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recensione a cura di giulia giovannini

Come dichiarato dal regista stesso, «[…] nell’era della crisi climatica, è ancora valida l’affermazione finale di Orwell che i potenti non possono portare via la primavera?»; questo il quesito fondamentale sul quale gira intorno Some Thoughts on the Common Toad, di G. Anthony Svatek, in concorso alla diciassettesima edizione di Archivio Aperto, festival dedicato alla riscoperta e all’utilizzo del materiale d’archivio. Il corto, che prende il nome dall’omonimo saggio del 1946 di George Orwell, consiste in una lettura – con voce offerta da parte dell’attrice Tilda Swinton – delle parole dello scrittore, accompagnata da un montato di immagini evocative selezionate da Svatek, tutte di dominio pubblico. 

G. Anthony Svatek
«Some Thoughts on the Common Toad» di G. Anthony Svatek (Credits: Archivio Aperto)

Nel saggio Orwell parte dalla descrizione di un fenomeno largamente discusso nella letteratura, ovvero il ciclo delle stagioni. Più precisamente, analizza alcuni dettagli riguardo il momento in cui in natura sboccia la primavera. Molti autori avrebbero scelto come immagini per descrivere questo fenomeno simboli di bellezza come ad esempio «primule o allodole»; Orwell, invece, sceglie come suo primo esempio e prototipo di riflessione, il rospo. Anche se non particolarmente inserito nei canoni estetici dei poeti, ci viene detto come il rospo si carichi di vita ed energia in concomitanza con l’arrivo della primavera, iniziando il proprio ciclo di riproduzione. Quello che affascina Orwell è il fatto che questa rinascita annuale del rospo sia chiara immagine di come i piaceri semplici tornino ad essere ricorrenti, indipendentemente da tutto.

L’invito di Orwell – che mi sembra coincidere anche con la volontà alla base del lavoro di Svatek – è quello di non dimenticarsi dell’esistenza di tali miracoli naturali. Non dobbiamo scordarci mai dell’esistenza dei piccoli piaceri, dobbiamo cercare di non perderli nel mezzo di questo caotico mondo governato da politica, guerre, potere. La paura dello scrittore risiede nelle persone, che stanno andando nella direzione di diventare sempre più apatiche, mettendo in secondo piano i sentimenti più puri per lasciare spazio a una standardizzazione della mente nell’era del capitalismo.

G. Anthony Svatek
«Some Thoughts on the Common Toad» di G. Anthony Svatek (Credits: Archivio Aperto)

George Orwell scrive Some Thoughts on the Common Toad nel 1946 e G. Anthony Svatek realizza questo video-saggio sperimentale nel 2023, evidenziando la ancora attuale autenticità di queste riflessioni. Quello che Svatek però riesce a fare è arricchire ancora di più queste parole con l’utilizzo dell’immagine. Grazie alla sua selezione di clip la potenza del testo si fa ancora più significativa. Al giorno d’oggi tendiamo a usare l’immagine come forma di comunicazione privilegiata. Per merito del materiale “aperto” (nel senso di usufruibile) che il regista impiega nel corto, aumenta il numero di destinatari di queste parole, a cui forse non sarebbero mai arrivate se non fosse stato per questa esatta forma di restituzione, incrementando la ricezione dell’ideale che si vuole trasmettere.

Il punto è che nonostante tutto quello che accade intorno a noi, nel 1946 come ad oggi, «i piaceri della primavera sono alla portata di tutti e non costano nulla». Questo non significa che dobbiamo ignorare i vari livelli di complessità dell’esistenza umana, basta solo realizzare che il considerare l’amore per la natura non solo vano sentimentalismo, non ha bisogno di giustificazioni.

G. Anthony Svatek
«Some Thoughts on the Common Toad» di G. Anthony Svatek (Credits: Archivio Aperto)

Lo strumento che, in questo caso, migliora l’interrelazione tra pensiero e forma, è lo sguardo. Un’attenzione particolare va riservata a questo sguardo – mediato dal montaggio di Svatek – come strumento che struttura la memoria e produce gli archetipi formali pronti a generare i processi di elaborazione che consentono l’uso simbolico dell’oggetto stesso. Il rospo è molto più di un rospo, e l’immagine di questo rospo è molto più di un’immagine.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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