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Abbiamo visto in anteprima alla 75° Berlinale la nuova pellicola di Lucile Hadžihalilović con una glaciale Marion Cotillard.

recensione a cura di marco morelli

Tra i primi titoli presentati in concorso alla 75ª edizione della Berlinale, La Tour de Glace segna il proseguimento del sodalizio artistico tra Lucile Hadžihalilović e Marion Cotillard, oltre vent’anni dopo Innocence. Ambientato negli anni ’70, il film vede la star francese nel ruolo di un’attrice impegnata nell’adattamento della fiaba di Hans Christian Andersen La Regina delle Nevi, accanto alla giovanissima Clara Pacini. August Diehl e Gaspar Noé, marito e collaboratore storico della regista, completano il cast.

«La Tour de Glace» di Lucile Hadžihalilović © 3B Davis Sutor Kolonko Arte BR

Sebbene l’opera sia stata accolta freddamente (toh!) dalla critica dopo l’anteprima di sabato, a causa del ritmo lento, dello stile artificioso e troppo compiaciuto e di un mancato sviluppo emotivo dei personaggi, risulta comunque affascinante agli occhi di un pubblico abituato a visioni più compassate. Al centro di La Tour de Glace emergono processi di simbiosi più o meno evidenti. Il più significativo è quello tra le due protagoniste: la giovane Jeanne (poi ribattezzatasi Bianca) e l’eterea ma pericolosa Cristina, tra cui nasce una relazione ambigua che cresce fino a esplodere nell’epilogo. Segnate dalla perdita materna, entrambe cercano di elaborare il lutto in modi differenti: Jeanne fugge dall’orfanotrofio e rifiuta la propria identità, mentre Cristina abusa di sostanze (aspetto, questo, purtroppo solo accennato in un paio di scene mai più riprese) e finisce per identificarsi parzialmente con il personaggio che interpreta.

«La Tour de Glace» di Lucile Hadžihalilović © 3B Davis Sutor Kolonko Arte BR

Se la Regina delle Nevi di Andersen, sulla cui carica sessuale è presente una nutrita bibliografia[1], appare distaccata e priva di emozioni, l’attrice invece è consapevole del proprio potere seduttivo e lo usa per dominare la produzione del film e attrarre a sé la giovane e ingenua Jeanne, cercando di assorbirne l’innocenza come farebbe un vampiro. La mutuale attrazione provata dalle protagoniste si caratterizza per uno scambio di feticci (il diamante della regina e pezzi della collana della madre di Jeanne) e per una forte asimmetria di potere ed esperienza. In questo, Cristina può rappresentare la personificazione dell’ambiente cinematografico contemporanea, sempre più feroce, risoluto e profittatore dell’ingenuità delle nuove leve, attratte in maniera fatale da quel mondo.

La Tour de Glace
«La Tour de Glace» di Lucile Hadžihalilović © 3B Davis Sutor Kolonko Arte BR

I richiami all’universo delle fiabe non si limitano ad Andersen e ai vampiri, ma si intrecciano in un universo più simile a un labirinto che a un processo di sublimazione. L’atmosfera rarefatta, il ritmo ipnotico e la colonna sonora ammaliante sospendono lo spettatore in un limbo tra realtà e sogno, amplificato dal gioco diegetico tra personaggi e rappresentazione (come suggeriscono gli sguardi furtivi di Jeanne alla Regina) e, per estensione, tra film e pubblico. Se i riferimenti a Persona sono immediati per la simbiosi delle due protagoniste e lo stile glaciale, il focus sull’infanzia e l’impostazione su una fiaba di Andersen può ricordare La Piccola Fiammiferaia di Renoir, ancor più interessante è leggere La Tour de Glace alla luce del movimento #MeToo, ancora molto sentito in Francia. La scelta di un carnefice femminile, seducente ma freddo, sottolinea lo sfruttamento nell’industria cinematografica e arricchisce la narrazione sul potere e le sue asimmetrie. In conclusione, La Tour de Glace è un’opera ammaliante ed elegante nella sua algidità, proprio come la sua protagonista: se cercate uscite più heartfelt, però, meglio virare su altro.


[1] ”The Snow Queen”: Queer Coding in Male Directors’ Films; Pauline Greenhill; Marvels & Tales 29 (1), 110-134, 2015.

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