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approfondimento a cura di virginia maciel da rocha

In occasione della rassegna Parola di Campion, organizzata dal Cinema Troisi, abbiamo rivisto il lungometraggio di Liliana Cavani, nella versione restaurata nel 2018 dalla Cineteca Nazionale con la supervisione della regista stessa.

Lo scorso 24 settembre, le regista Jane Campion e Liliana Cavani hanno presentato e introdotto al Cinema Troisi una proiezione de Il portiere di notte, film realizzato da Cavani nel 1973, restaurato nel 2018 dalla Cineteca Nazionale. Il film è stato selezionato da Campion, che lo ha definito uno dei film che «più ha illuminato» la sua carriera in ambito cinematografico. L’introduzione ha assunto la forma di un’intervista, con una serie di domande poste dalla regista neozelandese a quella italiana, sui processi di realizzazione della pellicola. Cavani ha spiegato che la principale idea dietro a Il portiere di notte è arrivata quando la RAI le aveva commissionato una serie di documentari da realizzare sulla Seconda guerra mondiale e, in particolare, sulle strutture della Germania nazista governata da Hitler. Intervistando persone sopravvissute a campi di concentramento e di lavoro, è riuscita a mettere insieme una storia che arrivasse a indagare il rapporto tra vittima e carnefice in quello che si è rivelato uno dei più grandi orrori umanitari mai sperimentati. La regista ha, inoltre, aggiunto alcune note a margine sul processo di lavorazione, spiegando che spesso la sceneggiatura veniva riscritta se non completamente stravolta sul set e questo ha portato i due protagonisti, interpretati da Charlotte Rampling e Dirk Bogarde a un continuo ripensamento dei loro personaggi.

«Il portiere di notte» di Liliana Cavani (Credits: Cineteca Nazionale)

Jane Campion, al termine della presentazione, avverte gli spettatori sulle tematiche affrontate nel film, collegando la materia narrativa a sentimenti contrastanti, appellandosi alla sensibilità delle persone presenti in sala e facendo riferimento a temi afferenti al traumatico. Certo, Il portiere di notte è, a mani basse, uno dei film più controversi che la storia del cinema italiano abbia mai conosciuto, ma che cosa significa riguardarlo nel 2024, a cinquant’anni di distanza dalla sua prima uscita in sala? Sin da una delle prime inquadrature, dove vediamo una sedicente contessa (Isa Miranda) richiedere “servizi speciali” all’hotel di Vienna in cui alloggia – eufemismo per ottenere prestazioni sessuali da un giovane lavoratore stipendiato dalla struttura – quello che salta all’occhio è l’estremo kitsch dell’ambientazione e dei personaggi. La contessa Stein riposa su un letto ricoperta da due pellicce diverse, in una stanza in cui i mobili pullulano di oggetti sparsi e diffusi: profumi, creme, portafoto, una abat-jour coperta da un velo. Il poeta crepuscolare Guido Gozzano nei suoi Colloqui (1911) parlava dell’Amica di nonna Speranza: una lirica in cui si canta il declino della borghesia proprio attraverso tutta quella componente di oggettistica inutile che si trova nelle case, definendole «buone cose di pessimo gusto»1.

Il portiere di notte
«Il portiere di notte» di Liliana Cavani (Credits: Cineteca Nazionale)

Partendo dall’esempio della camera della contessa, in realtà, la stessa cosa si potrebbe applicare anche al resto della pellicola. C’è un senso del kitsch e del pacchiano che, forse, il passare del tempo non ha aiutato a sminuire; si capisce benissimo che si tratta di una pellicola realizzata negli anni Settanta – pur essendo ambientato nel 1957 – e oggi, nell’estetica, appare molto ancorato a quel preciso decennio. Alcune scelte scenografiche hanno fatto storcere il naso nel corso degli anni, a partire dall’estrema pulizia e precisione degli ambienti che dovrebbero ricreare un campo di concentramento nazista fino ad arrivare alla scelta di replicare in maniera piuttosto banalizzante e grossolana gli abiti dei prigionieri catturati dagli ufficiali tedeschi. Risulta difficile credere che un campo di concentramento potesse avere un aspetto così neat, considerando che la Seconda guerra mondiale non è stata trasmessa in televisione, ma ampiamente filmata sì – come non manca di evidenziare anche Cavani in apertura al film.

«Il portiere di notte» di Liliana Cavani (Credits: Cineteca Nazionale)

Nonostante alcuni tratti tipicamente relegati a un’epoca relativamente lontana, Il portiere di notte, per forza di cose, è una pellicola già entrata a pieno titolo nei programmi scolastici e accademici – non soltanto di cinema, ma sicuramente anche di letteratura italiana contemporanea. Una delle maggiori critiche al film è stata scritta da Primo Levi e inclusa nella raccolta I sommersi e i salvati. Levi non menziona neanche il titolo della pellicola, limitandosi a definirla un «film bello e falso»2 e recuperando proprio le parole di Liliana Cavani in riferimento al film per dissezionarle e contestarle una a una. Lo scrittore inserisce il film in un quadro più ampio di riflessione, che parte dalla leggerezza, a detta sua, con cui vengono recepiti argomenti del genere e arriva fino a un episodio in cui all’interno di una scuola elementare alcuni bambini gli hanno chiesto perchè non fosse mai scappato da un campo di concentramento. Il fatto che, agli occhi del pubblico moderno, appaia visivamente come un film molto ancorato all’inizio degli anni Settanta forse sminuisce questa carica controversa che – di fatto – il film possiede.

Il portiere di notte
«Il portiere di notte» di Liliana Cavani (Credits: Cineteca Nazionale)

Cavani non ha mancato di sottolineare la pervasività del mezzo cinematografico anche all’interno dei campi di concentramento o di lavoro nazisti e recupera bene questa dimensione attraverso i flashback che a intermittenza ritornano nel corso della narrazione. Gli ufficiali e guardie tedeschi che si divertono a puntare la cinepresa sul volto delle prigioniere non possono che far risuonare nella testa dello spettatore moderno le parole di Susan Sontag a proposito della violenza intrinseca del mezzo fotografico – e, di conseguenza, cinematografico. Alla stessa maniera in cui vengono puntate pistole sui corpi dei detenuti, il personaggio di Lucia (Charlotte Rampling) subisce l’occhio della camera da presa violentemente, sia per l’estremo avvicinarsi di Max (Dirk Bogarde), l’ufficiale che la riprende, sia per la forte e abbagliante luce che le viene rivolta contro.

«Il portiere di notte» di Liliana Cavani (Credits: Cineteca Nazionale)

Non serve stare a sottolineare come, con il passare degli anni, lo spettatore medio (o fruitore di media inteso in senso più lato e generale, dal cinema ai videogiochi, dalla televisione ai social media) si sia abituato a un progressivo incremento di violenza normalizzata sui propri schermi e dispositivi. Quello che però resta di un film di cinquant’anni fa come Il portiere di notte – oltre ad alcune scene prettamente violente e scioccanti – è la dinamica di potere e sottomissione, che resta ugualmente eterna a sé stessa, in un meccanismo già perverso in partenza e che nel film di Cavani assume aspetti (oltre che provocatori), del tutto orrorifici.


1 Guido Gozzano, L’amica di nonna Speranza in «Tutte le poesie», a cura di A. Rocca e M. Guglielminetti, Mondadori, Milano, 1983.

2 Primo LeviI sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 2007, cit. pp. 34-35.

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