Skip to main content

approfondimento a cura di marco morelli

Negli ultimi decenni è stato spesso discusso il rapporto tra città e individuo attraverso una prospettiva multidisciplinare. Facendo riferimento in primis alla scuola di Chicago[1], numerosi accademici si sono occupati di sociologia e psicologia urbana, studiando gli effetti dell’ambiente urbano sulla psiche e concentrandosi su come la vita in città influenzi il comportamento, la salute mentale e le interazioni sociali. Il cinema ha sempre trovato modi affascinanti di rappresentare questa relazione, come si evince da numerosi saggi[2] e articoli online. 

«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

L’argomento è talmente vasto che, se domandaste a più cinefili quale opera rappresenti bene il legame tra uomo e città, otterreste sicuramente risposte molto varie: solo per citarne tre, l’identità persa nel deserto di Paris, Texas, l’influenza della memoria nel presente di Hiroshima mon amour e l’ovattato progresso tecnologico di Playtime. Da parte mia, tra le risposte non possono certo mancare un qualsiasi titolo di Antonioni e, soprattutto, un classico del cinema contemplativo come Vive l’amour di Tsai Ming-Liang, del quale quest’anno ricorre il trentennale. È probabile che alla domanda precedente lo stesso Tsai Ming-Liang possa rispondere citando sia Antonioni che se stesso, come è già peraltro successo nella decennale classifica di Sight and Sound: al netto della simpatia umana che può suscitare per aver inserito il suo Goodbye, Dragon Inn non sorprende la scelta relativa a L’eclisse. L’influenza dell’opera con Vitti e Delon è facilmente riscontrabile in Vive l’amour, a partire dal ruolo rivestito dai suoni ambientali[3] e dal modo in cui gli scorci delle città si fanno specchio dell’anima dei personaggi.

«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

In particolare, l’architettura è cruciale nel film del ‘94 non solo per gli esterni (strade trafficate la mattina, centri commerciali gremiti all’ora di pranzo, squallidi mercati serali, parchi deserti all’alba) ma anche per le riprese interne. Vive l’amour appartiene al filone contemplativo che evidenzia il peso della casa nel quotidiano, così come altre opere di Tsai (in primis, The Hole e lo struggente finale di Stray Dogs) e il celebre Ferro 3 di Kim Ki-duk: la vicenda si svolge prevalentemente in un appartamento vuoto, dove tre estranei si ritrovano a vivere, spesso senza interagire direttamente. I protagonisti sono May Lin (Yang Kuei-mei), un’agente immobiliare bella ma non più giovane, Ah-jung (Chen Chao-jung), un venditore ambulante e Hsiao-kang (Lee Kang-sheng), un giovane venditore di ossari cimiteriali che ha scelto l’appartamento vuoto per suicidarsi. Tutti e tre i personaggi, per un motivo o un altro, hanno una copia delle chiavi dell’appartamento: a May Lin servono per mostrare l’appartamento ai clienti; Ah-jung le ruba a quest’ultima dopo una notte passata insieme mentre Hsiao-kang trova per caso la copia del vecchio inquilino attaccata alla porta.

Vive l'amour
«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Al solito, Tsai si serve di attori feticcio presenti in molte altre sue opere e, curiosamente, i primi due attori erano comparsi assieme anche in Eat Drink Man Woman di Ang Lee: analizzare le scelte di casting può aiutare a comprendere meglio il film. Ormai è noto che Lee Kang-sheng rappresenti l’alter ego del regista in ogni sua opera: spesso un individuo alienato, silenzioso e emotivamente distaccato, che comunica attraverso il silenzio, le espressioni minime e i movimenti lenti in pieno connubio con l’identità stilistica del regista. Dei tre protagonisti è quello con il minor numero di battute, che meno riesce a comunicare i suoi stati emotivi e che appare fin da subito sofferente: il suo lavoro simboleggia la morte e si sente solo nell’enorme appartamento anche quando li condivide con gli altri personaggi. Il tentato suicidio è può essere interpretato in diversi modi: un’impossibilità di andare fino in fondo che lo imprigiona ancor di più nella quotidianità; la speranza di poter avere un contatto umano con gli altri inquilini; un’inconscia manifestazione di attaccamento alla vita. Tuttavia, il film non offre apparenti soluzioni al vuoto provato da Hsiao-kang; considerando la sua solitudine, la sua omosessualità latente e repressa e le tendenze voyeuristiche, risulta spontaneo porlo come simbolo di tutto l’opus del regista e, in parte, della crisi emotiva dell’uomo moderno, sempre più alienato in città e spazi soffocanti. 

Vive l'amour
«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Yang Kuei-mei è assieme a Chen Shiang-chyi e Lu Yi-ching una delle attrici ricorrenti nel cinema di Tsai: è, per esempio, la protagonista femminile di The Hole, e in Vive l’amour interpreta il personaggio più tragico. All’apparenza una donna indipendente e sicura di sé, la sua May Lin è in realtà profondamente vulnerabile e disconnessa come gli altri protagonisti, immersa in un’esistenza segnata dalla solitudine nonostante le numerose interazioni con gli altri. Tra i tre è la figura che parla (soprattutto al telefono) e agisce maggiormente, come evidenziano gli slalom per le strade di Taipei per affiggere segnalazioni immobiliari (similmente a come la vedremo in Stray Dogs); ciononostante, è evidente il suo malessere, causato dalla mancanza di connessioni autentiche con gli altri e accentuato, probabilmente, da un’età che avanza inesorabilmente. Molti addetti ai lavori hanno trovato un parallelismo tra lei e Monica Vitti nei quattro film di Antonioni che si palesa nel finale: in una Taipei deserta come la Roma degli ultimi frame ne L’eclisse, May Lin si sfoga in un pianto a dirotto lungo oltre sei minuti, proprio come Claudia a Taormina nel finale de L’avventura.

Vive l'amour
«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Chen Chao-jung è un’altra figura centrale nei film di Tsai Ming-liang. In Goodbye, Dragon Inn è uno dei tre personaggi con linee di dialogo ed evidenzia la morte del cinema, mentre nell’esordio Rebels of the Neon Godinterpreta Ah Tze, un personaggio simile a Ah-Jung. È, infatti, un giovane ai margini della società, senza relazioni stabili, che commette furti e atti vandalici in maniera apatica e distaccata. In entrambi i film è il contraltare di Lee Kang-sheng/Hsiao-kang: se quest’ultimo è più introverso e silenzioso, gli agiti dei personaggi di Chen Chao-jung sono più “overt” e tendenti all’antisocialità; non è un caso che in entrambi i film i due abbiano sintonia e si ammirino. In ogni caso, entrambi rappresentano la stessa faccia della medaglia di una Taipei alienante ed opprimente per i giovani che finisce col renderli disillusi e senza una direzione, come già si era visto, tra gli altri, nel capolavoro di Edward Yang A brighter summer day di qualche anno prima.

«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Risulta complesso parlare in maniera approfondita della trama: come in tante opere dell’autore e, in generale, dello slow cinema, sembra esserci più attenzione e cura a far percepire la crisi esistenziale dei personaggi attraverso lo scorrere del tempo e l’alienazione provocata dagli spazi urbani. Possiamo comunque azzardare vari sentimenti che provano i protagonisti, tutti espressi visivamente e mai attraverso il linguaggio parlato: amore romantico (quello che prova Hsiao-Kang per Ah-jung), amore carnale (tra May Lin e Ah-jung) e infine amicizia (tra Hsiao-kang e Ah-jung). Tuttavia, è indicativo che i momenti di massima tensione emotiva si hanno quando i personaggi si trovano soli o non pensano di essere visti: ne sono un esempio il tentato suicidio di Hsiao-kang e il pianto a dirotto di May Lin nel finale. La loro alienazione è provocata, in parte, anche dal contesto lavorativo: al di fuori dell’appartamento, tutti e tre sono visti quasi esclusivamente intenti a lavorare, come se i ritmi della metropoli non permettessero loro di esprimersi e godersi la vita al di fuori delle mura domestiche. Questo pensiero è alla base di molte ricerche in ambito di sociologia urbana e ha portato i municipi a formulare alcune opzioni, più o meno riuscite, come le città in 15 minuti per il Comune di Roma.

«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Parlando dello stile, anche all’occhio meno esperto appare sorprendente la bravura di Tsai Ming-liang: solo al secondo film cerca di riprendere l’impercettibile con lunghi silenzi e indugi, focalizzandosi su fatti e rituali molto privati e personali. Ancor più che in Rebels of the Neon God, lo stile di Vive l’amour permetterà all’autore di creare una propria cifra stilistica e di radicalizzarsi nel tempo: in film successivi come Goodbye, Dragon Inn, Stray Dogs e Days il dialogo sarà ulteriormente ridotto al minimo mentre i silenzi risulteranno ancora più dilatati e alienanti. Inoltre, ritroveremo i cocomeri (frutto molto consigliato in questo periodo, ndr) in The Wayward Cloud e l’acqua come simbolo onirico e di catarsi in The river e The hole negli spazi interni o, all’esterno, come segno di decadenza e rovina urbana in Goodbye, Dragon Inn e Stray Dogs.

Vive l'amour
«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

Vive l’amour è stato acclamato all’uscita a Venezia nel ’94, in cui ha vinto il Leone d’oro ex aequo con Before the Rain, opera prima di Milcho Manchevski. Il film taiwanese senza dubbio è stato più influente ed è ancora impresso nella memoria collettiva, non risultando fondamentale unicamente per il cinema di Tsai Ming-liang. La sua influenza può essere infatti scovata sia in altre opere orientali come Millennium Mambo di Hou Hsiao-hsien e Still the water di Naomi Kawase che in film occidentali come Lost in Translation di Sofia Coppola. Non è un caso, quindi, che l’opera abbia ricevuto più voti nel decennale poll di Sight and sound: tra questi spicca Nuri Bilge Ceylan, apprezzato regista contemplativo turco, Palma d’oro a Cannes nel 2014 con Winter Sleep.

Vive l'amour
«Vive l’amour» di Tsai Ming-Liang (Credits: IMDb)

«L’uomo è solo, ma non può tollerare di restare solo». Con questa frase nel suo “Fuga dalla libertà”, lo psicanalista tedesco Erich Fromm cerca di analizzare il paradosso umano della solitudine: anche se l’uomo è fondamentalmente solo, cerca disperatamente di evitare questa condizione. Pochi film sono riusciti a rendere questa condizione esistenziale meglio dei disperati silenzi di Vive l’amour: sebbene non sia una visione leggera la consiglio a tutti gli amanti di un cinema più intimo e riflessivo e a chi può essere incuriosito dai film contemplativi.


[1] Lutters, W.G.; Ackerman, M.S. (1996), An introduction to the Chicago School of Sociology.

[2] Shiel, M., & Fitzmaurice, T. (Eds.). (2001). Cinema and the city: Film and urban societies in a global context. Blackwell Publishing.

[3] Birtwistle, A. 2014. Heavy weather: Michelangelo Antonioni, Tsai Ming-liang, and the poetics of environmental sound. Quarterly Review of Film and Video. 32 (1), pp. 72-90. [https://doi.org/10.1080/10509208.2012.757529]

Leave a Reply