recensione a cura di marco morelli
Tra i numerosi titoli della sedicesima edizione di France Odeon, festival del cinema francese a Firenze, spicca Leurs enfants après eux di Ludovic e Zoran Boukherma, tratto dall’omonimo romanzo di Nicolas Mathieu. Presentato in concorso all’81ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Premio Marcello Mastroianni per l’interpretazione di Paul Kircher, il film è stato introdotto dai registi, presenti in sala al Cinema La Compagnia.
Intervistati dal fondatore e direttore artistico del festival, Francesco Ranieri Martinotti, Ludovic e Zoran Boukherma hanno raccontato la genesi del film, le loro occasionali divergenze sul set, il casting di Paul Kircher come protagonista e come, pur provenendo da un’altra regione, abbiano trovato familiare l’ambiente della Francia rurale e periferica del romanzo. Per i gemelli, classe ’92, si tratta della prima sceneggiatura non originale, dopo essersi concentrati su commedie horror come L’Année du requin e Willy 1er.
Leurs enfants après eux è un coming-of-age che ritrae la vita e le relazioni di tre adolescenti in quattro estati, dal ’92 al ’98. La Francia ha una forte tradizione in questo genere: basti pensare a film pluripremiati come Les quatre cents coups di Truffaut o La Vie d’Adèle di Kechiche. Per ambientazioni ed estetica, tuttavia, i modelli che balzano subito all’occhio sono L’eau froide di Assayas e, soprattutto, Été 85 di Ozon: il primo esplora l’innamoramento estivo di due giovani di famiglie disfunzionali, mentre il secondo è tratto da un romanzo ambientato negli anni ’80. Come questi due, Leurs enfants après eux affronta il passaggio generazionale tra padri e figli in un contesto povero di prospettive lungo un decennio, con elementi di nostalgia e numerosi rimandi cinefili (oltre ai registi già menzionati, Wong Kar-wai e Linklater).
Con questi presupposti, la formula potrebbe sembrare già vista e rivista, ma i gemelli Boukherma riescono a offrire un tocco personale, distaccandosi dai modelli con cui devono confrontarsi. In primis, la colonna sonora, ricca di hit anni ’90, scorre da intra a extra-diegetico (come in Mommy di Xavier Dolan), diventando espressione dei sentimenti del protagonista Anthony. Questo effetto di “embodiment” è accentuato da una regia che si sostituisce spesso al protagonista, concentrandosi sui corpi, in particolare quello di Angelina Woreth. Non sorprende che anche lo script risulti un po’ sbilanciato a favore di Anthony: Stephanie, l’oggetto amoroso, per quanto ben rappresentata, esiste solo in funzione del protagonista e appare piatta, mentre il rivale Hacine ha una caratterizzazione poco coerente e a tratti macchiettistica.
La sceneggiatura è il difetto più evidente del film: la struttura in quattro atti presenta troppi picchi emotivi, a cui non segue una linearità coerente nel capitolo successivo; le motivazioni e le azioni dei personaggi sono spesso incomprensibili e la presenza di più falsi finali può risultare stucchevole. Il problema principale è la mancata percezione dello scorrere del tempo: a parte qualche riferimento culturale, come la semifinale del Mondiale francese, non vi è una vera differenza stilistica o di contenuti tra le ambientazioni del ’92 e del ’98. Molti altri coming-of-age sono riusciti a rappresentare il passare degli anni in modo più fluido e organico, come Boyhood del già citato Linklater o lo splendido A Brighter Summer Day di Edward Yang. La scelta di una narrazione circolare, svelata solo alla fine, potrebbe suggerire che la crescita del protagonista è in realtà inesistente a causa di un contesto privo di opportunità e di un trauma generazionale, ma questo non viene del tutto espresso.
Risulta evidente l’assenza di un commento sociopolitico: sarebbe stato interessante approfondire il contesto in cui vivevano franco-italiani e franco-marocchini negli anni ’90 o esplorare l’esperienza di Hacine durante i due anni trascorsi in Maghreb, ma la sceneggiatura si limita a qualche battuta e osservazione razzista dei personaggi bianchi, che non viene mai contestata o modificata nel corso della vicenda. La regia, tuttavia, riesce a trasmettere un’idea della provincia rurale come vasta ma soffocante, in cui gli altoforni vengono gradualmente sostituiti da agenzie interinali e turismo di lusso; in questo contesto di povertà si inserisce il trauma generazionale di Anthony, con un padre violento e alcolizzato. Il padre è uno dei personaggi più riusciti della storia: la sua parabola tragica simboleggia il fallimento del passaggio di consegne tra generazioni, e le sue scene del ’96 rappresentano il picco emotivo del film per schiettezza e intensità.
Merita una menzione il Premio Mastroianni Paul Kircher. Figlio dell’attore Jérôme Kircher e dell’attrice Irène Jacob (indimenticabile nei film di Kieślowski La double vie de Véronique e Trois couleurs: Rouge), suo fratello Samuel era stato ospite a France Odeon lo scorso anno per L’Été dernier di Catherine Breillat. Già noto per l’interpretazione accanto ad Adèle Exarchopoulos in The Animal Kingdom e a Vincent Lacoste e Juliette Binoche in Le lycéen, Paul Kircher si è affermato a Venezia come una star emergente del cinema europeo. In Leurs enfants après eux interpreta il protagonista, un sognatore senza meta che vive un’adolescenza turbolenta. Il premio, a mio avviso, gli è stato assegnato più per il suo attuale status che per la forza espressiva che offre nel film, un po’ limitata da una scrittura troppo conflittuale.
Il maggior pregio del film è, in sostanza, il discorso generazionale, soprattutto considerando le vicende dei padri di Anthony e Hacine e il loro fallimento nell’avvicinarsi ai figli o nel mostrarsi “degni” della loro attenzione. Questa inversione di ruoli, particolarmente evidente nella dinamica tra Anthony e suo padre, è la parte più interessante del soggetto, e non mi sorprende che abbia colpito Ludovic e Zoran. Anche io ho un fratello gemello e, probabilmente per il forte legame che ho con lui, ho sempre riflettuto molto sul passaggio di consegne tra nostro padre e noi: non escludo che questo tema sia stato uno dei motivi principali che hanno spinto i Boukherma a realizzare questo film.
In conclusione, sebbene Leurs enfants après eux presenti molti momenti interessanti per estetica e forza espressiva, soffre di una certa mancanza di originalità e di una scarsa coesione nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi. Un vero peccato, considerato l’indubbio talento dei gemelli Boukherma: li aspetto fiducioso alla prossima opera.