approfondimento a cura di marco morelli
Indocili, la rassegna cinematografica organizzata da Tafano Cinema, torna per la quarta edizione con la proiezione dell’ultimo lavoro di Tommaso Santambrogio, «Taxibol». L’appuntamento è fissato per il 25 marzo, come sempre al Cinema Beltrade.
È fuori discussione che Cuba abbia affascinato numerosi artisti fin dal primo dopoguerra. Si pensi a Ernest Hemingway, che si innamorò dell’isola al suo primo viaggio nel 1928 e decise di trasferirvisi nel 1952; o anche a Federico García Lorca, che vi soggiornò per oltre tre mesi nel 1930. Non sorprende, quindi, che anche molti cineasti siano rimasti affascinati dallo stato caraibico, la cui produzione cinematografica ha conosciuto un periodo florido dopo la Rivoluzione: basti pensare alla Década de Oro con titoli come Memorias del subdesarrollo e Lucía. Anche registi stranieri hanno realizzato opere importanti sull’isola, come Agnès Varda con il corto Salut les Cubains (disponibile su Rai Play) o Mikhail Kalatozov con il capolavoro Soy Cuba.

Tra gli autori italiani affascinati da Cuba spicca senza dubbio Tommaso Santambrogio. Il regista classe ’92 aveva già mostrato il suo amore per l’isola nel 2019 con il corto Los océanos son los verdaderos continentes, presentato a Venezia, un b/n che segna la fine di una storia d’amore. Nello stesso anno in cui ha sviluppato un omonimo lungometraggio dal corto, Santambrogio ha girato a Cuba anche Taxibol, presentato al Festival dei Popoli 2023 e ora in programma a Indocili.

Il film riprende elementi già presenti nei suoi altri lavori cubani, a partire dal bianco e nero e dalla centralità della storia d’amore nel primo segmento. Qui, prima ancora che compaia il titolo di testa, si svolge una ricca conversazione in inglese tra un tassista cubano e il regista Lav Diaz. A quest’ultimo Santambrogio deve moltissimo, come ha raccontato in un’intervista a Ivan Orlandi di Specchio Scuro : l’idea di Taxibol è nata proprio da una masterclass organizzata dal regista filippino sull’isola. Il film si caratterizza, oltre che per il b/n e la camera fissa, per un uso peculiare dello spazio e del tempo. Secondo Santambrogio, Cuba possiede “una forte identità spaziale e una dimensione temporale peculiare”, due caratteristiche centrali nel cinema contemplativo, come dimostrano proprio i film di Lav Diaz.

Si può azzardare che il Lav Diaz personaggio, in Taxibol, metta in evidenza due tempi e due spazi distinti quando rivela al taxista il vero motivo del suo viaggio cubano: non solo un workshop universitario, ma anche l’intento di uccidere Juan Mijares Cruz, generalissimo di Ferdinand Marcos rifugiato sotto falsa identità poco fuori L’Avana. La seconda parte del film si concentra proprio sulla permanenza del generalissimo sull’isola, in particolare all’interno di un’enorme villa che appartenne, guarda caso, a Ernest Hemingway. Qui Santambrogio sembra voler evocare anche il tema del colonialismo, suggerito dall’architettura americana della casa e dalla presenza di animali, sia vivi (uccelli tropicali in gabbie numerose) che morti (trofei di caccia appesi ai muri).

Questa seconda parte è più buia rispetto alla prima, esasperando la dicotomia manichea tra bene e male attraverso il bianco e nero, e introduce una forte componente onirica, oltre a un immobilismo che può richiamare la conservazione del potere nelle dittature. Il finale, sorprendentemente a colori (!), propone una soluzione meta-cinematografica che spinge lo spettatore a interrogarsi sull’attualità, sulla verità delle immagini d’archivio e sull’impossibilità del cinema di riscrivere la storia. Far uccidere Mijares Cruz a Diaz sarebbe stato un errore tarantiniano, come ha ribadito lo stesso regista. In sostanza, Taxibol è un mediometraggio che invita a riflettere sul potere delle dittature, sull’amore e sullo scorrere del tempo, abbracciando in pieno il “fuck art for art’s sake” pronunciato da Diaz in una delle prime sequenze. Se amate il cinema contemplativo e Cuba, recuperatelo al Beltrade per questa edizione di Indocili.