutto e niente. Flow è onesto, non vuole mai strafare, dalla trama alla colonna sonora, fino ad arrivare all’animazione; si prende alcune soddisfazioni, con sequenze a 60 fps, immagini mozzafiato e momenti di narrazione critici, ma non è questo il cuore della pellicola. Zilbalodis parla di quanto sia importante il silenzio, di quanto la comunicazione sia formata da un insieme di gesti e sguardi, oltre alle parole. Tutto viene trasmesso attraverso il linguaggio corporeo e l’espressività degli occhi, in un ambiente che sta a metà tra una trappola galleggiante e l’unica possibilità di sopravvivenza. Porta lo spettatore a riflettere sulla natura degli esseri umani, sull’istinto distruttivo che ci caratterizza e sull’importanza di accettare il prossimo – regalandoci un’ora e venti di meditazione in compagnia di qualche miagolio e ambienti visivamente eccezionali ma delicati che catturano lo sguardo.

Dopo aver ottenuto un successo travolgente in diversi festival del settore come miglior film d’animazione dell’anno, ci auguriamo che quest’opera possa fare scuola, dimostrando come sia possibile creare cinema d’animazione di qualità attraverso strumenti open-source come Blender, senza necessariamente ricorrere a tecniche sofisticate o studi d’animazione colossali. Flow testimonia che non serve un grande budget quando si hanno grandi idee, e questo, forse, è il suo più importante pregio.