Dopo la grande stagione del body horror, eccone uno più consueto e che guarda alla tradizione del genere, presentato all’interno della sezione Panorama in occasione della 75° edizione della Berlinale.
recensione a cura di alberto frosini
Andreas Prochaska, con Welcome Home Baby, porta sul grande schermo un horror gotico che si ispira ai grandi maestri del genere degli anni sessanta e settanta, da Dario Argento a Roman Polanski. La protagonista, Judith (Julia Franz Richter), è una giovane dottoressa di Berlino che si vede costretta a tornare in Austria insieme a suo marito (Reinout Scholten van Aschat) per gestire il lascito della sua famiglia biologica. Il viaggio, che inizialmente sembra essere una mera formalità per rivedere la proprietà, si trasforma in un inquietante confronto con il passato occultato della famiglia biologica e con gli oscuri misteri che contraddistinguono l’inesorabile e maledetto villaggio sperduto nel bosco. Attraverso questi archetipi narrativi, la pellicola riprende atmosfere e tematiche classiche, come anche, ad esempio, il tema della maternità, e li reinterpreta in chiave moderna. Anche se l’originalità della trama non è il punto forte del film, lo è invece il modo in cui il regista fonde l’estetica e la tensione del cinema horror classico con un approccio contemporaneo.

La rappresentazione degli elementi più splatter è misurata e funzionale alla storia: ogni scena di violenza si inserisce con coerenza nella narrazione, evitando gratuità e amplificando il senso di angoscia e pericolo. Uno degli elementi più riusciti è senza dubbio il ritmo: in quasi due ore di film, la tensione non cala mai, anzi, cresce progressivamente, contribuendo a creare un’atmosfera sempre più claustrofobica, fino all’esplosione del catartico finale. Viene dato spazio anche ai personaggi secondari, che pur rimanendo nell’ombra della protagonista sono ben caratterizzati e risultano fondamentali per lo sviluppo della storia — sono proprio coloro che si riveleranno essere gli antagonisti, conservando nella loro ferocia una insidiosa dolcezza.

Un possibile difetto del film è che, nonostante il modo intelligente in cui è reso omaggio ai classici del genere, alcune scene che dovrebbero risultare momento culminante di tensione potrebbero non avere lo stesso impatto oggi come negli anni settanta. Alcuni momenti di tensione, a causa di scelte stilistiche non immediate, come zoomate troppo rapide o effetti speciali non del tutto all’altezza degli standard moderni, rischiano di risultare meno efficaci. In conclusione, Welcome Home Baby non rivoluziona il genere, ma lo omaggia con maestria senza essere solo un esercizio di stile, regalando agli spettatori un horror inquietante e coinvolgente.